Ischia cambia volto con “L’amica geniale”. Fine delle riprese, si ricomincia a luglio
Le ricostruzioni d’epoca, i set in giro per l’isola, le scene chiave, lo sguardo di Alice Rohrwacher. Completati i primi ciak isolani di “Storia del nuovo cognome”, seconda stagione della saga tv tratta dal best seller di Elena Ferrante

Assistere alle riprese di “Storia del nuovo cognome”, secondo capitolo della saga, prima letteraria, ora televisiva, de “L’amica geniale”, è come finire risucchiati nelle spire del tempo. Tutto finto, intendiamoci. Artificioso e ingannevole (tanti militanti comunisti disposti a tappezzare ogni muro dell’isola con manifesti elettorali non si sono mai visti; non saremmo a questo punto, altrimenti). Eppure tutto cinematograficamente verosimile, quindi autentico.
Una “mise en scène” per nostalgici che travalica, trasfigura, la consueta ricostruzione d’ambiente.
Strade liberate dal traffico infernale delle auto, lambrette e autobus dalle forme bombate e colori ormai introvabili, giornali e vestiti d’epoca, qualche comparsa proletaria su cui si è calcata un po’ la mano (suvvia, non siamo nei musicarelli color pastello della Rizzoli film – anche se gli anni sono gli stessi – ma nemmeno in “Furore” di Steinbeck/Ford), empori e negozietti d’artigianato in linea con le esigenze del copione, quindi – deo gratias – bonificati dalle terrificanti luci al neon che oggi avvelenano retina, etica ed estetica.
Il set, stavolta particolarmente articolato (riprese a Forio, Ischia Ponte, Lacco Ameno by night, Via Corafà al Testaccio, squarci dall’alto della spiaggia dei Maronti), è sempre un’esperienza extra cinematografica. Delirante e al tempo stesso spassosa. Folle di curiosi, cordate di fan sfegatati armati di tomo letterario, brontoloni aprioristici «perché non ci fanno dormire», giovani protagoniste che si ammalano, comparse stremate dalle lunghe attese, servizi d’ordine spesso in paranoia (manco fosse un set di Kubrick) e divieti perentori (non vi fermate, non fotografate, non respirate) puntualmente disattesi, rendono quasi impossibile presagire un giudizio assennato (o sereno) su quello che milioni di spettatori in tutto il mondo vedranno il prossimo inverno davanti alla tv.
E cioè il racconto di un’amicizia tra due giovani donne che, nel bene e nel male, pur con andamento carsico, resta segnata dalla sua straordinaria intensità. Come se Lila e Lenù, in vacanza sull’isola d’Ischia con qualche orpello familiare al seguito, avessero bisogno di allentare periodicamente il loro legame per evitare di esserne schiacciate, di rimanere soffocate da una complementarità inevitabile. Vitale e mortale. Chiuse, anche scenograficamente, e perfino negli orizzonti ariosi e romantici che la meta vacanziera contempla e regala, in un mondo di regole che fanno i conti in primis col familismo patriarcale, poi con la dialettica di classe, infine con una più sommersa etica umana e umanistica.
Raffaella Cerullo ed Elena Greco si incontrano bambine e, man mano che crescono, si respingono e si ritrovano. Incarnazioni di energie contrapposte che si alimentano reciprocamente. Sfumature caratteriali che potrebbero appartenere benissimo a una stessa persona (e forse lo sono). Anche se una è rabbiosa, selvatica e spietata, e l’altra più paziente, silenziosa, pura portatrice di uno sguardo puntato su qualcuno da rincorrere e a cui assomigliare.
L’eroina e l’antieroina, la finta-ingenua e la finta-perfida, la goffa e la spregiudicata.
A Ischia Ponte, che sembra un bel presepe (con tutti i pastori al loro posto), arrivano Lenù, Lila, sua madre Nunzia e la cognata Pinuccia. Prendono casa al Cuotto (tutte le scene casalinghe sono però girate in una villa di Panza con pavimento a scacchiera, su cui la scenografia di Basili ha sapientemente calato la mannaia pauperista) e conducono una normale vita da villeggianti nel tempo arcadico, ideale, in cui l’Italia era ancora il paese delle meraviglie.
Giornate che volano, come fa notare mammà all’imbronciata sposina tra le ceste di pesce del mercato, ricostruito proprio sotto Palazzo Malcovati. Lo stesso luogo dove Anthony Minghella, 20 anni fa, mise in scena una processione di morte nel torbido “Talento di Mr. Ripley”.
A nulla servono gli andirivieni dei maritini, salutati con affetto sul molo di Ischia Ponte e stramaledetti due secondi dopo. L’arrivo di Nino Sarratore, occhialuto, spettinato e tenebroso proprio come un ragazzo uscito da un film di Godard o della Nouvelle vague (i cui richiami dovrebbero infilarsi in questo secondo adattamento esattamente come una sorta di ‘neorealismo’ guidò il primo), scassa il già precario quadretto familiare.
Narciso, egocentrico, con un io che satura l’ambiente, Sarratore jr invita tutti a salire sulla giostrina del desiderio, dove ognuno sembra amare chi non è disposto a corrisponderlo. Pinuccia vuole Bruno che vuole Lenù che vuole Nino che vuole Lila. Girotondo sentimentale tra una nuotata, un gelato e qualche vaticinio (il “disordine edilizio” di Ischia) che la Ferrante proprio non ce l’ha fatta a risparmiarci (d’altro canto, poteva mai profetizzare il contrario?). Insomma, scoppia la passione.
Basta una banale distrazione di mammà (invitata senza successo a ballare dall’isolano mentre l’orchestrina oscilla tra un lento e un cha cha cha) che Lila finge di andare a telefonare, Nino la raggiunge, Lenù teme il peggio e infatti li scopre avvinghiati in un bacio appassionato. Tutto girato in pieno centro a Lacco Ameno. Se l’amica geniale consumerà il tradimento a Palazzo Cigliano di Forio, sarà la spiaggia dei Maronti (quella vera o quella finta a Sperlonga, chissà) il luogo dove l’altra ragazzina diventerà donna, distaccandosi dal regno del padre per costruirsi da sola il proprio reame.
C’è da scommettere che ogni quadretto vacanziero delle due puntate “ischitane” sarà comunque ambivalente. Leggero e drammatico, spensierato e minaccioso. Equilibrio razionale (il maschile) e carica emotiva (il femminile). Cosa coglierà lo sguardo evanescente di Alice Rohrwacher di questa umanità un po’ grottesca che agita la storia, e che già nella prima stagione risultava molto più convincente, anche nei suoi accessi di teatralità, folklore e gigioneria, rispetto ai portatori sani di buone intenzioni?
Cosa tirerà fuori dai paesaggi ischitani?
Chi conosce il suo cinema (“Corpo celeste”, “Le meraviglie”, “Lazzaro felice”) non ha certo bisogno di scommettere quanto sia capacissima di andare oltre la facile bellezza delle grandi bellezze (il rischio c’è, se piazzi la macchina da presa sui tornanti che portano ai Maronti: hai la cartolina proprio lì davanti). Pronta a sfidare la coerenza dello spazio/ tempo e immergersi, insieme a noi spettatori, nell’immagine sempre più immaginata e sempre meno reale.
Al punto da farci chiedere se tutto quello che Lila e Lenù vivono “altrove”, in un paradiso alieno ma non irreale, ce lo siamo sognato oppure no.
Troupe e carrozzone ritornano a luglio per girare l’avvelenatissimo epilogo vacanziero dentro le mura di casa. Solo a fine anno (per essere ottimisti), con la messa in onda su RaiUno, sapremo in che modo l’isola d’Ischia sia finita in quella macchina del desiderio chiamata cinema. Dispositivo ancora capace di accorciare la distanza tra il mondo così com’è e come noi lo desideriamo. Ammesso che esista ancora un mondo che desideriamo senza accontentarci.