«Io, la Salernitana e il mio amore per Ischia»
Danilo Iervolino, imprenditore e presidente del sodalizio granata, si racconta in una lunga e inedita intervista a Il Golfo. L’ingresso nel mondo del calcio con una salvezza miracolosa che resterà nella storia, i progetti futuri ma anche i sogni da bambino e i tanti obiettivi raggiunti. E un rapporto speciale con la nostra isola con un beneaugurante auspicio: «Sono molto ottimista: Ischia diventerà da qui ai prossimi dieci anni la perla del Mediterraneo»
Vorrei partire da quella che può essere una favola, voglio partire andando un po’ a ritroso nel tempo. Che cosa hanno rappresentato per Danilo Iervolino – presidente della Salernitana – quei pochi minuti che sono intercorsi tra il fischio finale di Salernitana-Udinese e quello di Venezia-Cagliari? Alle volte, anche per costruire delle favole, è questione di “sliding doors”.
«Bene, allora iniziamo parlando di calcio. (sorride, ndr). Devo dire che quella che ho vissuto rischiava di essere una favola “spezzata”: in quei momenti pensai che questa rincorsa straordinaria, questo sacrificio, questo gruppo che si meritava la salvezza stava gettando alle ortiche una grande opportunità. Avevamo la possibilità di vincere con l’Udinese una partita casalinga. Loro onorarono il calcio – com’è giusto che sia – facendo una bellissima partita, asfaltandoci con un 4-0 indiscutibile. Dall’altra parte mancavano pochi minuti, quindi l’unica possibilità rimasta era il pareggio tra Cagliari e Venezia. Così come l’Udinese, anche il Venezia stava onorando il campionato; pertanto, in quei due-tre minuti mi passarono davanti tante cose, perché sapevo che avevamo un’opportunità ghiotta e importante per la città, per la nostra tifoseria appassionata, per tutti i sacrifici che avevamo fatto, per questa rincorsa. Ho preso la squadra quando aveva appena otto punti, quindi ero cosciente che salvandoci saremmo entrati nella storia. Non centrare l’obiettivo sarebbe stato davvero un peccato. E poi non c’è stata sceneggiatura migliore: noi la sconfitta, loro che non vincono. Il calcio regala emozioni uniche: per questo, a mio avviso, il campionato italiano è il più bello del mondo».
«La salvezza dello scorso anno è stata miracolosa, leggendaria. Non centrare l’obiettivo sarebbe stato un peccato. E poi non ci poteva essere sceneggiatura migliore: noi sconfitti dall’Udinese, loro che non vincono a Venezia. Il calcio regala emozioni uniche: per questo, a mio avviso, il campionato italiano è il più bello del mondo»
Perché le è entrata nel cuore la Salernitana, come ha avuto più volte modo di ricordare?
«Sono nato in un paesino che si chiama Palma Campania. È un paese di Napoli, ma che comunque è ai confini. Ho vissuto mezza gioventù a Napoli, mezza a Salerno. La società che ho fondato, l’università Pegaso – che poi ho venduto – l’ho creata a Mercato San Severino. Ho un cuore diviso a metà tra le due città, che sono entrambe meravigliose. Salerno mi è entrata subito nel cuore. È bella, è una città in cui si respira un’atmosfera e un’energia particolari».
La Salernitana per la prima volta in un derby di campionato ha strappato un punto al Napoli, ed è una soddisfazione. Il Napoli tre giorni dopo ha vinto lo scudetto. Insomma, tutti felici e contenti. Ci sono diversi meme, che poi hanno impazzato in questi giorni in rete: “È stata la mano di Dia”, per fare il verso al famoso film di Sorrentino. Che soddisfazione anche questa per la gente di Salerno.
«Veniamo da un filotto di risultati positivi. Non perdiamo da tante partite, e sapevamo di andarcela a giocare a testa alta. Dobbiamo ancora salvarci, e quindi volevamo fare punti. Il Napoli ha dimostrato di vincere lo scudetto giocando il miglior calcio d’Europa, non solo d’Italia. Sapevamo di incontrare la capolista che stava per festeggiare, ma non ci siamo fatti intimorire. Penso che anche lì abbiamo dimostrato di essere una squadra coesa, arcigna, una squadra che se la può giocare con tutti, con un giocatore straordinario – Dia – che ha fatto un gol incredibile».
«Sono nato a Palma Campania, ho vissuto mezza gioventù a Napoli, mezza a Salerno. La società che ho fondato, l’università Pegaso – che poi ho venduto – l’ho creata a Mercato San Severino. Ho un cuore diviso a metà tra le due città, che sono entrambe meravigliose. Salerno mi è entrata subito nel cuore. È bella, si respirano un’atmosfera e un’energia particolari»
È giusto dire che Dia potrebbe essere il crack del prossimo calciomercato? Il calcio ormai è un’azienda: sappiamo che ogni presidente vorrebbe tenersi i giocatori bravi, però poi di fronte a offerte irrinunciabili…
«Beh, ad oggi non stiamo pensando a questo, stiamo lavorando per riscattarlo, e lo riscatteremo al 100%. Su questo non nutro dubbi, perché è un giocatore importante e ci auguriamo di averlo anche la prossima stagione. Però è evidente che poi dipende un po’ da tante cose, anche dalla sua volontà».
I suoi rapporti con: Davide Nicola, Walter Sabatini e il mondo del calcio, che lei ha più volte detto di voler quantomeno cambiare.
«Tutti buoni, tutti eccezionali. Cominciamo con Davide Nicola. Il mister è una persona veramente dotata di una carica straordinaria, e lo ha dimostrato. È l’allenatore delle salvezze, soprattutto di quelle impossibili, perché lui trasmette energia ai giocatori. Poi il calcio è veloce, il calcio cambia, cambiano i giocatori. C’è bisogno sempre di motivazioni continue, e infatti è frequente il cambio di allenatori anche durante il campionato. Stavamo vivendo un momento un po’ di fiacca derivante da tante cose. Tuttavia, ho un rapporto straordinario e una stima infinita per lui. Passiamo a Sabatini. Lui è il calcio, non si discute. Sono entrato in questa industria da tifoso, ma non da industriale preparato, e lui mi ha subito inserito. È stato un mentore, un maestro, un accompagnatore straordinario. In pochi giorni ha costruito una squadra competitiva, tant’è vero che poi ci siamo salvati, facendo un girone di ritorno incredibile. Siamo ancora in ottimi rapporti, io nutro un’ammirazione per l’uomo e per la sua capacità di vedere cose che in pochi riescono a vedere. Con il mondo del calcio ho un bel rapporto, anche se quello italiano soprattutto dovrebbe trovare maggiore coesione. Lo dimostrano anche i fatti di Lega, in cui incredibilmente a volte abbiamo dei punti all’ordine del giorno che vengono ripetuti perché non siamo capaci di intraprendere decisioni nette con strategie limpide. Ecco, forse su questo punto il calcio italiano dovrebbe un po’ schiarirsi le idee e trovare una strategia, una visione, una “mission” comune, perché resta il calcio più bello del mondo. Lo dimostra anche il fatto che abbiamo due squadre italiane che lottano per andare in finale (di Champions League, ndr). Non solo, abbiamo due semifinaliste in Europa League, una in Conference. Insomma, il nostro è un calcio in salute, il più bello d’Europa».
«Ischia è un’isola mitologica, ha una grande cultura dell’ospitalità. Vanta ristoranti incredibili, hotel bellissimi, scorci, panorami. Ha la dimensione giusta anche per essere godibile per più giorni rispetto a luoghi più ristretti. Purtroppo prima il terremoto e poi la frana l’hanno penalizzata moltissimo, altrimenti senza queste congiunture volerebbe»
Parliamo un po’ dell’isola, sempre con una metafora calcistica. Sulla carta Ischia meriterebbe la Champions League, però c’è tanto che non va?
«Io sono innamorato dell’isola. È da più di quarant’anni che mi godo lo spettacolo di questa terra, perché mio padre aveva casa qui, e quindi siamo cresciuti a Ischia, che è la più bella del mondo. È un’iperbole? No, è decisamente l’isola più bella del mondo. Problemi derivanti purtroppo da tragici episodi l’hanno penalizzata, questo è fuor di dubbio. Ci sono degli ottimi imprenditori; a mio avviso anche la politica, in generale, ha gestito sempre bene le questioni rispetto all’attrazione degli investimenti, alle aperture, anche alle crisi che si sono generate. Sono convinto che nei prossimi anni Ischia sarà la più grande opportunità immobiliare turistico-ricettiva d’Italia, perché le potenzialità dell’ospitalità, della cultura, delle bellezze e delle terme non hanno eguali nel mondo. Sono molto ottimista: Ischia diventerà da qui ai prossimi dieci anni la perla del Mediterraneo».
Qualcuno sostiene che sarebbe il caso di alzare il target dell’offerta turistica, specialmente nel periodo di alta stagione.
«Non entro nel merito degli episodi di cinque-otto hotel che possono o non vogliono, nella loro libertà, alzare e abbassare i prezzi. Ischia ha bisogno di qualcosa in più. È un’isola mitologica per gli stranieri, è stupenda, ha una grande cultura dell’ospitalità. L’isola ha ristoranti incredibili, hotel bellissimi, scorci, panorami. Ha la dimensione giusta anche per essere godibile per più giorni rispetto a dei luoghi un po’ più ristretti. Il problema è che purtroppo prima il terremoto e poi la frana l’hanno penalizzata moltissimo. Penso che il problema sia rappresentato solo da queste due sfortunate congiunture, altrimenti Ischia volerebbe».
C’è un aneddoto che ricorda delle tante vacanze passate qui sull’isola?
«Certo che sì. Ricordo ad esempio mio padre che raccontava ai suoi amici – del Nord o anche stranieri – di quest’isola meravigliosa, e li invitava a venire. E ogni volta che arrivavano sull’isola, la prima cosa che diceva era “stasera andiamo a mangiare il coniglio, che è il piatto forte”. Ricordo le mangiate con a tavola il vino con le pesche, un’altra cosa che qui ha un carattere particolare. E poi i Maronti, le Fumarole, l’eleganza di Sant’Angelo, con delle serate che poi si alternavano con quelle un po’ di ritmo di Ischia porto. Ho dei ricordi incredibili».
«Ho fatto tante cose, quindi nella vita più di qualche obiettivo l’ho raggiunto. Nei miei sogni pensavo di fare delle cose importanti, di affermarmi, di trasferire ai miei figli dei valori importanti, di divertirmi, di creare un gruppo affiatato con i miei manager. Beh, ho realizzato un po’ tutto»
Posso chiederle cosa sognava di fare da bambino? E il suo prossimo sogno nel cassetto?
«Ho fatto tante cose, quindi nella vita più di qualche obiettivo l’ho raggiunto. Nei miei sogni pensavo di fare delle cose importanti, di affermarmi, di trasferire ai miei figli dei valori importanti, di divertirmi, di creare un gruppo affiatato con i miei manager. Beh, ho realizzato un po’ tutto. Ho creato la più grande Università europea, con il concetto di educazione democratica. Sono entrato in un gruppo editoriale e ho comprato il primo magazine italiano. Sono entrato nel mondo del calcio direttamente con una squadra di serie A e ci sono rimasto con la più incredibile salvezza della storia del calcio italiano. Mi sono divertito e mi sto divertendo. Ecco, l’entusiasmo è il segreto della mia vita».
Quest’anno ha fatto festa anche l’Ischia, che è stata promossa in serie D. Ogni tanto i tifosi gialloblù, conoscendo la sua vicinanza all’isola, fanno dei voli pindarici sperando che lei possa dare una mano al sodalizio isolano. Non sarebbe la prima volta che un presidente si “sdoppia”…
«Ischia merita e meriterebbe le attenzioni di tanti imprenditori locali e non locali, perché qui il cuore ce l’hanno lasciato grandi imprenditori, attori, musicisti italiani e stranieri. Quindi secondo me un po’ tutti dovrebbero rimboccarsi le maniche quando si parla di Ischia e di dare una mano al territorio. Ischia ha donato tanto, ha dato tanto amore, e deve ricevere, ha credito nei confronti di tutti. Sono contrario alle multiproprietà. Ritengo che in generale i presidenti di una squadra di calcio debbano essere anche loro dei professionisti. Non ci può essere un giocatore che milita in una categoria in una squadra, e poi si presta anche ad un’altra squadra. Così vale per i giocatori, per gli allenatori, per i direttori sportivi, e quindi anche per i presidenti. La multiproprietà non è una cosa che mi si addice, perché metto sempre anima e cuore in quello che faccio. In questo momento sono concentrato sulla Salernitana. Amo la città, amo la tifoseria, e stravedo per tutto quello che stiamo facendo e che faremo ancora».
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