LE OPINIONI

IL COMMENTO Festa tradizionale e festa liquida

Parto da un post scritto su FB dal coordinatore di questo giornale, Gaetano Ferrandino: “Ma perché una festa popolare, che più popolare non si può, deve diventare sempre una cosa complicata?” Ovviamente il riferimento è alla Festa agli scogli di Sant’Anna, edizione 2021. Effettivamente, dove sta scritto che, per dare spessore culturale ad un evento, ci si debba allontanare dalla tradizione e l’evento debba continuamente essere reinventato? Scriveva Andrea Di Massa (giovane artista ischitano prematuramente scomparso) nel suo libro La festa delle barche di Sant’Anna, pubblicato nel 2004 da Imagaenaria : “L’appuntamento festivo del 26 luglio ha subìto diverse denominazioni e definizioni: Sagra marinara, Festa di Sant’Anna, Festa delle barche addobbate, Sagra del mare, Festa a mare agli scogli di Sant’Anna e recentemente addirittura Carnevale acquatico di mezza estate, Defilé sulle onde”. Poi Di Massa continua così: “In origine la festa consisteva nel dare fuoco a numerosi falò che venivano accesi all’imbrunire. La legna veniva accumulata durante tutto l’anno e il segnale di accensione partiva dall’Epomeo, a seguire si accendeva sul Soronzano, sul Cilento, a Campagnano e dintorni e infine al Cimitero vecchio. Oltre ai fuochi vi erano poi gare di nuoto, in cui eccellevano Ndindalì, Giuann’ ‘e zechell’ e gare di canottaggio”.

La sensazione insomma è che si voglia spasmodicamente cambiare ogni anno la formula alla Festa, per un eccesso di modernità e creatività, finendo con lo smarrire del tutto l’autentico e semplice spirito popolar-religioso di un antico rito festivo. E dicendo questo non intendo affatto disconoscere il valore artistico professionale dei vari autori e direttori artistici che vengono alternativamente scelti. Figurarsi poi se metto in discussione un creativo teatrale come Salvatore Ronga! Sto mettendo in dubbio la scelta di rendere la Festa di Sant’Anna un qualcosa di continuamente cangiante, di mutevole, cancellando ogni traccia di continuità. E va bene che da tempo il sociologo Bauman ha diagnosticato l’avvento della “società liquida” ma la “festa liquida” proprio no! Certo che di anno in anno ci possano e debbano esserci delle piccole innovazioni, ma questo non vuol dire che ogni anno debba essere stravolto il canovaccio della Festa. Partendo dagli anni ’50, quando era l’EVI ad organizzare, la Festa s’ispirò (1957) alle canzoni proposte dal Festival della Canzone Marinara di Lacco Ameno e così fu anche nel 1959, 1961 e 1964. Dal 1965 al 1969 si passò al “tema libero” per l’addobbo delle barche. Nel 1982, anno del cinquantesimo della Festa, nell’organizzazione subentrò il Comune d’Ischia (delegato Fausto Silvestro) e si ritornò al “tema prestabilito” ovvero a “Storie e tradizioni ischitane”. Nel 1985 (assessore Luigi Cesareo) il tema prestabilito fu “Miti e leggende nella storia ischitana”. E’ dagli anni 2000 che venne data un’accelerazione alla “modernizzazione” e mutevolezza” della Festa. Nelle conclusioni del suo libro, Andrea Di Massa scriveva: “ Non è ricorrendo a scorciatoie presentate come < svecchiamento> che si migliora la qualità dell’evento”. Per quanto mi riguarda, mi limito a questa sola osservazione sulla mutevolezza, non essendo un tecnico degli eventi e non avendo mai avuto un qualche ruolo neanche nella preparazione delle barche. Mi limito a mettere in discussione il mancato ancoraggio ad un canovaccio solido che dia continuità all’evento. E per avvalorare quel che vado sostenendo ricordo ai lettori e agli amministratori del Comune d’Ischia che oggi, 23 luglio, in un’altra isola (Salina nell’arcipelago delle Eolie) si svolge un’antica Festa che ha a che fare con noi e con la nostra storia. Un gemellaggio che ha un solo nome come protagonista: il cittadino che ci ha lasciati, marinaio prima che vigile urbano d’Ischia, Pietro Di Noto, artefice della ricucitura storica tra la Madonnella (edicola votiva) di via Quercia e la Madonna del Terzito che si festeggia ogni anno a Salina. La vicenda che lega Ischia a Salina oggi è nota, sebbene fosse stata scritta nella Storia di D’Ascia fin dal 1867. Tre liparioti, i fratelli Gaetano, Giuseppe e Antonio Sanfilippo, sbarcarono nel 1855 a Ischia per salvare (con lo zolfo) l’uva ischitana dalla Fillossera. Si sa che uno dei tre fratelli morì ad Ischia e si sa anche che gli ischitani non ebbero un comportamento corretto verso i fratelli, disattendendo gli impegni economici pattuiti. Ma Ischia, da qualche anno, è corsa ai ripari e ha ristabilito e consolidato il legame con l’isola che conserva devozione e rito della Madonna del Terzito. Quest’anno, per la prima volta, Pietro Di Noto, non è presente alla festa lipariota. Non so se Paolo Ferrandino o Di Vaia o altri ci si sono recati. Pietro Di Noto aveva murato, nel giardino di casa sua, un’immagine della Madonna del Terzito, commissionata al ceramista isolano Rosario Scotto Di Minico (e di cui vi mostriamo la foto). Quell’immagine è il segno di una “continuità” che diventa sostanza storica, religiosa ed umana. C’è festa e festa, ma non tutte le feste restano impresse nell’anima di un popolo.

Articoli Correlati

0 0 voti
Article Rating
Sottoscrivi
Notificami
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
Visualizza tutti i commenti
Pulsante per tornare all'inizio
0
Mi piacerebbe avere i vostri pensieri, per favore commentatex