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Ischia e il costo della benzina… che non scende mai

di Marco Gaudini ISCHIA

– Molte volte negli ultimi mesi abbiamo sentito o letto dagli organi di informazione notizie circa un drastico calo del prezzo del petrolio. Spesso, abbiamo accolto questa notizia con favore, pensando a dei benefici diretti per le nostre tasche con una sensibile riduzione dei prezzi di carburanti o del gas GPL. Questo però non avviene, o meglio avviene ma con proporzioni differenti sulla terraferma, mentre sull’isola questi lievi benefici a volte non si avvertono neanche. Sono tantissimi, infatti, gli isolani che utilizzano, per il riscaldamento o per usi domestici le bombole del gas, che contengono GPL. (Acronimo di gas di petrolio liquefatti, erroneamente indicato anche come gas propano liquido, in sigla GPL, è una miscela di idrocarburi alcani a basso peso molecolare. Il GPL è trasportato con autocisterna su strada, ferrocisterna su ferrovia, e gasiera via mare. La miscela è composta principalmente da propano e butano, con occasionale presenza di piccole quantità di etano o di idrocarburi non saturi, come, ad esempio, etilene e butilene ndr). Questo gas appunto deriva dal petrolio ed è quindi suscettibile per ciò che concerne il prezzo alle variazioni del costo del barile del greggio. Ma nell’anno che ci ha appena salutato il petrolio ha toccato come costi i minimi storici degli ultimi anni, arrivando a livelli del 2009 o addirittura del 2004. In tutto questo però il prezzo del gas GPL è rimasto quasi invariato. Sia quello utilizzato come carburante per le autovetture, e soprattutto quello delle bombole per uso domestico, che più interessa agli isolani, costa praticamente come prima anzi in alcuni casi i prezzi sono addirittura lievitati. Insomma un fenomeno incomprensibile se consideriamo la tendenza dei prezzi del petrolio nei mesi del 2015. Sicuramente ci sono dei costi di raffinazione, di trasporto e distribuzione, ma anche la materia prima ha un costo, e se questo scende, di conseguenza dovrebbe calare anche quello del prodotto finale. Pare che questo sull’isola non avvenga o se avviene, molto di rado e senza sostanziali benefici per i consumatori. La stessa cosa vale per la “cara” benzina. Inutile farsi illusioni: se anche le quotazioni del petrolio scivolassero sotto quota 20 dollari al barile come alla fine degli anni ’90, il prezzo della benzina non tornerà mai sotto l’euro al litro di allora. Certo la colpa è anche dell’ingordigia dei petrolieri che si difendono dietro ai “costi di raffinazione sempre più alti”, ma la responsabilità più pesante ricade sulle spalle dello Stato. Incapace di tagliare sprechi e spese inutili, i vari esecutivi sono sempre pronti a inserire balzelli e accise nelle pieghe di atti e decreti. Un passo alla volta, un centesimo in più ogni tanto, il peso delle tasse sul carburante ha sfondato quota un euro al litro: lo Stato incassa, tra Iva e accise, 1,012 euro per ogni litro di “verde”. Abbastanza per capire come mai il crollo delle quotazioni del petrolio, complice la crisi economica e la svalutazione dello yuan cinese, non riesca a portare il giusto sollievo alle tasche degli italiani alle prese con l’inizio del nuovo anno. Il calo del greggio non è mai accompagnato da un corrispondente calo dei prezzi al distributore. Basti pensare che da inizio anno le quotazioni del Brent – il pregiato petrolio del mare del nord – è calato del 15% (il 6,3% depurato dall’effetto cambio), mentre il prezzo della verde – rilevato dal ministero dello Sviluppo economico – è salito del 4%. Eppure con le accise ferme ad aumentare è stato solo il prezzo industriale della benzina, l’unica variabile che dipende direttamente dalle compagnie petrolifere, passato da 0,539 a 0,562 euro al litro. I petrolieri si giustificano spiegando di essere loro ad assorbire i rialzi delle quotazioni del greggio per evitare pesanti ricadute sui consumatori finali. Come a dire che l’aumento dei margini quando le quotazioni della materie prime calano sono solo una sorta di risarcimento. Tuttavia, quando il prezzo del petrolio sale, la correzione dei prezzi verso l’alto è immediata, quando invece scende l’aggiustamento è sempre più lento. Il greggio, in calo sotto quota 49 dollari al barile, è tornato sui livelli del marzo 2009 quando il costo industriale era fermo a 0,403 euro al litro: il 28,3% in meno rispetto ad oggi. Certo l’euro viaggiava oltre 1,3 contro il dollaro, mentre adesso scambia intorno a quota 1,11, ma anche depurato dall’effetto cambio il prezzo al barile nel 2009 era più economico “solo” del 15,9%. Insomma resta un ampio margine difficilmente giustificabile. Nel frattempo, le imposte sono aumentate senza sosta. L’Iva è salita al 22% (da 0,193 a 0,284 euro in questo caso), mentre le accise – tra il decreto Salva Italia e le innumerevoli clausole di salvaguardia a garanzia dei tagli alla spesa – sono esplose da 0,564 a 0,728 euro al litro. Nel complesso le tasse sui carburanti sono aumentate in 6 anni del 33% e il prezzo totale è salito del 36%, vanificando in un colpo solo sia il calo delle quotazioni del petrolio sia quello dell’euro che avrebbero potuto essere due choc esogeni positivi ai fini della ripresa, riducendo i costi alla produzione e spingendo l’export. A sorridere, invece, sono i petrolieri che tra un aumento e l’altro riescono sempre a difendere i loro margini.

Se questo vale in generale per la situazione italiana, sulla nostra isola, purtroppo, i costi della verde, come del gasolio sono ancora più alti rispetto alla terraferma. Già in passato abbiamo parlato di questi argomenti, e registrato la posizione dei distributori di carburante isolani, che adducono a tali rialzi i costi del trasporto del carburante dalla terraferma a l’isola. Ma i dati e soprattutto i prezzi dimostrano come questi rialzi, in una diffusa situazione di lieve diminuzione dei costi siano oggi ancora ingiustificatamente alti. Basti pensare che in media un napoletano per un pieno di benzina paga circa 55 euro mentre un isolano per gli stessi litri di “verde” paga circa 70 euro, ben 15 euro in più, rispetto al consumatore sulla terraferma. Un dato che con ampia probabilità non può essere giustificato solo con i costi del trasporto del carburante sull’isola. C’è poi anche un altro aspetto che grava sulle tasche degli isolani, o di coloro che intendo raggiungere l’isola ed è quello legato al trasporto marittimo. Anche per questo la diminuzione generale del costo del carburante  seppur non significativa, dovrebbe rappresentare una minore spesa per le compagnie di navigazione. Guadagni che potrebbero essere reinvestiti, o determinare un risparmio sul biglietto dei passeggeri. Ma, come vediamo tutto questo con ampia probabilità non avviene. Insomma anno nuovo, vita nuova, ma purtroppo su questi aspetti, sembra che non vi sia nulla di nuovo se non la probabile speculazione alla quale sono soggetti ogni giorno i tanti cittadini dell’isola.

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