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Inchiesta su vacanze e controlli negli alberghi, D’Abundo assolto anche in appello

La Prima Sezione della Corte d’Appello ha confermato integralmente l’assoluzione disposta due anni fa dal Gup accogliendo le richieste dell’avvocato Gianluca Maria Migliaccio

Anche in appello arriva una nuova assoluzione per Antonello D’Abundo. La Prima Sezione della Corte d’Appello di Napoli, presidente Abbamondi, relatore dottor Picardi, ha confermato integralmente il verdetto del giudizio di primo grado di due anni fa, quando il Giudice dell’udienza preliminare, dottor Enrico Campoli, aveva assolto D’Abundo per tutti e tre i capi d’importazione, disponendo l’assoluzione perché  il fatto non sussiste in ordine all’induzione indebita e al millantato credito, e per non aver commesso il fatto in relazione all’ipotesi di rivelazione di segreti d’ufficio. La Corte ha quindi accolto le argomentazioni del legale di fiducia di D’Abundo, l’avvocato Gianluca Maria Migliaccio, ribadendo l’estraneità del suo assistito alle accuse in relazione alla complicata vicenda, che venne innescata da una serie di ispezioni e controlli effettuati presso una delle strutture ricettive della Cast Hotels, relativamente agli scarichi fognari e che, secondo l’accusa, avrebbero visto il D’Abundo e il maresciallo della Guardia Costiera Giovangiuseppe Ferrandino godere di una serie di favori (tra cui alcuni soggiorni in villaggi vacanze) in cambio di “soffiate” al titolare, Ciro Castiglione, circa lo svolgimento dei controlli stessi.

Le motivazioni della sentenza saranno rese note tra sessanta giorni, ma nell’udienza di pochi giorni fa in cui è discusso l’appello, mentre il Procuratore generale nel chiedere la riforma della sentenza aveva chiesto la condanna a due anni e due mesi di reclusione, l’avvocato Migliaccio ha invocato la conferma dell’assoluzione, facendo riferimento a due motivi principali. Innanzitutto l’inammissibilità dell’appello, definito come “un tema libero del tutto difforme dai criteri dettati dalla cd. “riforma Orlando” in tema di impugnazioni”, in quanto del tutto privo delle specificità e peculiarità indicate dal codice di rito, senza avere “né capo né coda”: secondo il penalista, se fosse stato redatto da altra parte processuale, molto probabilmente non sarebbe stata neanche fissata la camera di consiglio.

Le motivazioni saranno depositate entro sessanta giorni, ma il collegio presieduto dal giudice Abbamondi ha rigettato la richiesta della Procura, che aveva invocato una condanna a due anni e due mesi, contrariamente a quanto accadde in primo grado, quando anche la pubblica accusa aveva chiesto l’assoluzione

Il secondo motivo, più articolato, era basato appunto sulla richiesta di rigetto con conferma della sentenza di primo grado. L’avvocato Migliaccio ha evidenziato il fatto che si tratta di un atto depositato l’ultimo giorno utile e nonostante la richiesta di assoluzione formulata in udienza dal pubblico ministero: un atteggiamento dunque contraddittorio, quello della pubblica accusa, che prima chiede l’assoluzione e poi impugna la sentenza all’ultimo giorno.

Inoltre, l’accusa nell’appello aveva chiesto anche di dichiarare la penale responsabilità dell’imputato anche in ordine ai reati di cui all’art. 319 quater c.p. e 346 c.p., ma costituisce inequivocabile circostanza il fatto che l’imputato sia stato assolto da tutti e tre i capi d’imputazione quindi anche in ordine al capo c): non essendovi stata impugnazione, sul punto si è dunque già formato il giudicato.

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Per quanto riguarda l’accusa di concussione per induzione, la difesa ha sostenuto le motivazioni di primo grado, che avevano stabilito l’insussistenza del fatto, affermando l’assenza di prova relativa alla circostanza per la quale il Castiglione abbia pagato di tasca propria i soggiorni vacanza al Ferrandino. Di più: è incontestabile l’osservazione secondo la quale si facciano preferire non solo le prove documentali fornite dalla difesa sul punto, ma addirittura i relativi documenti prodotti dal Castiglione – dopo le numerose, specifiche richieste rivoltegli dalla Procura della Repubblica – vengono definiti come “monchi e palesemente posticci”. L’avvocato Migliaccio sul punto ha ricordato il cosiddetto giudicato cautelare formatosi in ordine alla non sussistenza della condotta contestata ex art. 319 quater c.p. o meglio in ordine alla mancanza di meri indizi di colpevolezza della condotta contestata ex art. 319 quater c.p., cosa che rende inverosimile che gli atti di indagine possano nel seguito del procedimento dare luogo alla certezza processuale della colpevolezza del D’Abundo. Fra l’altro gli atti di indagine su cui si è basata la richiesta di rinvio a giudizio sono gli stessi già esaminati e “bocciati” dalla Corte di Cassazione: paradossalmente, l’unica differenza è rappresentata dallo status processuale del Castiglione, originaria parte offesa, diventato indagato prima, ed imputato poi.

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La vicenda venne innescata da una serie di ispezioni sugli scarichi fognari presso una delle strutture della Cast Hotels che, secondo l’accusa, avrebbero visto il D’Abundo e un maresciallo della Guardia Costiera godere di una serie di favori in cambio di “soffiate” al titolare dell’hotel, circa lo svolgimento dei controlli stessi

Infine, per l’accusa di millantato credito, la difesa ha spiegato che anche sul punto la sentenza è perfettamente speculare a ciò che è emerso nel processo, e in effetti il presunto collegamento tra “amico” e pubblico ufficiale è un dato che la polizia giudiziaria estrapola liberamente dalle conversazioni intercettate ed influenza la pubblica accusa tanto da indurla ad insistere nel sostenere la contestazione. Tuttavia, anche in relazione ad essa, gli atti provano agevolmente come dietro l’espressione “amico” non vi sia personificato nessun pubblico ufficiale. E a maggior ragione, pertanto, quel pubblico ufficiale non è Ferrandino. Secondo l’avvocato Migliaccio, anche prescindendo da tale considerazione, la pubblica accusa non può (o non vuole) dare spiegazione che neutralizzi il dato processualmente accertato dell’acquisto del televisore effettivamente avvenuto ad opera del D’Abundo.

Argomentazioni che hanno portato la difesa a chiedere appunto la dichiarazione di inammissibilità dell’appello proposto dalla pubblica accusa o, in subordine, il rigetto, confermando le assoluzioni pronunciate con la sentenza del Gup. La Corte, come si è visto, ha poi accolto tale richiesta. In attesa delle motivazioni, ricordiamo che già dalla fase cautelare l’impianto accusatorio nei confronti del D’Abundo era risultato quantomeno traballante di fronte alle argomentazioni messe in campo dalla difesa dell’avvocato Migliaccio, visto che il Riesame annullò la misura cautelare. In Cassazione la Suprema corte concordò con la qualificazione giuridica, ma impose verifiche tramite un secondo ricorso al Riesame, il quale confermò l’originario annullamento. Quest’ultimo fu poi definitivamente confermato dalla Cassazione. Il tutto fece da preludio all’assoluzione nel merito in primo grado davanti al Gup Campoli. Adesso, la nuova conferma d’assoluzione in appello.

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