ISCHIA E IL LENTO DECLINO, UNA “BOLLA” PRONTA A SCOPPIARE

DI BENEDETTO VALENTINO

Ischia, 1982. Il reddito pro-capite degli ischitani è il secondo più alto d’Italia, il boom turistico ed economico degli anni ottanta è senza precedenti: nel 1985 l’isola raggiunge i 5 milioni annui di presenze. L’esplosione del turismo si accompagna ad un “mare” di soldi pubblici, effetto degli investimenti post terremoto del 1980 in Irpinia che danno vita alla cosiddetta “politica delle opere”, con la costruzione di scuole, impianti sportivi, strade. I report dell’economista Massimo Lo Cicero certificano che a Ischia ogni lira investita viene decuplicata: “Sull’isola non si verifica l’effetto ‘pentola bucata’ che caratterizza la politica economica del Mezzogiorno”. Sono anche gli anni dell’abusivismo edilizio, dell’Ischia Calcio che raggiunge la serie C, della movida selvaggia, delle fortune politiche degli esponenti locali democristiani e socialisti.  Il vento in poppa dell’economia isolana sembrava non avere freni. 

Un altro report dell’istituto Sociometrica, relativo ai dati del 2022, a distanza di 40 anni, ci restituisce un’immagine impietosa e specularmente opposta: nella classifica dei comuni italiani turistici il comune d’Ischia si classifica all’86°posto su 100 nel report-raking per valore aggiunto. Mentre Sorrento conserva e difende i suoi record classificandosi al 20° posto, l’unica location dell’isola in controtendenza è il comune di Forio, con la “valore aggiunto turistico” di 317 milioni, 652mila e 580 euro e con un incremento percentuale dello 0,31 %, che si colloca al 47° posto in Italia.

Il comune di Ischia, di contro, crolla con appena 223 milioni, 377mila e 107 euro, a fronte degli oltre 728 milioni di Sorrento e del miliardo e mezzo di euro circa di Rimini. Prima di addentrarci in una analisi socio- economica vanno chiariti alcuni termini: che cos’è il valore aggiunto applicato al turismo? Di fatto è la ricchezza netta che produce il turismo, il complicato calcolo è fondato sulle presenze turistiche, sia ufficiali che sommerse, e sul conto ”satellite” realizzato dall’Istat tenendo conto delle imposte locali e di una serie di altri fattori. A completare il quadro della crisi di Ischia, a questi numeri, bisogna aggiungere quelli dei debiti contratti dalle aziende isolane in questi anni: secondo il report di Banca d’Italia le aziende isolane hanno un debito pari a circa un miliardo e duecento milioni. Se questi debiti sono paragonati al “valore aggiunto” cioè alla ricchezza prodotta annualmente, è una voragine spaventosa.

Come è stato possibile dilapidare in 40 anni tutta la ricchezza? Le motivazioni sono molteplici: in primis l’inadeguatezza e l’impreparazione culturale degli imprenditori locali. Abbiamo spesso scambiato per “grandi” capitani d’industria persone che non sapevano far di conto. Ma anche gli “esperti” di finanza come i responsabili delle banche che hanno operato sul territorio non sono stati da meno: hanno elargito fondi e finanziamenti a pioggia in un’economia drogata, senza tener conto dei reali dati economici e finanziari. Come si fa ad elargire finanziamenti per più di un miliardo e duecento milioni di euro in una mono-economia che non raggiunge i 600 milioni (complessivamente nei sei Comuni) annui? Se il privato piange, il pubblico non ride: i bilanci dei comuni isolani e delle partecipate sono fuori controllo, come gran parte della finanza locale italiana. In questo quadro bisogna registrare un dato altrettanto inquietante: il silenzio assordante della classe dirigente isolana, priva di una visione del futuro, concentrata solo ad ampliare la sua clientela personale, incurante di quello che accade nell’economia e nel paese. 

Questa estate 2023 non invita certo all’ottimismo: in attesa dei dati ufficiali è sotto gli occhi di tutti la crisi di presenze e la capacità di spesa dei turisti. Poco o nulla valgono gli incoraggianti dati sull’incremento degli stranieri: il gigantesco sistema Ischia non regge senza i grandi numeri. Se è vero che la qualità premia, questo può valere solo per poche e selezionate aziende turistiche, non certo per un sistema con 500 hotel e centinaia di BB. E’ esercizio ozioso e inutile pensare che il crollo di questa estate sia solo colpa della frana di Casamicciola. A margine di questi numeri emergono due considerazioni: la prima è che Forio è l’unico comune, almeno fino al 2022, ad affermarsi come player principale delle destinazioni isolane e questo va a merito della sua classe dirigente e imprenditoriale, mentre di contro il Comune di Ischia ha registrato un crollo catastrofico. Un’altra considerazione, più generale, si può relativizzare in un dato: la tendenza del turismo attuale premia le città d’arte in primis Roma, Venezia, Firenze e recentemente Napoli. La comunità europea sull’isola ha finanziato ben sei musei: nessuno di questi ha visto la luce perché i fondi sono stati dirottati altrove. Possiamo continuare a pensare che senza attrattori culturali l’isola resti competitiva soltanto come stazione balneare o dell’ormai defunto turismo termale? Pensiamo davvero che la cultura da proporre ai nostri ospiti sia solo quella culinaria dei ristoranti stellati?

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