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“The Tempest”, a Villa Arbusto l’ultima magia di Shakespeare

Gianluca Castagna | Lacco Ameno –  Non è una faccenda di risposte, ma solo di domande. The question, appunto. Rifiutare quella tradizionale (essere o non essere shakespeariani fino in fondo) e chiedersi piuttosto come consegnare le moderne pulsioni e la vitalità incendiaria dei testi di William Shakespeare alle giovani generazioni. Ironia, azione, colpi di scena, una prosa avvincente e soprattutto protagonisti in cui albergano virtù, passioni, debolezze, ambizione e un desiderio, talvolta sfrenato, di trovare il proprio posto nel mondo. L’entusiasmo per il teatro del Bardo è tutto qui. Da sempre.

Un piccolo gioiello. Non servono termini scivolosi per tramandare la piena riuscita di “The Tempest – Castaway Night Club”, adattamento teatrale de “La Tempesta” di Shakespeare a cura di Roberto Aldorasi e spettacolo conclusivo di “Metamorphosis” 2017, rassegna organizzata in collaborazione con il Comune di Lacco Ameno per la direzione artistica di Salvatore Ronga.
“La Tempesta” è uno strepitoso viaggio nel sogno e nell’illusione. Un dramma di genti e di spiriti, spunti sanguigni e immensi desideri. Un prisma disponibile a scindere tutti i colori della prosa shakespeariana e opera testamento in cui l’Autore si congeda dal teatro e dalla vita.
Aldorasi la tramuta in una storia sulla fine di un’estate e di un’età: Prospero non è più il vegliardo demiurgo padre di Miranda, catturato nel momento in cui decide che ogni cosa debba finire. E’ invece un fratello maggiore che spezza la sua bacchetta, rinuncia alla vendetta e alla magia, per entrare nell’età adulta e sottrarsi al sortilegio fatale del suo stesso autore. Prima, però, bisogna fare i conti con figure e intrighi che copiano la vita. Compresa la sua, anima inquieta come un fantasma elisabettiano, decisa a prendersi le sue rivincite nei confronti dei mostri che comandano, a passo di carica, la cosiddetta vita reale. Sono coloro che lo hanno spodestato dal suo regno (il Ducato di Milano) ed esiliato su un’isola sperduta insieme alla sorella Miranda, in compagnia dello spirito Ariel e del servitore/schiavo Calibano.
Una realtà dove le passioni e le paure umane sono talmente vivide da azzerare perfino le nostre.

Il tempo per l’ultimo incantesimo (la bufera teatrale) è arrivato. L’adattamento scenico riflette la struttura circolare, a spirale, centripeta e centrifuga al tempo stesso, del testo. La terrazza del Belvedere al Museo Archelogico Pithecusae è la tolda della nave con la quale aristocratici traditori e ciurma fracassona tornano da un matrimonio esotico sulle coste africane. Basta poco, un numero di magia (un colpo di teatro), e le povere anime si trovano in pieno delirio tra la furia delle onde e la barca in fiamme. L’immaginario prende forma nelle parole, in napoletano antico, adattate da Ronga con padronanza ammirevole anche quando, sul finale, perdono fronzoli&frenesia per aderire senza più strappi espressivi alla sobria essenzialità dell’epilogo.
Nella burrasca, intanto, urla apocalittiche, dolenti e sguaiate, di uomini che cercano disperatamente di sopravvivere. E sopravviveranno, poiché “La tempesta” non è “Macbeth” o “Romeo e Giulietta”. Qui non muore nessuno. Finiscono tutti dispersi in un’isola-giardino.
Aldorasi usa il parco-scenico (di Villa Arbusto) come un intricato labirinto, fatto di crepuscoli, zone opache, orizzonti aperti o schiacciati dal rumore (reale!) del traffico. Illuminato dalla calda luce naturale del pomeriggio (il primo spettacolo) o dai cromatismi artificiali all’imbrunire (nella replica inevitabilmente più elisabettiana), denso di suoni misteriosi (musiche di Gamino/Jambassa) e di creature che lo percorrono incessantemente con le loro memorie, le smanie, i desideri, le ansie di libertà. Una fiamma interiore che si vede nello sguardo, nel modo di camminare, saltare, invitare lo spettatore ad un nuovo incantesimo.

Con l’approdo sull’isola della ciurma napoletana, salta in aria il sottile equilibrio di potere creato da Prospero: Ferdinando, figlio del re di Napoli, incontra Miranda e i due giovani si innamorano subito; il servo un po’ mostro un po’ selvaggio Calibano si ribella pronto a vendersi a una nuova corona; Stefano e Triculo, ubriachi e allucinati, architettano una ribellione contro Prospero.
Il caos regna sovrano. Chiunque può diventare il nuovo padrone dell’isola, perfino un guitto dal simpatico accento partenopeo. E’ il gioco della commedia che rende paradossale ogni semplice possibilità di cedere alla verità delle cose e dei sentimenti.
Il congegno fantasmagorico si spezza per volere di Prospero: nella valigia/scrigno che nasconde il tesoro più prezioso di un Ducato, sbucano maschera, trucco e parrucco. I ferri del mestiere a cui dire addio. «Voglio togliermi questo costume e apparire come il duca di Milano che ero un tempo». Sciolti i nodi della «vile trama che ci costrinse a partire», tutti i personaggi sono ormai liberi dal suo giogo, come dagli stratagemmi teatrali del loro Autore.

Il regista Roberto Aldorasi realizza una rapsodia pungente di struggente bellezza, una lezione di teatro intelligente ed emozionante. Senza mai perdere di vista l’ingranaggio fiction e il ‘realismo’ dell’ambientazione (intesa come essenza della cose e degli uomini), spingendo il pathos drammaturgico ben al di là del superficiale leitmotiv di una lontananza incolmabile tra l’essere e l’apparire.
Come quando Ariel (Lucianna De Falco), spirito dell’aria che abbiamo solo udito (a volare è la sua voce!), prende corpo per salutare l’umanità di nuovo sulla tolda, ormai al largo dell’isola. Magari è anche un po’ Salvatore Ronga che saluta i suoi giovani attori dopo anni di vita e teatro assieme. Daniele Boccanfuso è un Prospero di salda sicurezza e maturità, Irene Esindi ancora una volta sorprendente per misura, accenti e cura del gesto, il Calibano di Giulio Cigliano di umanissima stoltezza con una performance, anche fisica, ai limiti dell’acrobazia. Ancora Leonardo Bilardi, Milena Cassano, Riccardo Scotto Pagliara, Giovangiuseppe d’Ambra, Pietro Desimio, Antonio Manzi, Angelo Iacono e i naufraghi/spiritelli Giulia Scotti, Lucrezia Mandolini, Riccardo Scotti, Mariafrancesca De Martino, Gaia Greco, Paolo Bellezza.
Circola voce che per alcuni di loro sia tempo di lasciare compagnia e teatro, l’arte magica di cui conoscono profondità e infondatezza. Mica ci credo. I fantasmi non passano, si nascondono solo con più astuzia.
(photo: Lucia De Luise)

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