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LA CULTURA A 5 STELLE

Quando, alcuni mesi fa, seppi che Domenico De Masi, avrebbe – in collaborazione con altri studiosi – elaborato uno studio sociologico, sulla base del quale il M5S avrebbe costruito un programma di lungo respiro fino al 2030, che non fosse calato dall’alto, ma rispondente alle pulsioni e aspettative della maggioranza dei cittadini intervistati, confesso che rimasi molto perplesso. Ho stima di De Masi e condivido la sua visione di fondo, secondo la quale le risorse della Terra non sono infinite e sono – tra l’altro – molto mal distribuite, per cui un rallentamento verso la corsa allo sfruttamento intensivo, all’esaurimento delle risorse, sarebbe opportuno. Così come sarebbe opportuno un riequilibrio mondiale, tra Continenti, fra Nazioni e fra ceti sociali. Insomma una “ decrescita”, che non è diretta egualmente verso la produzione di tutti i beni indistintamente. E non è nemmeno una decrescita “felice”. E’ una decrescita doverosa e forzosa. Ma ci sono beni la cui produzione deve rallentare e beni da incentivare. Soprattutto, nel campo dei servizi, tutti quelli rivolti all’assistenza dell’uomo per l’uomo, vanno implementati e fortificati. Bene, mi aspettavo che De Masi e i 5 Stelle si indirizzassero verso questa impostazione che, pure, nella fase iniziale dei 5 Stelle, sembravano coltivate .Da quello, invece, che ci è dato sapere (la piattaforma della “controcultura” per il 2030 non sarà resa nota prima delle elezioni) lo studio statistico con la “religione” sbagliata del prevalere incontestabile del volere della maggioranza, porterà i 5 Stelle a conclusioni e programmi sbagliati.

La legge della maggioranza è sì essenziale, ma in sede di deliberazione, di Parlamento, di consesso amministrativo. Non può essere applicata nell’elaborazione di un orizzonte di senso, di una “vision”. Da che mondo è mondo, sono sempre state le élites intellettuali a tracciare i percorsi di lungo termine. Certo, tenendo i piedi per terra. Certo, considerando le aspettative dei cittadini. Ma non facendosi condizionare dal calcolo quantitativo dei pareri prevalenti. Illuminante, a questo riguardo, un articolo apparso su Repubblica di mercoledì scorso, a cura del prof. Maurizio Bettini, antropologo dell’Università di Siena. Egli scrive che De Masi e 11 altri esperti in vari campi del sapere, hanno adottato il metodo “Delphi”, per il quale vengono citate, nelle conclusioni del Rapporto, solo le proposte che sono state condivise dalla maggioranza dei cittadini. Bettini aggiunge che la motivazione addotta dal M5S per la cancellazione della presentazione del Rapporto 2030, prevista per il 21 e 22 febbraio, è “per evitare speculazioni legate alle elezioni politiche prossime che potrebbero dar luogo a equivoci controproducenti per la diffusione delle idee circa il ruolo e l’importanza della cultura”. Frase faticosa, ma soprattutto stupefacente, giudica Bettini. E così la giudichiamo pure noi. Ma qual è il problema? Si temono critiche al Rapporto? E le critiche e il confronto non fanno parte della democrazia ? Alcune indicazioni,però, sul Rapporto 2030, filtrano.

La tesi centrale sostenuta è che – a differenza della distinzione classica fra cultura  umanistica e cultura scientifica, De Masi & Company individuano 4 forme di cultura: umanistica, scientifica, socio-psicologica e infine quella “mediatica”. A proposito di quest’ultima , la task force intellettuale, incaricata dai 5 Stelle, sostiene che “la cultura mediatica rende superflui e impossibili alcuni meccanismi atavici della mente umana, come quello di essere gelosi della propria privacy”. E questo sarebbe un vantaggio? Il problema di oggi è proprio l’inverso e cioè la necessità di tutelare una sfera privata e di intimità; da non buttare in pasto alla curiosità morbosa delle orde dei social. Il team della controcultura pentastellata sostiene che attingere, attraverso la rete, ad una miriade di fonti informative  crea una cultura prodotta non da pochi per molti, ma da molti per molti. Non ci vedo niente di buono e di nuovo in questa esaltazione di wikipedia totalizzante, di una cultura che accumula opinioni senza vaglio e senza setaccio. Questa, più che cultura è un pot-pourri di pseudo saperi del demos. Su Repubblica di giovedì 22, ha fatto seguito a Bettini, lo scrittore Paolo Di Paolo, scrivendo: “ Dopo decenni di spensierata indifferenza (con la cultura non si mangia) si è approdati alla provocazione astiosa. Salvini che chiama a raccolta elettori e seguaci social contro gli intellettuali “di sinistra” (e giù, nei commenti, profluvi di “rincoglioniti”). Grillo che li  riduce a caricature; un esponente 5 Stelle che definisce feticismo l’amore per il cinema (Gemma  Guerrini, Comune di Roma). Leader nostalgici negazionisti che irridono testimoni e storici degli  orrori del xx secolo. Appassionati “libertari” che vomitano discredito su scienziati di  inoppugnabile competenza”.

Fin qui Paolo Di Paolo, ma potrei aggiungere – a titolo personale – che anche una scienziata di livello mondiale, come Elena Cattaneo, è stata “espulsa” dalla politica e che nel PD è stata emarginata una filosofa come Michela Marzano. E aggiungo ancora che perfino Gentiloni, leader apprezzato in  Italia e in Europa e di gran lunga meno divisivo e più equilibrato di Renzi , alla domanda giornalistica se si dedicasse alla lettura di libri, ha deludentemente risposto “Non ne ho il tempo”. La lettura e la cultura non sono un hobby da ritaglio di tempo; sono il presupposto di qualsiasi attività umana, soprattutto della politica . Anche se registro con rispetto quanto sostenuto dallo scrittore Edoardo Albinati nel libro “La cultura ci rende umani”. Questo scrittore, che ha avuto anche esperienze di insegnamento nei carceri, sostiene che la cultura non dà  alcuna garanzia di rendere migliori gli uomini. “I campi di concentramento non li hanno ideati uomini ignoranti”. Un libro non cambia la vita a nessuno. Ma molti libri , diversi, la cambiano. Sì, è vero, in passato siamo stati dominati da ideologie impostate da pochi e rivelatesi storicamente  fallaci, E’ il caso, ad esempio, di Marx e del marxismo. Si dà il caso che proprio pochi giorni fa, esattamente il 21 febbraio (mercoledì scorso) c’è stata la ricorrenza (170 anni) dalla pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista , scritto da Marx ed Engels. A questo evento il regista cinematografico haitiano Raoul Peek ha dedicato il film: “Il giovane Marx”. In esso, il giovane Marx fa due dichiarazioni illuminanti. La prima: “L’ignoranza non aiuta nessuno”. E il regista Peek  aggiunge: “Siamo, oggi, nel tempo dell’ignoranza, è l’ignoranza che ci sta uccidendo”. E poi Marx dice ancora, nel film: “Non abbiamo bisogno di leader, abbiamo bisogno che la gente che lotta sia consapevole del perché. Seguire un capo ciecamente apre le porte al populismo”. Anche seguire ciecamente un movimento-setta apre le porte al populismo. E le porte sono ormai spalancate.

Franco Borgogna

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