LE OPINIONI

IL COMMENTO Candido o il pessimismo

Tenete presente il racconto filosofico di Voltaire “Candido o l’ottimismo”? Era una presa in giro dell’ottimismo del filosofo Leibniz, secondo il quale si viveva nel migliore dei mondi possibili. Bene, il Candido isolano, Don Candido per l’esattezza, ha paradossalmente fatto il Voltaire (che era fortemente anticattolico ed anticlericale) prendendo un po’ in giro gli amministratori ischitani, secondo i quali viviamo nella “migliore isola possibile”. In verità già Graziano Petrucci ha brillantemente chiosato la bella intervista a Don Carlo, raccolta da Gaetano Ferrandino. E, in particolare, Petrucci ha contrapposto, al vuoto amministrativo denunciato da Candido, il Piano Strategico per lo sviluppo socio-economico che, nel 2015, l’allora Commissario dell’Azienda di Cura e Soggiorno, Mimmo Barra, aveva (inascoltato) pensato per l’isola d’Ischia. Ma c’è spazio per aggiungere altre riflessioni e altre proposte. A chi, come Graziano, Mizar, me ed altri, attraverso le colonne di questo giornale, cerca di commentare e analizzare la realtà sociale ed economica nella quale ci muoviamo, nascono – ogni tanto – dubbi sulla correttezza della lettura degli eventi. Ci viene da chiedere – a volte – se le nostre critiche rivolte agli amministratori siano condivise e condivisibili dal paese reale o se siano del tutto dissintoniche rispetto al sentire comune.

Prendiamo ad esempio la realtà del Comune di Ischia che, peraltro, non è dissimile da altre realtà municipali isolane. Rispetto al quadro fosco che a noi appare, per quella che riteniamo una mancanza di visione del Paese, un riduzionismo della politica e dell’amministrazione ad un’ordinaria gestione alla giornata, un’irresponsabile conduzione della finanza locale che rinvia ad libitum entrate che, col passar del tempo, diventano inesigibili, una scellerata gestione dei beni patrimoniali sottoutilizzati e sottostimati, rispetto a questo quadro che cerchiamo di rappresentare, cozziamo spesso contro un consenso crescente dell’opinione pubblica verso questi amministratori. Ovvio che a commentatori in buona fede, quali riteniamo di essere, venga il dubbio che stiamo sbagliando analisi. Finché non arriva, inaspettato, un commento da fonte non sospetta di partigianeria, com’è, per l’appunto, l’intervista a Don Carlo. La Chiesa d’Ischia, storicamente, è sempre stata piuttosto “collaterale” al potere locale, per vari motivi, primo dei quali la circostanza che a prevalere era quasi sempre il partito cattolico, a cui la Chiesa non poteva far mancare un’attenzione particolare. Poi, però, col passare del tempo, si andava verificando un doppio fenomeno che allargava la forbice tra Chiesa e potere locale. Da un lato gli amministratori andavano sempre più spoliticizzandosi e svestendosi di ogni casacca di partito, anche di quello cattolico, da un altro lato la Chiesa andava prendendo coscienza che gli amministratori locali, lungi da un solidarismo social-cattolico, andava perseguendo sempre più interessi personali, di gruppo, di clan familiari, di autoreferenzialità e di conservazione delle leve di comando. Dunque, c’è una rottura (almeno di certi esponenti del clero) col potere amministrativo locale, per cui agli allarmi della stampa, se non risponde un’opinione pubblica piuttosto acquiescente, fa eco il contemporaneo allarme di settori ecclesiastici.

Don Carlo Candido sottolinea come non basti affatto, in una contingenza storica drammatica, curare qualche giardinetto e mettere qualche pezza di asfalto, mentre avanza nel paese una contemporanea miseria materiale e morale. Aumenta a dismisura il ricorso alla Caritas ma, contemporaneamente, la gioventù si attarda su forme di “distrazione di massa” come l’abnorme e distorto ricorso a social quali Tik Tok e varie. I Sindaci incassano consenso nell’isola, mentre madri preoccupate dei destini di figli emigrati al nord Italia o in paesi d’Europa, pregano per il loro benessere e la loro salute al tempo del Covid mutante. Don Carlo Candido denuncia la pochezza della politica locale, alimentata da clientelismi e clan familiari, in assenza di qualsiasi scuola di “confronto” e crescita di consapevolezza. Non ci sono più i circoli politici e nemmeno la vita di parrocchia, tranne – in quest’ultimo caso – volontari che prestano la loro opera in maniera encomiabile e altruistica ma che non fanno “massa”, non riescono a promuovere “coesione sociale” effettiva. Aggiungiamo che, così come sono in crisi gli apparati dell’amministrazione pubblica, allo stesso modo gli apparati della Chiesa locale, sempre più spoglia e sempre più divisa, vanno in conflitto, appaiono sovraesposti nella critica di fedeli di varie fazioni, sballottate tra tradizionalisti e innovatori. Ho parlato, nei giorni scorsi di “minimalismo” progettuale degli enti locali (nonostante che il Sindaco d’Ischia, in questi giorni, si stia affannando a snocciolare una sequela di progetti non confrontati con nessuno e di certo mai discussi in Consiglio comunale). Non mi riferivo solo ai progetti di strutture ed infrastrutture. Intendevo estendere il concetto di “riduzionismo” e “minimalismo” anche all’idea che vogliamo imporre di modello di società per la nostra isola.

Prima dell’economia, del turismo, del benessere materiale, viene l’uomo, il cittadino, i rapporti inter personalii, l’anima popolare. Se non c’è un popolo, non c’è la città, non c’è l’isola, come non c’è Nazione senza un corpo sociale coeso. Mentre l’Italia, tra mille difficoltà e contraddizioni, è alla ricerca di una nuova coesione (l’unico aspetto positivo è che – forse – a livello nazionale, abbiamo per lo meno raggiunta la consapevolezza di questa necessità) a livello locale viviamo lo stesso dramma di lacerazione e scollamento, con l’aggravante che non abbiamo nemmeno preso coscienza di tale stato di degrado civile, morale e materiale. Ben vengano dunque voci di “allerta” come quella di Don Candido che smuovano le acque e facciano, almeno per un attimo, vacillare le certezze di chi pervicacemente continua a crogiolarsi in un ottimismo fuori luogo sullo stato dell’isola. E approfitterei di questa “provocazione”, per lanciare un’idea semplice che maggioranza ed opposizione del Comune d’Ischia (ma anche degli altri Comuni) potrebbero accogliere e fare propria. Anzi, meglio ancora se la proposta venisse elaborata all’interno dell’Ambito Sociale n.13 Ischia-Procida.

Ricordiamo che tale struttura tecnica intercomunale attua il Piano Sociale di Zona e al primo punto degli obiettivi ha “il ruolo della famiglia e delle reti di protezione sociale come antenne di rilevazione dei bisogni” e che, al terzo punto, ha la “valorizzazione delle esperienze e delle pratiche legate all’associazionismo”. La mia proposta è questa: organizzare un Centro Ascolto Giovani Lavoratori fuoriusciti o in procinto di fuoriuscire dall’isola. Quale sarebbe lo scopo e il senso di questa iniziativa? Primo scopo: quello di “censire” quantitativamente e qualitativamente tale fuga di cervelli o anche di semplice manodopera. Secondo scopo: quello di comprendere i motivi della fuoriuscita e dell’eventuale desiderio, e a quali condizioni, del ritorno all’isola. Terzo scopo: quello di costituire un “nello di congiunzione” tra fuoriusciti o aspiranti fuoriusciti con i propri nuclei familiari, supportandoli in eventuali necessità burocratiche nazionali o internazionali. Ultimo scopo (ma non ultimo in ordine di importanza) quello di raccogliere e catalogare esperienze mutuate da questi lavoratori emigrati nelle nuove realtà in cui si sono trapiantati, anche al fine di tener conto di esperienze positive sperimentate altrove. Questo contribuirebbe, e non poco, ad una ricucitura di un corpo sociale sempre più slabbrato. Tornando – in chiusura – al Candido di Voltaire, quel suo racconto filosofico fu anche tradotto in operetta in due atti, musicata dal grande direttore d’orchestra Leonard Bernstein. Al “J’accuse” di Carlo Candido manca – per ora – la partitura. E se fossero i giovani ad orchestrarla?

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