CRONACAPRIMO PIANO

Interrogatorio di garanzia per Nicola D’Abundo: «Sono innocente»

L’armatore, ai domiciliari con l’accusa di bancarotta ed evasione, ha reso spontanee dichiarazioni assistito dall’avvocato Luigi Tuccillo, il quale ha consegnato al Gip una memoria difensiva in cui vengono respinte le contestazioni della Procura

Si è svolto ieri mattina presso il Tribunale di Napoli Nord l’interrogatorio di garanzia per Nicola D’Abundo, il noto imprenditore posto agli arresti domiciliari nell’ambito di un’operazione della Guardia di Finanza di Napoli, successiva ad una lunga attività investigativa della Procura della Repubblica di Napoli Nord, con la pesante accusa di bancarotta fraudolenta ed evasione fiscale. Assistito dall’avvocato Luigi Tuccillo, l’armatore ischitano ha reso spontanee dichiarazioni che si accompagnano alla consegna di un’articolata memoria difensiva, nella quale viene contestato punto per punto l’impianto accusatorio, cercando di spiegare il senso di determinate operazioni che la Procura ritiene costitutive di un disegno criminoso, ma che secondo l’interpretazione difensiva appaiono perfettamente lecite, in particolare circa la presunta distrazione di beni, che è alla base dell’accusa di bancarotta. Secondo la difesa non vi è stata alcuna distrazione, perché i beni sono sempre rimasti nella disponibilità di società riconducibili al D’Abundo. Dopo la dichiarazione di fallimento di una delle società, i beni furono acquisiti dalla curatela fallimentare. Dunque non c’è stato alcun “occultamento”. Copia della memoria è stata consegnata anche al pubblico ministero. La difesa si è dichiarata confortata dall’attenzione che il Gip e il pm hanno avuto verso le argomentazioni prodotte.

Il giudice si è poi riservato le valutazioni. Ovviamente non era realistico attendersi un mutamento dell’orientamento del Gip Del Pizzo dopo l’interrogatorio, visti i pochi giorni trascorsi dall’applicazione della misura cautelari. Un’istanza di revoca potrebbe essere sottoposta al Gip la prossima settimana. In ogni caso, la difesa ha già inoltrato istanza al Tribunale del Riesame contro la misura degli arresti domiciliari. L’udienza dovrebbe essere fissata entro fine luglio. Oltre a Nicola D’Abundo, come si ricorderà, sono finiti ai domiciliari anche Alfonso Petrillo (titolare di un’azienda di impianti elettrici, già arrestato nel 2017) e Francesco Truba. Manette anche per due finanzieri indagati di corruzione. La Guardia di Finanza Ha sequestrato complessivamente 40 milioni di beni tra cui una piccola porzione del Castello Aragonese di Ischia. Si tratta del “Maschio”, area peraltro interdetta al pubblico già da diversi anni. Insieme ai tre imprenditori finisce agli arresti anche Alessandro Gelormini, commercialista e consulente. Sarebbe lui la mente del piano messo in atto e che ha poi portato Procura e Finanza a imbastire un’indagine che tra l’altro ha consentito di porre i sigilli anche ad una villa in quel di Capri ed a vari stabili ubicati tra Napoli e Roma. Il ruolo chiave di Gelormini, per la cronaca, sarebbe consistito nello svuotare il patrimonio di società insolventi prima della dichiarazione di fallimento, commettendo così nel contempo anche reati di natura tributaria.

I finanzieri arrestati entrano nella vicenda perché il professionista avrebbe elargito loro la somma di 4.000 euro per modificare un verbale ed evitare così di far incorrere un suo cliente in un illecito penale. Gelormini, però, a sua volta avrebbe comunque frodato quest’ultimo “trattenendo per sé una parte dell’illecito compenso”, come spiega una nota della Procura della Repubblica. Complessivamente sono sette le società individuate dalla Guardia di Finanza detentrici del patrimonio illegale. E ovviamente gli immobili sottoposti a sequestro erano riconducibili alle stesse. L’inchiesta che è culminata con gli arresti di ieri è di fatto una costola di quella, approdata poi per competenza alla Procura della Repubblica di Roma, che riguardò il giudice della sezione fallimentare del tribunale di Napoli Nord e di quella di Santa Maria Capua Vetere, Enrico Caria, che finì ai domiciliari con l’accusa di aver elargito nomine di consulenze in cambio di favori. I pm indagarono su un giro di fallimenti societari e quando spuntò il nome di Caria le carte finirono nella capitale mentre ad Aversa la Procura di Napoli Nord continuò a indagare sul filone locale, scoprendo così la centralità del ruolo ricoperto da Gelormini, che fu anche uomo di fiducia dell’allora ministro Cirino Pomicino.

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