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Ischia, demolizione illegittima: stop del Tar

I giudici amministrativi hanno annullato un’ordinanza del Comune che imponeva l’abbattimento di una scala e una cucina. La proprietaria dell’immobile aveva presentato un’istanza di condono edilizio nel 2004, mai esaminata dall’amministrazione. Secondo i giudici, l’ente non poteva procedere con l’abbattimento senza prima valutare quella richiesta

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania ha annullato l’ordinanza di demolizione n. 41 del 20 aprile 2021 emessa dal Comune di Ischia contro una proprietà privata situata nel centro di Ischia. La decisione, resa pubblica il 14 maggio 2025 e firmata dalla presidente e estensore Rita Luce, segna un passaggio importante in materia di edilizia e diritto urbanistico, ribadendo con fermezza il principio della sospensione automatica dei procedimenti sanzionatori in presenza di una domanda di condono edilizio non ancora definita. La vicenda prende le mosse da un’ordinanza di demolizione emessa dal Comune di Ischia, che aveva rilevato la presenza di presunte opere abusive in un immobile ubicato nel cuore dell’isola. In particolare, l’amministrazione aveva ordinato la rimozione di due manufatti: “scala in muratura di accesso al lastrico solare”; “locale cucina di mq 22,50”. L’immobile in questione, risultava già coperto da titoli edilizi e paesaggistici risalenti agli anni ’60, con successive richieste di condono edilizio presentate nel tempo.

La proprietaria ha impugnato il provvedimento davanti al TAR, assistita dall’avvocato Bruno Molinaro, sostenendo che per le opere contestate era stata presentata in data 10 dicembre 2004 un’istanza di condono edilizio (prot. n. 31176) ai sensi della legge 326/2003, mai definita dal Comune. Di conseguenza, l’ordinanza di demolizione sarebbe stata emessa in violazione dell’art. 38 della legge 47/1985, che dispone la sospensione dei procedimenti sanzionatori “fino alla definizione delle domande di condono edilizio eventualmente presentate”. “È la stessa autorità comunale a dare atto, nel provvedimento impugnato, che, in sede di sopralluogo, la ricorrente esibiva agli organi accertatori l’istanza di condono”, si legge testualmente nella sentenza. Il Collegio ha ritenuto fondata la doglianza principale della ricorrente, sottolineando come il Comune, non costituitosi in giudizio, non avesse mai fornito riscontro all’istanza del 2004. “Non è provato che il Comune abbia riscontrato tale istanza con un provvedimento espresso”, osserva il TAR. In base alla giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato (tra cui Sez. VI, sentenza n. 4275/2023), la presentazione della domanda di sanatoria sospende automaticamente ogni azione repressiva, impedendo all’ente locale di procedere prima di pronunciarsi. “Trattasi di sospensione del tutto automatica, che incide su tutti i provvedimenti amministrativi adottati ed adottandi aventi ad oggetto sanzioni per abusi edilizi […] fino alla definizione delle domande di condono edilizio eventualmente presentate”, richiama la sentenza con ampi riferimenti.

La mancata risposta ha reso illegittimo il provvedimento sanzionatorio. E per il palazzo di via Iasolino oltre al danno arriva anche la beffa: dovrà pagare le spese legali

Il TAR ha evidenziato anche l’illegittimità della demolizione per vizio procedurale: non è stata fornita una motivazione sul “concreto e attuale interesse pubblico alla rimozione delle opere”, né è stata effettuata una previa valutazione dell’istanza pendente. “Sussisteva l’obbligo del Comune di determinarsi sull’istanza di condono prima di procedere all’irrogazione della sanzione demolitoria”, si legge nel cuore della motivazione. Il Tribunale ha accolto il ricorso “assorbendo ogni altra censura”, dichiarando l’illegittimità dell’ordinanza e disponendone l’annullamento, pur facendo salve eventuali future determinazioni da parte dell’Amministrazione, qualora quest’ultima dovesse finalmente pronunciarsi sull’istanza di condono. Il Comune è stato inoltre condannato al pagamento delle spese legali per un importo di € 1.500,00, da corrispondere all’avvocato difensore della ricorrente, “dichiaratosi antistatario”.

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