CULTURA & SOCIETA'

ISCHIA in 3 P – PAESI, PAESAGGI & PERSONE – C’era una volta il Cavone della Panzese, oggi via delle Vigne

Ci sono luoghi che non possono abbandonare la nostra memoria. Specialmente se la memoria ha registrato qualcosa di bello che oggi non è più dato riscontrare nella sua interezza e soprattutto nel suo fascino.Uno di questi luoghi è il Cavone della Panzese, nel comune di Ischia. Era una strada di campagna selciata con pietra lavica e interamente incassata nel terreno per una altezza media di circa tre metri, protetta da parracine su ambo i lati, che univa via Nuova dei Conti , e quindi la vicina Fiaiano, nel comune di Barano, con l’attuale Via delle Terme. Ha resistito, grosso modo nella sua originaria conformazione ed integrità, fino alla prima metà degli anni settanta, ovvero fino alla costruzione della cosiddetta variante esterna di Ischia, oggi tristemente nota come superstrada della morte. E’ incredibile come le cose possano cambiare in un arco di tempo così breve! Fino alla fine degli anni sessanta un Eden, oggi quasi un inferno. Ecco, oggi io voglio ricordare ai miei coetanei , e raccontare ai giovani, com’era quella strada e quello che c’era intorno ad essa. Non si tratta di una semplice operazione nostalgia, un Amarcord paesano, quanto piuttosto il tentativo di ricostruire e , se possibile perpetuare, il ricordo di un luogo e di persone che vi hanno vissuto con tempi e modalità di vita e di rapporti che occorrerebbe in qualche misura recuperare.

IL CAVONE, UN UNIVERSO PIENO DI VITA

In quell’epoca io vivevo con la mia famiglia in quella zona , che conosco a menadito, e coltivavamo un fondo agricolo in affitto dalle famiglie Albano e Sogliuzzo. Il Cavone era un piccolo universo pieno di vita e di variegata umanità. Immerso nel verde quasi totale della campagna,interrotto qua e là da poche case contadine. Sull’innesto con via delle Terme, lato monte, splendidi aranceti che iniziavano a ricoprire il terreno da molto più in basso, praticamente dall’altezza della chiesa di san Ciro. Poi , addentrandosi di poche decine di metri nel Cavone, iniziavano i vigneti con spalliere altissime di Biancolella,Forasterae Coglionarasoprattutto, ma anche di Guarnaccia , Guarnacciello e Cannamellatra le uve rosse. Ma non mancava l’uva Romana ( con cui si faceva l’uva passa), l’uva S. Anna , o Lugliese ( la prima uva da tavola a maturare in estate, e pronta appunto già dalla ricorrenza di S. Anna!), l’uva Pane, oggi quasi del tutto estinta insieme alla Sanginella, splendida uva con acini croccanti e buccia sottilissima, e l’uva Aitella , detta anche cornicella rossa. Tutte uve ricercatissime sia dagli ischitani che dai turisti napoletani ( i cosiddetti signur(i) ) I terreni coltivati ricoprivano, sul lato est, tutta la fascia ricompresa tra l’attuale via Delle Vigne ( nome attribuitogli negli anni 70) e via Morgioni , salvo le case in quella zona un tantino più aggregate tra loro. Proprio in questa fascia fino al secondo dopoguerra erano presenti anche estese coltivazioni del cosiddetto limoncello di sugo, oggi pressocché introvabile.Si trattava di un piccolo limone a forma di trottola ( in realtà una limetta acida) , privo affatto di semi, con buccia sottilissima e con polpa ricchissima di succo di giusta acidità. Gli ischitani ne facevano commercio soprattutto con la città di Napoli e rifornivano anche i cosiddetti acquaioli che la usavano per le tipiche limonate freschemolto care ai napoletani e non solo. Il limoncello di sugo è stato praticamente estinto da una grave epidemia di malsecco parassitario che colpì i limoneti di tutta l’isola alla fine degli anni quaranta. Al suo posto, lentamente vennero impiantati in consociazione con i vigneti, alberi da frutto con predominanza di albicocchi e peschi ( tra questi, varietà oggi estinte quali : fiore di maggio, pellesa, lugliese , terzarola, percoca puteolana, pesca di vendemmia, e pompetta, una pesca bianca semiselvatica ma saporitissima che diveniva a maturità appunto una pompetta perché attaccata da larve di mosca mediterranea ( Ceratitis capitata, Wiedmann ) che già all’epoca faceva la sua comparsa , seppure in epoca molto tardiva, sull’isola. Poi c’erano i fichi ed i nespoli , questi meravigliosi nel loro abito sempreverde. La coltura si specializzò con l’introduzione dalla Sicilia ( innestatori siciliani vennero in zona e innestarono in campo semenzali di nespolo comune) di varietà a frutto grosso e con pochi semi , di cui alcune particolari come la Vainiglia , con buccia giallo tenue, precoce e con polpa all’aroma di vaniglia.

LO SPETTACOLO E LA SUGGESTIONE DI VIGNETI E PARRACINE

Sul lato a monte del Cavone era una distesa totale di vigneti, seppure con presenza anche colà di alberi da frutto. E la cosa si ripeteva ambo i lati per tutto il tracciato della strada , e rimbalzava oltre via Nuova Dei Conti fino al limite dei cedui castanili ed alla macchia mediterranea della Bannerae del Montagnone, ad occidente. Ad Oriente stessa splendida sequela, fino all’attuale via Morgioni, e poi a salire sulla Costa Del Lenzuolo, e da via Montagna ( oggi deturpata ed avvilita oltre ogni soglia di scandalosa vergogna!)fino al culmine della collina ove c’era una casa solitaria che io ricordo come la casa di “ Rafele e F(o)rtun(a) Migliacc(io) “ , quasi un eremitaggio da cui il golfo di Napoli e la parte valliva di Ischia veniva dominata con lo sguardo privo di inquietudine, quella che pervade ( o può pervadere !) chi osservasse oggi il brulichio rumoroso e poco rassicurante degli stessi luoghi di allora. Era una teoria ininterrotta di vigneti appollaiati su un reticolo di catene di terra ( leggi così : terrazzamenti) sostenute da chilometri e chilometri di parracine ( leggi : muri a secco) che in estate si ricoprivano per lo più di bellissime cannucchiare (Valeriana rossa) dalle splendide infiorescenze rosa chiaro, o più raramente bianche. Vigneti sapientemente ed amorevolmente curati dai contadini che presidiavano così il territorio collinare del comune e dell’isola intera.Parlavo del Cavone come un piccolo universo di vita e di variegata umanità, ve ne do conto : Innanzitutto la strada era percorsa a piedi, sia in discesa che in salita da persone provenienti da Via Nuova dei Conti e da Fiaiano. Soprattutto contadini che si recavano ad Ischia per vendere la propria frutta, il vino trasportato a spalla in barili o con damigiane di vario volume. Non di rado si incrociavano anche muli o asini con i basti caricati di barili di vino di fresco travasato ( traficato, dial.) e portato a clienti di varie parti del comune. Nella stagione autunnale non erano rari i cercatori di funghi che frettolosi si portavano nella città per vendere o portare in omaggio a persone di riguardo il frutto della loro fortunata raccolta nei boschi del Montagnone o nei castagneti del Cretaioo di Trippodi. Persone di cui ho un ricordo molto bello sono Antonio Buono e sua moglie Reginella. Abitavano a circa 2/3 della salita del Cavone. Persone laboriose e gentili, di rara umanità ed educazione. Poi c’era un contadino anziano di Fiaiano, forse un fascinaro( tagliatore del sottobosco e allestitore di fascine per i forni del pane). Scendeva in tutti i periodi dell’anno verso Ischia con un vecchio canestro rabberciato alla meglio e sempre con delle foglie di felci che coprivano dei funghi. Gli domandavo dove mai trovasse sempre ed in ogni stagione dei funghi e lui rispondeva che lui e solo lui conosceva i posti adatti e le epoche giuste, che era suo mestiere, e rideva mostrando la sua bocca sdentata. Quanta verità e quanta innocente saggezza in quelle parole! Non dimentico i braccianti agricoli ed i muratori della nascente edilizia che negli anni sessanta, già dall’alba scendevano ad Ischia in piccoli gruppi.

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QUANDO IL CAVONE ERA LA VIA DEL LATTE

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Ma non di sole persone in transito voglio parlarvi, cari lettori, ma anche di alcune figure dedite ad attività particolari proprio nel Cavone che, possiamo dire, in quell’epoca era la VIA DEL LATTE ! Infatti c’erano ben tre stalle: una di mucche da latte di Aniell(o) u vaccar(o), uomo alto e forte, con in testa sempre un berretto stile marinaro, dedito insieme alla sua famiglia all’allevamento di alcune mucche ed alla distribuzione del latte fresco a domicilio alle famiglie del Vuagn(o)( leggi : villa dei Bagni, in pratica l’abitato di Ischia). Aniello specialmente in primavera ed in estate si dedicava alla raccolta di erbe spontanee ed a residui delle coltivazioni di carciofo ed altre piante buone per le mucche, dagli agricoltori della zona. Poi due stalle di capre, una condotta da Rafele e Salvatore (padre e figlio) e una con una mandria più numerosa di Francisc(o) e Belardin(o). Il primo portava di primo pomeriggio le capre al pascolo sulla Fasolara, la Riserva Mazzella ( ora parco delle Ginestre), l’attuale Bosco D’argento, ecc. per ritornare al Cavone all’imbrunire. Qui giunto trovava una lunga mangiatoia allestita proprio al centro della strada da Belardino ( Bernardino) , con un pastone fumante di farinaccio con pezzi di pale di fico d’india o altre piante appetite dalle bestie. Spesso dal ritorno da pascolo, Francesco, sempre con animo gioioso e viso sorridente, portava dei caprettini in spalla nati durante il pascolo, con mamma capra che seguiva da tergo il suo pastore e padrone. La strada era sempre pulitissima perché terminata la pastura e ricoverato il gregge nella stalla, Belardino ritirava la mangiatoia e ramazzava ben bene tutto il posto. Era, quel tratto, il più pulito dell’intero Cavone! La via del latte era frequentata in primavera da un volatile crepuscolare detto Ciatazzo, in italiano Succiacapre, che si aggirava sul posto proprio perché attirato dagli armenti e dal loro latte di cui la specie è ghiotta. Spesso, di ritorno dai campi, sul far della sera, incrociavo questo strano uccello intento a percorrere a volo basso il Cavone nei pressi delle tre stalle, procurandomi anche qualche spavento.

VITICOLTORI D’ALTRI TEMPI VITICOLTORI D’ARTE ,I FRATELLI MAZZELLA

Loro erano Vincenzo e Pietro Mazzella che abitavano nella prima casa che si incontrava a circa 250 metri dall’ingresso del Cavone, sul lato destro in salita. Avevano altri fratelli, ne ricordo due: ‘ Ntunin(o) (Antonio) e Pascal(e) ( Pasquale )che ho conosciuto direttamente, di altri eventuali non ho personalmente mai avuto conoscenza.I nostri due, celibi, vivevano insieme ad una loro sorella nubile , Maria, appena al di sopra delle stalle di cui ho riferito sopra. La nostra schiappa coltivata a vigneto ( di proprietà della famiglia del rev. don Franceschino Albano di Ischia ) era contigua alla loro e divisa da un sentiero a rittochino con una scaletta in pietra in corrispondenza di ogni terrazza. Erano grandi amici di mio padre. Io, ragazzino, non potevo che fare il confronto tra la nostra terra, ed ancor più quelle di altri, e quella di Vincenzo e Pietro. E ne rimanevo stupefatto ed ammirato! Erano due coltivatori instancabili e appassionati, ma soprattutto erano, già all’epoca, viticoltori d’altri tempi, tranquilli e contenti della loro condizione. Il loro vigneto era bellissimo e perfetto: spalliere robuste e regolari armate di tutto punto con pali e traverse di castagno sapientemente combinati nel verticale e nell’orizzontale, senza sbavature, tanto da far esclamare a tante persone : ma questi usano piombo e livella ! Le parracine erano un modello ineguagliato di perfezione : non una pietra fuori posto, ne spanciamenti, ne tratti crollati che non venissero riparati in men che non si dica, ne un filo d’erba o una parietaria che non venisse sradicata appena visibile. Ed il suolo? Zappato a mano in autunno a taglia profonda , poi due – tre scorse ( sarchiature e zappettature leggere ) tra la primavera e l’estate . Ed il risultato era sempre lo stesso: un mare di terralapillosa che sembrava una coperta stesa su un letto pronto ad accogliere le membra stanche di un esercito di persone. La perfezione si misurava sulle maren(e)) , ovvero le capezzagne al colmo delle parracine: la terra sembrava stesa a mano, dritta, con pendenza regolare e senza tracimazioni . In quella perfezione si poteva notare un uccello , ma che dico, una lucertola o una biscia anche a cento metri di distanza, e così veder cadere una foglia per terra. La stessa cosa accadeva per la vigna: ceppi quasi del tutto eguali per sviluppo e conformazione. Potature equilibratissime, carichi d’uva sempre regolari negli anni. A luglio, dopo l’ultima scorsa del terreno, piantavano fuori alle maren(e) tanti corti pioli di canna a sostenere i tralci più bassi con pesanti grappoli di biancolella per evitare che toccassero terra. Tutti allineati e coperti, erano, perfezione nella perfezione, come un piccolo esercito di soldatini. Due ricordi particolari mi legano a loro : a dodici anni, in vendemmia, volevo imitare i braccianti che trasportavano l’uva in cantina, insofferente a stare con donne ed anziani a tagliare l’uva. Mi era concesso, ma con un canestro di circa 5 kg. di uva in spalla. Volevo essere più veloce degli altri e giungere per primo in cantina. Mi permisero, i due fratelli, di tagliare per la loro proprietà e di vincere la mia scommessa con i braccianti. Il secondo: inizio di aprile del 1970, mio padre a letto con la bronchite non può portare a compimento la legatura del vigneto, già potato, sulla schiappa degli Albano.Vado, un giorno, per dare erba nel fosso dei conigli, e con mia grande sorpresa trovo tutto il vigneto sistemato e ben legato. Insieme ad altri volenterosi i due fratelli erano andati e fatto quello che mio padre non poteva fare. Una solidarietà operosa e spontanea che apparteneva al mondo contadino di un tempo, che sapeva intervenire laddove c’era necessità, senza che nulla fosse chiesto in cambio se non una stretta di mano e un grazie dato occhi negli occhi. Questi uomini buoni e generosi mi hanno insegnato il valore autentico dell’amicizia. Il mio pensiero grato e riconoscente va a loro ed a tutti quelli come loro che ho avuto la grande fortuna di incontrare nella mia vita.

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