L’ultima batosta ideale subita da parte dei nostri amministratori con l’installazione della baracca/bar al Carcere mi porta a delle conclusioni alle quali sto pensando da tempo. L’amministratore pubblico nonvuole collaborare con il cittadino. Il suo obbiettivo primario è di rimanere a galla facendo quello che gli amministrati con il potere del voto perseguono per utile personale.
Fino agli anni ottanta un attento amministratore osava anche mettere in campo una idea guida attuando progetti che rasentavano la velleità amministrativa. Si rischiava la popolarità pur di operare per il bene del paese. Molte cose andavano bene, qualcuna era sbagliata. Negli ultimi trenta anni il mondo è cambiato. La facile comunicazione con i mass media, (televisione, internet con le sue applicazioni), ha ammazzato l’utilità della parola e si è arrivati al punto che tutti parlano e nessuno ascolta.
Quale mezzo rimane a chi vorrebbe dare un contributo alla società alla quale appartiene con la formazione culturale e l’esperienza acquisita in una vita? Mollare tutto ed acquisire l’atarassia studiando i filosofi stoici in modo da non soffrire? E coloro che non vogliono arrendersi? Capire, per prima cosa, che il loro interlocutore non può essere l’amministratore pubblico. Fare proposte anche se studiate bene e metterle a disposizione della tua gente non serve. Dovresti invece fare in proprio le cose che proponi. In parole povere essere un imprenditore che rischia tutto sulla sua idea e farla crescere fino a diventare vincente. Google, Amazon, Facebook, Twitter,Microsoft e le altre cose che hanno cambiato il mondo ne sono la prova evidente.
Nella nostra isola dunque dobbiamo considerare i nostri amministratori come parte avversa al cambiamento perché a loro non conviene e bisogna con l’esempio far capire cosa è più utile a tutti per raggiungere gli obbiettivi che ci farebbero vivere meglio.
