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Ischia brucia e soffre

Come ogni anno d’estate l’isola d’Ischia brucia, geme e soffre, avvolta puntualmente nelle solite zone dalle fiamme distruttive, che lasciano poi queste località arse, come un arido paesaggio grigio e scuro, paesaggio arido di brutale violenza e morte. Una puntuale, dolosa liturgia che quest’anno è alimentata e acuita dalla lunga siccità e dalle temperature particolarmente alte. Uno spettacolo deprimente, che ingenera angoscia, e che quest’anno nel nostro golfo ha distrutto il parco naturale del Vesuvio simbolo paesaggistico preminente della nostra riviera: per tanti giorni avvolto nel fumo come se si trattasse di una eruzione vulcanica. Cartoline strappate e sporcate dalla mano dell’uomo ! Un mondo fragile e pure stupendo, con un essere umano al quale Dio Creatore ne affida la cura, interpella la nostra intelligenza per riconoscere come dovremmo orientare, coltivare e limitare il nostro potere. Si cominciò quel 6 luglio scorso quando dal cosiddetto serpentone dei Maronti si levarono nel pomeriggio fiamme alte alimentare peraltro anche dallo scarico di materiali plastici (quindi diossina) lungo la bella discesa riparata dal sole da salutari piante rampicanti: fiamme che allargandosi misero in grave pericolo villeggianti e strutture ricettive (alcune danneggiate), tanto che i Vigili Urbani guidati dal Comandate Ottavio Di Meglio ed i Carabinieri diretti da Gennaro Bonavoglia fermarono il traffico per i Maronti, requisendo i taxi del piazzale per ogni emergenza di soccorso.

Ma l’odissea di fuoco è proseguita nei giorni successivi sull’intera isola tanto che questo quotidiano ha titolato il 5 agosto scorso “Maledette fiamme/L’isola in ginocchio” e il quotidiano “Il Dispari” il 6 agosto titolava secco “Arso”. Insistere nel dire che l’essere umano è immagine di Dio non dovrebbe farci dimenticare che “ogni creatura ha una funzione e nessuna è superflua. Tutto l’universo materiale – scrive Papa Francesco nella ‘Laudato sì’, 84 – è un linguaggio dell’amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio. La storia della propria amicizia con Dio si sviluppa sempre in uno spazio geografico che diventa un segno molto personale, e ognuno di noi conserva nella memoria luoghi il cui ricordo gli fa tanto bene a recuperare la propria identità”. Dio ha scritto un libro stupendo, le cui lettere sono la moltitudine di creature presenti nell’universo. “Anche la creazione geme e soffre in attesa di essere pure lei liberata dalla schiavitù della corruzione”(Rm 8, 19-23 e Catechismo Chiesa Cattolica 1046).

DIES  DOMINICA – 19ESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – MARTEDÌ 15 ASSUNZIONE B.V. MARIA (ANNO A). L’Assunzione è la conseguenza dell’unione perfetta di Maria col Figlio. Maria è immagine e inizio della chiesa e dell’universo che dovrà avere compimento nell’età futura. Dogma definito solennemente da Papa Pio XII il 1° novembre 1950.

Dopo il cammino nel deserto, fortificato dal cibo provvidenzialmente ricevuto, Elia giunge sul monte della epifania e dell’incontro con Dio, dal quale prende garanzia e sicurezza ogni missione: dal primo libro dei Re 19, 9. 11-15. Nella lettera di San Paolo ai Romani (9, 1-5) l’apostolo sente un’angosciosa sofferenza per il fatto che il suo popolo non abbia accolto il Messia, portatore delle promesse divine e dal quale Cristo stesso è venuto secondo la generazione umana. E’ un mistero di cui l’apostolo non sa dare spiegazione. Egli si affida a Dio, certo che verso tutti e sopra tutti si manifesterà la misericordia divina. Nel Vangelo di San Matteo (14, 22-33) Gesù placa il vento e calma le acque agitate: egli è Dio, il Signore, per il quale tutte le cose sono state create. Infonde così serenità agli animi impauriti e scossi. Ma bisogna avere fede in lui. Allora ogni forza è domata e non può fare del male. Dalla signoria di Gesù sul vento e sulle onde i discepoli avvertono che egli è veramente “il Figlio di Dio”.

SCARRUPATA

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Fu chiamata “Scarrupata”

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tra Capo Grosso e San Pancrazio

ciborio fecondo di terra al mare diruta

in macigni levigata da spuma gorgoglio

di suoni e profumi e botti di pesca di frodo.

Era ’56 e ’57 stagione d’autunno,

ma i miei nonni del Piano la dicevano “Montagna”,

ed io fanciullo tornato emigrante dalle Ande

seguivo le orme sagge e scalze e callose

della mia nonna ardita Maria Giovanna

sul sommesso sentiero selvatico.

Copia d’ulivi a macina raccoglievo

chinato sulla gleba zappata a “Montella”

con grotta a riparo e ancora più giù timido

alla ripa “Ercole” con grotta di pietra e pozzo,

ove eroico e mutilato di guerra nonno Andrea

sapiente irretiva stormi di quaglie e sale su massi

al sole della ghiaia e ciocco poi a fiamma braciere.

Un tempo si coltivava e allevava sulla “Pietra crespa”

e il bagno a “Succellaro” tiepido gorgoglio della Bellezza,

là presso la Schita e l’Areola nomi naufragati nella risacca

da irrimediabile mancanza d’obliqua “Scala fàuza”.

Mi trascino dietro a questi ricordi belati d’infanzia,

svanita terra “Fuori il Ralo” e mai più veduta.
A cura del professor Pasquale Baldino, responsabile diocesano Cenacoli Mariani, docente Liceo, poeta (e-mail: prof.pasqualebaldino@libero.it)

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