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La Corte di Appello di Napoli sentenzia: giusto il fallimento de “La Torre”

DALLA REDAZIONE

ISCHIA – Un contenzioso giudiziario che ha conosciuto un altro importante momento con una sentenza della Corte d’Appello di Napoli che piazza dei punti fermi. In primis quello che il fallimento della società partecipata in house La Torre – che ha svolto per diversi anni in quel di Serrara Fontana il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Siamo davanti ad una delle tante società presenti sull’isola e gestite come al solito in maniera pessima dalla politica che sono finite inghiottite da una massa debitoria spaventosa a causa di criteri di gestione come al solito francamente discutibili. Un lento declino, quello dell’azienda serrarese, frutto anche di un braccio di ferro politico. Con i consiglieri di minoranza dell’epoca che – come ricorderanno i più attenti lettori – chiesero più volte una serie di incartamenti su La Torre senza mai riceverli ed attraverso una serie di visure scoprirono che l’azienda operava senza il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) ed aveva passività spaventose, tra cui circa mezzo milione di euro con l’Erario per contributi previdenziali che non erano stati versati. A quel punto il bubbone era bello che scoppiato e non restò altro da fare che mettere il soggetto giuridico interamente partecipato dall’ente locale in liquidazione. Poi lo scandalo dei centomila euro sottratti, raccontato lo scorso anno dal nostro giornale in esclusiva e che causò un mezzo terremoto nel Comune alle pendici del Monte Epomeo.

A quel punto succede che il processo di liquidazione, precedentemente affidato ad un professionista locale, Giuseppe Mattera (peraltro in passato già consigliere comunale) finisce al tribunale e precisamente al curatore dott. Savoia. Una decisione, questa, che secondo alcune indiscrezioni avrebbe provocato più di qualche fibrillazione all’interno dell’amministrazione comunale serrarese, dal momento che un professionista esterno è decisamente meno gestibile rispetto ad un locale. Per carità, il secondo svolge di certo il ruolo con maggiore rigore, ma non c’è dubbio che sia molto più facile controllare le sue mosse specialmente quando ha rivestito un incarico pubblico in un passato nemmeno così remoto e dunque è a tutti gli effetti della “parrocchia”. E così ecco che il contenzioso di cui sopra vedeva protagonista proprio La Torre srl che si opponeva al fallimento telecomandato da un curatore non “made in Ischia”. Ma la Corte d’Appello ha respinto il ricorso e dunque a gestire l’evolversi degli eventi sarà sempre il liquidatore esterno. Questo, stando ad alcune indiscrezioni, potrebbe far venire anche qualche “mal di testa” soprattutto se in prospettiva futura dovessero essere individuate delle responsabilità da parte della classe di governo con la Corte dei Conti che, come capita spesso in questi casi, non si farebbe pregare nel presentare il “conto” da saldare per il danno erariale causato.

Il ricorso in questione, per la cronaca, era stato depositato il 10 aprile dello scorso anno avverso la sentenza notificata il mese precedente – e per l’esattezza in data 16 marzo con cui il Tribunale di Napoli aveva ufficialmente dichiarato il fallimento della società medesima in accoglimento del ricorso che era stato presentato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Nella sentenza della Corte di Appello si legge che “a sostegno di revoca della suindicata sentenza la società La Torre srl oltre a reiterare le deduzioni già svolte con riferimento all’insussistenza nella specie del necessario stato di insolvenza, ha allegato di essere una società in house del Comune di Serrara Fontana (come agevolmente evincibile dal proprio statuto, nella versione attualmente vigente e di non poter pertanto essere dichiarata fallita in quanto mero patrimonio separato dall’ente pubblico socio totalitario e non, invece, distinto soggetto giuridico rispetto a quest’ultimo”. Una carta, quella giocata dal Comune guidato dal sindaco Rosario Caruso, che di conseguenza ha portato alla costituzione del Fallimento La Torre srl, che ha chiesto il rigetto del reclamo deducendo preliminarmente “l’intervenuta acquiescenza parziale alla sentenza reclamata con riferimento alle contestazioni svolte dalla società Torre srl in ordine alla ricorrenza dello stato di insolvenza, essendosi tale società limitata ad eccepire, nel presente procedimento, l’insussistenza di un presupposto soggettivo di fattibilità e dovendosi ritenere il reclamo un procedimento parzialmente devolutivo”. Si legge poi che il Fallimento srl ha comunque dedotto che la società ricorrente veniva a trovarsi in stato d’insolvenza (come accertato e motivato dal primo giudice) e che invece ricorre nel caso di specie il necessario presupposto soggettivo di fattibilità.

Sempre il liquidatore che si è opposto al ricorso de La Torre ha voluto prospettare l’impossibile di qualificare la stessa come società in house dell’ente pubblico locale in quanto “dall’estratto di statuto vigente, per come all’attualità riportato nella visura camerale storica di tale società, emerge la mancanza di due dei requisiti all’uopo richiesti, e in particolare del requisito concernente il cosiddetto controllo analogo e del requisito concernente l’intrasferibilità del capitale sociale a soggetti diversi dall’ente pubblico locale (che pure ne è effettivamente allo stato socio totalitario; le successive deliberazioni che, stando alla tesi della ricorrente, conterrebbero modificazioni di tale statuto non potrebbero che essere ritenute inefficaci per non essere state depositate, iscritte e pubblicate, come richiesto da tale disposizione, con la quale è stata introdotta una vera e propria ipotesi di pubblicità costitutiva, o quantomeno di condizione legale sospensiva di efficacia”.

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Per il resto, la sentenza conferma come il giudizio espresso in primo grado abbia praticamente tenuto a tutti gli effetti. Nella stessa, non a caso, si legge anche che “dall’esame della sentenza reclamata si evince che il Tribunale ha adeguatamente e congruamente motivato il positivo accertamento dell’insolvenza, non solo basandosi sulle risultanze dei bilanci e degli accertamenti contabili della guardia di finanza, ma anche puntualmente esaminando le argomentazioni sostenute dall’allora parte resistente con riferimento alla titolarità di un attivo patrimoniale superiore ai debiti (avendo segnatamente e correttamente ritenuto come l’idoneità dell’attivo ad assicurare il soddisfacimento dei creditori sociali non possa in alcun modo emergere in un contesto in cui, da un lato, non consta il deposito di alcun bilancio di liquidazione ed in cui dall’altro lato alcuna contezza può aversi circa l’entità dei crediti di cui la società sarebbe effettivamente titolare stante la commistione indistinta degli stessi con i tributi della cui mera riscossione era incaricata dall’ente pubblico locale”.

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Piccoli passaggi per avvicinarsi al cuore della decisione dei giudici, che ritengono che “la ricorrenza del necessario presupposto soggettivo possa essere positivamente affermata e che la sentenza reclamata, seppur con diversa motivazione sul punto, possa essere conseguentemente confermata”. Il nocciolo della questione, è quello di verificare se al momento della dichiarazione di fallimento la società ricorrente potesse essere qualificata come società in house e in caso positivo se tale qualificazione precludesse la possibilità di dichiarare il fallimento. Ma anche in questo la società ricorrente non “sfonda” con la sua teoria, dal momento che come evidenziato dal Fallimento resistente, “le visure camerali risalenti all’epoca della proposizione del ricorso di fallimento da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ed all’epoca della sentenza dichiarativa di fallimento recano entrambe un estratto dello statuto recando il testo originario dell’art. 8 dello statuto, disciplinante, la libera trasferibilità delle partecipazioni”. Insieme a quanto appena riportato, vengano elencate un’altra serie di motivazioni, che portano i giudici che hanno emesso la sentenza a scrivere in maniera chiara e netta che “così qualificata la società ricorrente, deve rivelarsi come tale qualificazione non osti alla possibilità di dichiararne il fallimento, nei casi, come quello di specie, in cui ricorrono tutti gli ulteriori requisiti soggettivi ed oggettivi all’uopo richiesti”. I giudici in ogni caso hanno voluto approfondire tutti gli aspetti verificando anche se sia possibile fa rientrare una società in house nell’ambito di applicabilità delle suesposte disposizione derogatorie previste per gli enti pubblico ovvero se, come pure sostenuto da parte della giurisprudenza di merito orientata per la non fattibilità, debba a monte escludersi che tali società esercitino un’attività commerciale. Ma anche in questo caso le sentenze ed i precedenti giurisprudenziali giocano a sfavore laddove si consideri che “le società costituite nelle forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un’attività commerciale sono assoggettabili al fallimento indipendentemente dall’effettivo esercizio di una siffatta attività in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione e non, invece, dal concreto inizio dell’attività di impresa”. Per poi concludere di fatto che “la società di capitali in questa sede in esame sia un imprenditore commerciale sin dalla sua costituzione, coerentemente, del resto, con il progressivo tramonto della finalità lucrativa, sostituita ormai definitivamente da una nozione di causa divenuta un contenitore adattabile ad una pluralità di diverse finalità”.

Da qui l’unica sentenza e l’unico epilogo possibile: “In conclusione, nelle more dell’esercizio della delega legislativa sopra menzionata, deve ritenersi che la sentenza delle Sezioni Unite in esame non consenta di giustificare l’esenzione dal fallimento delle società in house sia in quanto deve preferibilmente ascriversi a tale pronunzia carattere del tutto settoriale sia in quanto l’adesione a tale orientamento nello specifico settore ivi considerato non risulta sistematicamente incompatibile con la ritenuta fattibilità delle società in house”. Da qui il conseguente rigetto del ricorso, la sentenza porta le firme del giudice estensore dott.ssa Ilaria Pepe e del presidente dott.ssa Maria Rosaria Cultrera.

 

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