CRONACA

Indagato per pedofilia, dal Tar stop al porto d’armi

I giudici amministrativi hanno confermato il decreto prefettizio di divieto di detenzione d’armi su conforme proposta del Commissariato di Polizia di Ischia e sulla scorta delle ulteriori informazioni pervenute dalla stessa ps

Niente porto d’armi per un isolano indagato per pedofilia. A deciderlo i giudici della quinta sezione del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania che hanno confermato il decreto prefettizio di divieto di detenzione d’armi su conforme proposta del Commissariato di Polizia di Ischia e sulla scorta delle ulteriori informazioni pervenute dallo stesso Commissariato. Per gli agenti isolani l’uomo non può detenere armi, munizioni e materiale esplodente, in ragione del venir meno dei requisiti di affidabilità per l’ordine e la sicurezza pubblica in seguito al suo deferimento alla Procura di Napoli per atti persecutori e pornografia minorile in danno di una minore, condotte non ancora definite in sede penale ma “legittimamente e ritualmente accertate dagli Organi di Polizia …” (come si legge nel provvedimento impugnato).

Per giurisprudenza costante, in materia di detenzione e porto di armi, l’Autorità di pubblica sicurezza gode di ampia discrezionalità nel valutare la sussistenza dei requisiti di affidabilità del soggetto nell’uso e nella custodia delle armi, a tutela della pubblica incolumità. L’ampiezza di tale discrezionalità deriva, sotto un primo profilo, dall’assenza, nel nostro ordinamento, di posizioni di diritto soggettivo con riguardo alla detenzione e al porto di armi, sotto altro profilo, dalla circostanza che, il compito dell’Autorità di pubblica sicurezza non è sanzionatorio o punitivo, ma ha la finalità cautelare di prevenire abusi nell’uso delle armi, a tutela della privata e pubblica incolumità; ai fini della revoca dell’autorizzazione e del divieto di detenzione di armi e munizioni non è, pertanto, necessario un obiettivo ed accertato abuso delle armi, bensì è sufficiente la sussistenza di circostanze che dimostrino come il soggetto non sia del tutto affidabile al loro uso. “Stante l’evidenziata ampia discrezionalità dei provvedimenti inibitori in questione – scrivono i giudici amministrativi in sentenza – non si richiede una particolare motivazione, se non negli ovvi limiti della sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie. Il giudizio, ampiamente discrezionale, circa la prevedibilità dell’abuso dell’autorizzazione stessa può invero attribuire rilievo anche a fatti isolati, ma significativi e a vicende e situazioni personali prive di rilevanza penale”.

“Nel caso di specie, invero, a sostegno del diniego, – hanno motivato i giudici – l’Amministrazione procedente ha posto l’intervenuto deferimento del ricorrente all’Autorità giudiziaria penale per gravi fatti (qualificati come atti persecutori e aventi contenuto pornografico in danno di una minore), di cui l’Autorità di Pubblica sicurezza è stata messa al corrente per effetto della più che dettagliata querela sporta dalla pretesa persona offesa, che non solo ha ricostruito puntualmente, in termini di tempo e luogo, le vicende relative al rapporto con il ricorrente ma ha anche riferito di fatti e circostanze a riscontro dei fatti denunciati (peraltro documentalmente ricostruibili con l’esame dei telefoni cellulari in possesso dei soggetti coinvolti, ovvero comprovabili con l’audizione dei soggetti nominati), complessivamente evocativi di un rapporto morboso, di cui è ovviamente necessario indagare e accertare, nella competente sede, il rilievo penale, ma che, anche solo sul piano della sede amministrativa che ne occupa, non può essere dequotato come irrilevante ai fini della tutela dell’interesse primario alla sicurezza pubblica rimesso all’Autorità di Pubblica Sicurezza”. Ed ancora: “In tale contesto, la querela a carico del soggetto viene in rilievo come fatto e non come evento penalmente sanzionabile, e dunque come elemento da considerare nel quadro di un giudizio meramente prognostico, sicché il provvedimento con il quale si vieta di detenere armi, avendo la finalità di prevenire la commissione dei reati, non richiede che vi sia stato un pregresso accertato ed oggettivo abuso delle armi essendo sufficiente una erosione, anche minima, del requisito della totale affidabilità del soggetto”. Per i giudici “Il ricorrente, in particolare, non ha finora, né mediante la memoria procedimentale né nella presente sede giudiziaria, addotto elementi tali da escludere l’esistenza dei fatti che, quantomeno, comprovano (e, in certo senso, confermano) l’esistenza di un rapporto litigioso con altro soggetto, connotato da reciproche accuse e contestazioni, e, in definitiva, giustificano la attuale prognosi di non completa affidabilità del ricorrente, cui è pervenuta l’Amministrazione, e che è sufficiente a radicare il divieto di detenzioni di armi.

Il complesso degli elementi raccolti dall’Autorità procedente, dunque, indipendentemente dal prosieguo in sede penale (che, peraltro, non ha finora escluso la sussistenza dei fatti denunciati e che, in particolare, non sono neppure elisi dalla contro-querela sporta dal ricorrente), non irragionevolmente ha dunque condotto alla prognosi non favorevole di piena affidabilità nell’uso delle armi effettuata dall’Amministrazione, senza che occorra alcuna ulteriore valutazione che con tutta evidenza, in mancanza di puntuali riscontri di documentata elisione dei profili di dubbio sopra evidenziati, non può che ribadire quanto già espresso”. Dando ragione alla Polizia che hanno negato il porto d’armi, i giudici hanno spigato come non sia “necessaria una specifica motivazione sul possibile abuso delle armi, discendendo il divieto dalla operata valutazione, non irragionevole, di complessiva inaffidabilità del soggetto” e come “il divieto di detenzione armi è esso stesso provvedimento cautelare, a estrema tutela dell’interesse pubblico tutelato, la cui proporzionalità è data dalla sua naturale non definitività, giacché reso allo stato degli atti, e l’eventuale sopravvenuto mutamento delle circostanze, anche desumibile proprio dall’esito del procedimento penale (tuttora, come detto, non definito), ben potrebbe abilitare il ricorrente a richiedere la motivata revoca del pregresso provvedimento di divieto”.

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