LE OPINIONI

IL COMMENTO Quell’amore per l’isola dal sapore diverso

DI ARIANNA ORLANDO

L’amore per l’isola ha qualcosa di diverso rispetto a quello per la continentalità. All’idea di continente partecipa, seppure involontariamente, quella di grandezza e allora il sentimento diventa un miscelarsi di cose mobili e in modo veloce, di aspettativa e soprattutto di nuovo. Noi dell’isola invece siamo vincolati alle cose nella loro forma composta e caduca, antica e millenaria. Tutto ciò che ci circonda non è nostro, noi lo abbiamo ereditato. Abbiamo ereditato la lingua ma soprattutto il linguaggio, abbiamo ereditato la cucina, abbiamo ereditato le strade e i pini marittimi, abbiamo ereditato le viti da cui abbiamo tratto i tralci per viti nuovi. E soprattutto abbiamo ereditato i gesti plurisillabici, le interpretazioni del meteo celeste e marino, conosciamo – per induzione genetica – la lingua del mare e sappiamo dialogare con lui-capire quando è stanco, quando è arrabbiato, quando è felice. Ciò che noi siamo, ischitani invero, è stato deciso alla nascita, confermato al momento del battesimo nelle acque di Citara o dei Maronti. Il segreto di ciò che siamo è dentro Sant’Angelo, è nel cuore di Lacco, è a Barano, è ovunque.

Che la mia isola m’innamori e che il mio amore per un cerchio di terra, su una coltre di mare tirrenico dilaghi,è indubbio. E di questo amore non mi capacito e non mi stanco seppure mi stanca alle volte questa necessaria insularità. Ischia è parte della mia identità non già solo perché io sono e sarei ischitana ovunque, in qualsiasi parte del mondo ma soprattutto perché è la vita dell’isolano (del siciliano, del sardo, del procidano, del caprese, del…) a essere sancita da questo legame con la terra finitesimale, che ha i confini e la protezione di padre mare, che possiede le barriere di erbe e piante, che si instaura nella forma primigenia di ciò che saremo E pare a volte che il nostro liquido amniotico stesso sia stato fatto di quest’acqua salata di Citara, mischiata a Buceto e a Nitrodi. E pare alle volte che la terra che ci abbia miticamente generato sia stata colta nello stesso luogo dove crescono gli ulivi e i meli. Non è un legame che si forma con il sangue, è un legame che si forma con l’acqua-nei legami covalenti tu sei un atomo di questo gioco che è – ovunque tu sei, che tu sia a Miami, a New York e a Tokyo – comunque un gioco d’inesauribile amore.

Il fascino dell’isola cresce dentro di noi e ci accade di trovarlo nelle danze delle barche dei pescatori sulla patina oleata dell’acqua, nelle cantilene dei venditori ambulanti, nelle seducenti linee dell’Epomeo che dominano il paesaggio. Il fascino, semplicemente, accade dentro di noi e questa propensione ad amare l’isola per il fatto che è uno scoglio e a discostarcene, ambiguissimamente, per lo stesso motivo è la declinazione dello stesso sentimento di attaccamento a questa radice che scivola sul magma di Efesto. La bellezza della nostra terra è tanto grande da essere imparagonabile e tanto piena che la parola “terra” non sta a indicare soltanto la lingua di roccia, talora densa e talora friabile, sulla quale viviamo ma anche e soprattutto il nostro destino fatto di tradizione, lingua e linguaggio, cultura contadina e cultura marittima. Esiste tra l’ischitano e la sua isola un avvicinamento morale che è costante ed esula le distanze e le sue molte declinazioni. È questo nostro sentimento “vicinanza di derivazione” perché gli ischitani e la terra si derivano l’un l’altra e si conservano in un rapporto che è custodia e innovazione.

“Sono un ischitano e lo sarò dovunque”.

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Con rammarico però, andrebbe sinceramente ammesso che, seppur vero che “Esiste tra l’ischitano e la sua isola un avvicinamento morale”, troppo spesso le sue “declinazioni” non si sono rivelate per nulla rispettose di questa terra, ricca ma anche molto fragile!

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