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Ischia, anche i concessionari dell’area portuale devono pagare la Tari

Di Francesco Ferrandino

ISCHIA. Anche i concessionari di specchi acquei marini per natanti sono tenuti a pagare le imposte sui rifiuti. È questo il responso di una serie di decisioni che vedono il Comune di Ischia uscire vittorioso davanti alla Commissione Tributaria provinciale, in alcuni procedimenti intentati da tali concessionari, che sostenevano di non dover versare alcuna somma relativa alla raccolta e smaltimento di rifiuti, sulla base del fatto che le imbarcazioni ancorate non ne producessero, e che in ogni caso le somme non fossero dovute al Comune. Tuttavia, sono ben quattro le sentenze della Commissione che smentiscono tali pretese, imponendo il versamento dell’imposta, l’ultima delle quali è stata pronunciata il 16 settembre scorso dalla 32ma sezione di Napoli.

La società cooperativa Ischia Barche aveva chiesto l’annullamento del pagamento della Tari per l’anno 2015, motivando la richiesta sul fatto che l’avviso di pagamento impugnato fosse stato emesso sulla base del regolamento comunale Iuc (imposta unica comunale) approvato con una delibera illegittima e quindi da disapplicare, nella parte in cui vengono sottoposte alla Tari le aree di competenza dell’Autorità marittima o comunque specchi d’acqua demaniali in concessione per lo svolgimento di attività d’ormeggio e porto turistico, anche nelle ipotesi in cui i pontili utilizzati non siano collegati alla terraferma. Tuttavia, in seguito alla Camera di consiglio il collegio dei magistrati contabili ha ritenuto infondate le ragioni del ricorso, rigettandolo.

I giudici hanno innanzitutto riconosciuto la potestà regolamentare del comune d’Ischia nell’individuazione delle tariffe e delle aree assoggettate ai tributi comunali come la stessa Tari, e la legittimità sul piano della competenza del regolamento comunale I.u.c.: la legge infatti stabilisce che il termine per deliberare le aliquote e le tariffe dei tributi e dei servizi pubblici locali, “nonché per approvare i regolamenti relativi alle entrate degli enti locali, è stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. I regolamenti sulle entrate, anche se approvati successivamente all’inizio dell’esercizio purché entro il termine citato, hanno effetto dal 1° gennaio dell’anno di riferimento”.

Il regolamento secondo i giudici è valido anche per quanto riguarda l’individuazione delle aree da sottoporre all’imposizione della Tari, specificamente nella parte in cui vengono inclusi gli specchi d’acqua demaniali dati in concessione ai privati, anche quando destinati ad attività d’ormeggio per le imbarcazioni da diporto. Successivamente la Commissione si è concentrata sull’interpretazione del concetto-chiave della controversia, quello di “area scoperta” cui la legge si riferisce  in relazione alla tassa dovuta per l’occupazione o la detenzione di esse: il collegio giudicante ha aderito all’orientamento della Corte di Cassazione, ritenendo che vadano ricompresi in tale nozione anche gli specchi d’acqua, anche quelli demaniali dati in concessione, “tutte le volte che si tratti di aree non ricomprese tra quelle sottoposte alla gestione e al controllo dell’Autorità Portuale”.

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In particolare, una sentenza della Suprema Corte del 2009 afferma che in tema di tasse per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la nozione di “aree scoperte” non si riferisce soltanto alla terraferma, ma a tutte le estensioni o superfici spaziali, comunque utilizzabili e concretamente utilizzate da una comunità umana che produce rifiuti urbani da smaltire, indipendentemente dal supporto (solido o liquido) di cui è composta l’estensione, e dunque dal mezzo, terrestre o navale, utilizzato per fruire di quell’estensione.

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Di conseguenza, la tassa è dovuta anche sugli specchi d’acqua destinati ai posti-barca, ed è il concessionario del servizio portuale ad essere tenuto al pagamento, e la natura di area demaniale marittima non basta a escludere la potestà impositiva del Comune sull’area stessa. Nella stessa pronuncia la Cassazione aveva anche preso posizione in ordine alle modalità di determinazione della tassa: la superficie rilevante a tali fini è quella complessivamente occupata e detenuta, e come tale potenzialmente produttiva di rifiuti. Per quanto riguarda il soggetto tenuto a pagare il tributo, la Suprema Corte stabilisce che egli è colui che “occupa o detiene un’area scoperta quando la stessa è produttrice di rifiuti solidi urbani, per il solo fatto della detenzione od occupazione, indipendentemente da chi sia l’effettivo produttore del rifiuto”.

Quindi la stipulazione di un contratto di ormeggio con il diportista non è affatto sufficiente a sottrarre il titolare della concessione demaniale né la detenzione dell’area né tantomeno l’obbligo tributario. Condividendo tale orientamento la Commissione tributaria provinciale ha quindi rigettato il ricorso della società cooperativa “Ischia barche”, che già nei mesi precedenti si era vista respingere analoghe pretese circa l’omesso pagamento della Tari per il 2014 e della Tares per il 2013. Stesso esito, la scorsa primavera, per il ricorso presentato da un privato in relazione alla concessione di ormeggi nei pressi dell’arenile di San Pietro.

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