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Ischia: le lobby, gli affari

Anche Ischia ha la sua “terra di mezzo”. Una terra di mezzo che non c’entra nulla con quella fantasiosa dello scrittore Tolkien, ma c’entra assai con quella descritta da Carminati e Buzzi in Mafia Capitale; un’esplicazione sociologica criminale, un luogo dove s’incontrano tutti, i vivi e i morti, i colletti bianchi e i colletti neri, imprenditori e delinquenti. Un universo sotterraneo, parallelo, dove avvengono i veri giochi economici e si disegnano i destini futuri dell’isola. Spesso ci soffermiamo ad analizzare e criticare i fenomeni politici superficiali, epidermici, minimali, più visibili. Anche noi della stampa locale ci lasciamo intrappolare nei giochini dei consiglieri comunali che si contendono il nulla o poco più. Mentre lobby emergenti, legate da vincoli a volte solo economici, a volte massonici, a volte condite di settarismo religioso, lavorano per mettere le mani sui gangli vitali dell’economia isolana, dalla grande distribuzione agli appalti pubblici, dalla gestione dei porti alla gestione del post-terremoto, dal monopolio dei tecnici (ingegneri, geometri, avvocati) alla gestione dei rifiuti. Questi fenomeni sfuggono ai più e, ho il timore, che sfuggano alle Forze dell’Ordine. Non sono nemmeno sicuro che i Comandi locali di Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza leggano le continue segnalazioni della stampa locale.

Un giornale locale scruta, analizza, riporta cronache, ma non gli si può chiedere di fare denunce con nomi e cognomi, luoghi e circostanze precise. Non siamo investigatori, non ne abbiamo né la veste né gli strumenti a disposizione. E tuttavia non si può far finta di nulla quando si dice (come è scritto nel dossier della DIA) che clan camorristici, ben identificati, hanno allungato le mani sull’isola, che alcuni amministratori pubblici e alcuni imprenditori locali si illudono di intrattenere con essi rapporti di affari border line. Quando, irresponsabilmente, si cercano affari con la camorra, c’è una sola parte che ci guadagna: la camorra. Un episodio sconcertante è stato riferito da Gaetano Ferrandino sul Golfo del giorno 11 ottobre: la “tombola della camorra” che quest’estate in un bar ischitano ha messo in palio una pistola agli aspiranti criminali. Sembra un rituale folcloristico della malavita; non lo è. E’ l’arrogante sigillo della mala sulla nostra isola. E’ un marchio infame! E’ proprio di questi giorni la denunzia pubblica fatta dal Procuratore di Napoli, Giovanni Melillo, in occasione della presentazione del libro “Pagine di impegno civile” scritto dal collega Antonio Bonajuto, ex Presidente della Corte di Appello di Napoli: “Tutto conduce a riconoscere che la camorra non è cosa altra rispetto al sistema economico e delle imprese, ma una componente del sistema con tutto ciò che comporta”.

Costanzo Jannotti Pecci, Presidente di Confindustria Campania, dopo avere amaramente incassato la grave accusa del Procuratore Melillo, ha dichiarato al Corriere del Mezzogiorno del 10 ottobre:”Nessuno di noi vive nell’iperuranio; c’è chi pensa che è più facile fare affari con farabutti criminali, ma nel nostro sistema è diffusa l’idea che prestarsi sia una cosa negativa e che può portare solo problemi. Diventare complici significa esserne schiavi”. Il paradosso è che camorra e imprenditoria lobbistica, stanno avendo una mutazione genetica per assomigliarsi sempre di più: la camorra disveste i panni trucidi di assassini e indossa camicia, cravatta e master universitari, mentre gli imprenditori lobbistici si spogliano della tradizionale austerità degli ascendenti per vestire i panni del rampantismo senza scrupoli. Sempre Jannotti Pecci afferma: “Oggi c’è una malavita 4.0. Ad un sistema delinquenziale che prima operava in forme tradizionali, oggi si affianca e sostituisce una delinquenza che si muove sotto traccia, utilizzando i nuovi strumenti tecnologici”.Adesso è intervenuto anche un fatto nuovo, per me grave e clamoroso, ovvero l’istituzione presso la pur gloriosa Università napoletana del Suor Orsola Benincasa, retta da Lucio D’Alessandro, di un Master in Management di lobbismo, definito “ Lobby Napoli”. Accademico di questo Master è una vecchia conoscenza della politica, Claudio Velardi, ex spin doctor di D’Alema.

Per assurdo, questo Master è promosso, oltre che da istituzioni pubbliche ed imprese, anche dai sindacati. Naturalmente, sia il Presidente degli Industriali napoletani, Ambrogio Prezioso, sia Claudio Velardi, danno una versione edulcorata e modernista del Master. Si sostengono due argomentazioni: che in altri Paesi il lobbismo è cosa del tutto normale e frequente, tanto da essere previsto e disciplinato per legge; che per agevolare i processi produttivi è necessario apprendere tecniche comunicative capaci di interloquire ed interagire con istituzioni pubbliche. La verità è che si vuole insegnare come condizionare il potere legislativo ed amministrativo ai fini del perseguimento di obiettivi aziendali e personali. Certo che lo si fa da anni in America, ma in piena trasparenza; con tanto di etichetta, nome, cognome, registrazione di qualsiasi tipo di finanziamento . Come ci ricorda Massimiliano Panarari, professore di Marketing Politico presso l’Università Luiss di Roma: “ Già dal 1946 in America vige il The Lobbying Act, che viene aggiornato continuamente per la massima trasparenza”. E, comunque, l’America non può essere un modello di società solidale e giusta. In un recente report dell’Agenzia internazionale Trasparency, specializzata nel classificare la capacità dei singoli Paesi nel contrastare i crimini, l’Italia accumula soltanto 29 punti su 100 nella capacità di contrastare l’influenza illecita delle lobby.

Da oggi in poi, purtroppo, i figli dei camorristi e degli imprenditori avvoltoi potranno conseguire un Master al Suor Orsola Benincasa. Li autorizzeremo a presidiare Parlamento, Regioni, Comuni per “ orientare” leggi, provvedimenti, finanziamenti; gli insegneremo tutte le tecniche comunicative, palesi o subliminali, per piegare, agli obiettivi di lobby, il potere politico. Chi saranno i giovani ischitani che sceglieranno di seguire questo Master? Figli di normali famiglie borghesi, desiderosi di imparare il marketing politico? O saranno i figli di imprenditori, desiderosi di trovare scorciatoie per implementare le proprie attività? Una volta, i coraggiosi pionieri dell’imprenditoria isolana, utilizzavano l’intuito, il coraggio del rischio imprenditoriale, il prestito dall’amico, il lavoro sodo giorno per giorno, senza voler mitizzare niente e nessuno ( ma potrei citare casi esemplari ed encomiabili). Al più si faceva ricorso alla Cassa per il Mezzogiorno o a qualche influente amicizia dell’allora glorioso Banco di Napoli. Oggi, evidentemente, non basta più. Certo che i nuovi imprenditori hanno bisogno di più istruzione e maggiori conoscenze dei loro padri, ma non così! Per favore, non con le lobby, non con i collateralismi con i clan malavitosi. Sono scorciatoie che non fanno bene alla collettività, ma – alla lunga –  non giovano nemmeno agli imprenditori senza scrupoli. Non solo nei film avviene che chi deroga dalle regole e dai patti con i settori extra legem, finisce male, economicamente (se ti va fatta bene!).

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Franco Borgogna

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