Ischia e i suoi sei comuni in uno scenario nazionale ed europeo stravolto
DI FRANCO BORGOGNA
Pensateci per un attimo: uno degli aspetti drammatici, nel dramma più complessivo, del terremoto che ha disastrato il centro Italia, è quello che ha evidenziato tutti i limiti degli attuali assetti istituzionali ( dai singoli Comuni fino all’Europa).
Chi coordina le operazioni di gestione dei territori terremotati e chi indirizzerà le operazioni di ricostruzione? Un Commissario governativo straordinario nella persona di Vasco Errani, che fu governatore della Regione Emilia Romagna. Le Regioni interessate (Lazio, Abruzzo, Marche, Umbria) dovranno accontentarsi di avere, nella figura dei rispettivi governatori, i vicecommissari di Errani. Insomma contano poco o nulla. Né i poveri Sindaci, facenti parte di un Comitato istituzionale con scarsi poteri, possono fare granché, stretti tra le richieste dei cittadini di restare nel proprio paese – vicino a quelle che furono le loro case e le loro attività – e le giustificate direttive nazionali di dislocare i terremotati in zone tranquille ( ma per ciò stesso lontane) al fine di ristabilire un accettabile equilibrio psico-fisico dei senza casa. Al momento in cui scrivo, il Governo, accortosi di eccessive rigidità del decretone del 24 agosto ( primo terremoto) col nuovo decreto del 4 novembre ha dovuto restituire qualche possibilità in più ai Sindaci per affrontare le prime spese per verifiche agli edifici e territorio, ha deliberato l’assunzione di 350 tecnici e amministrativi e ha nominato il prefetto Tronca a capo della struttura tecnica di missione.
Chi può consentire che vengano stanziati tutti i fondi necessari alla ricostruzione? L’Europa, aprendo all’ipotesi di considerare tali stanziamenti fuori della soglia del deficit consentito. Si va scomponendo così tutto il tradizionale assetto istituzionale, prefigurando una ben diversa impalcatura. Non può essere un caso che tra i punti della riforma costituzionale, oggetto del Referendum del 4 dicembre, ci sia la revisione del titolo V , con un sostanziale riaccentramento di poteri dalle Regioni allo Stato. Non può, infine, essere un caso che molti Comuni della Regione Emilia Romagna ( quella che per prima ha sperimentato forme di unione di Comuni) stiano frenando sulle proposte di fusione e i referendum locali stiano dando risultati contraddittori sulla effettiva volontà popolare di cancellare gli attuali confini municipali. All’incirca un mese fa, ben 16 Comuni dell’Emilia Romagna sono stati chiamati al voto referendario per la fusione per gruppi di 3-4 Comuni. Ha prevalso il “ no”, tranne che nell’ipotesi di Comune unico tra Mirabello e Sant’Agostino, due dei Comuni più disastrati nel terremoto dell’Emilia Romagna. In quest’ultimo caso, la disgrazia comune ha fatto da collante, ha contribuito alla coesione. Non è ancora, invece, arrivato al voto l’ipotesi di fusione tra i Comuni di Budrio, Castenaso e Granarolo ( per un totale di 45 mila abitanti) e per la quale già è stato effettuato uno studio di fattibilità.
Fino a qualche tempo fa, a Ischia i fautori del Comune unico ( compreso il sottoscritto) potevano portare, come argomentazione a favore, la volontà di molti Comuni del centro-nord di fondersi. Che cosa pensare adesso che la maggior parte di quelli che avevano avviato il percorso di fusione stanno decisamente frenando? Qual è l’origine di questo mutamento di clima politico-istituzionale? E quali le prospettive?
Riepilogando, gli Stati nazionali si ribellano all’Europa; c’è chi lo fa con motivazioni nobili – come l’Italia – che invoca il diritto di superare il livello di guardia del deficit di bilancio – per fronteggiare la doppia emergenza del flusso di migranti e dei terremotati e c’è chi lo fa per motivi più egoistici e protezionistici per porre barriere all’ingresso dei migranti. Sui quali temi è iniziato anche uno scontro diretto tra Stati nazionali ( vedasi Italia-Ungheria). A livello regionale, c’è chi ritiene arrivato il momento di studiare l’istituzione di macro-regioni e chi ritiene non più tollerabile l’esistenza di Regioni a Statuto speciale ( Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino e Friuli), che non sono, però, messe in discussione dalla Riforma costituzionale su cui andremo a pronunciarci il 4 dicembre. C’è, insomma, un secondo terremoto, quello istituzionale, dopo quello geologico naturale. Non bastava una riforma sbagliata, sull’istituzione della Città metropolitana ed abolizione delle Province, ( che non abolisce ma peggiora) ci voleva anche un Referendum su almeno 5 punti diversi e variegati che ci impongono un “ sì” o un “ no” sull’intero pacchetto, cosicché bisogna che il 4 dicembre ognuno di noi ponga sui piatti della bilancia gli aspetti che consideriamo positivi e quelli che riteniamo negativi, per valutare quali pesano di più. Come ci muoveremo ad Ischia, in questo scenario stravolto, per l’assetto istituzionale? Accantoneremo l’idea del Comune unico? La perseguiremo forse con più convinzione, in presenza di una Città Metropolitana debole, in presenza di una Regione depotenziata, in presenza di uno Stato ingabbiato nelle regole ferree di bilancio che esso stesso ha approvato? C’è la possibilità che i 6 Comuni isolani, proprio in considerazione della rarefazione e della liquidità delle istituzioni sovrastanti, decidano di agire in maniera compatta e coesa, anziché molecolare e parcellizzata. Ma c’è anche la possibilità inversa di rispondere al depotenziamento delle istituzioni piramidali ( Città metropolitana,Regione, Stato) con un pari affievolimento comunale, fino a non contare pressoché nulla. Quando invece proprio i Comuni, in una realtà globalizzata, possono costituire l’ossatura di un moderno Stato democratico. Non so quanto di tutto questo ragionamento possa far parte del bagaglio politico culturale dei nostri attuali rappresentanti politici, che sembrano galleggiare in stand by, in un torpore che non lascia trasparire alcuna luce per il futuro.