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Licenziamenti a Marina di Casamicciola, partita chiusa

Anche l’ex dipendente Michele Monti trova “disco rosso” nell’ultimo grado di giudizio. Cala il sipario su un contenzioso lungo e tortuoso che ha visto riconosciute le ragioni della società partecipata

Finisce col responso della Corte di Cassazione l’ultima delle varie vertenze di un gruppo di ex dipendenti della società Marina di Casamicciola, contro il licenziamento. Licenziamento che infine è stato confermato dalla Suprema Corte anche per quanto riguarda Michele Monti. La vicenda prese le mosse nell’ormai lontano 2013 quando la società partecipata del Comune di Casamicciola annunciò vari licenziamenti a causa della revoca dell’appalto del settore multiservizi da parte dell’ente. L’appalto fu prorogato del 50%, e la società comunicò il licenziamento a otto operai tra cui Michele Monti, dipendente con mansioni presso il cimitero comunale. In seguito a un ricorso, il Tribunale dichiarò inefficace il licenziamento per “violazione dei criteri di scelta” e fu disposta la reintegrazione del lavoratore nel 2014. La società tuttavia non ci stava, e procedette al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, intimato il 9 aprile 2015: il rapporto di lavoro era da considerarsi soppresso per cessazione del servizio cimiteriale e dell’intero settore di servizi di global service dopo la revoca dell’appalto. Il Tribunale di Napoli nel 2016 rigettò il ricorso proposto dalla Marina di Casamicciola contro l’ordinanza che aveva accolto l’impugnativa di licenziamento: disposta la reintegra del lavoratore, la società procedette il 26 agosto 2016 a intimare un altro provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro per “assenza di mansioni da affidare al lavoratore”. Intanto nel 2018 il Tribunale confermò l’ordinanza resa nella fase sommaria con cui era stata respinta l’impugnazione di licenziamento intimato allo stesso lavoratore dalla società.

La vicenda prese le mosse nell’ormai lontano 2013 quando la società partecipata del Comune di Casamicciola annunciò vari licenziamenti a causa della revoca dell’appalto del settore multiservizi da parte dell’ente

I processi furono riuniti, e la Corte d’Appello riformò le sentenze impugnate (quella del 2016 e quella del 2018), dichiarando legittimo il licenziamento del 9 aprile 2015 e cessata la materia del contendere per il licenziamento del 26 agosto 2016. La Corte evidenziò che il licenziamento collettivo e il recesso per giustificato motivo oggettivo (licenziamento individuale) erano da porre su due piani differenti, e motivati da differenti ragioni: il primo dalla riduzione dell’appalto, il secondo dalla cessazione totale dello stesso con l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni. Il lavoratore ha quindi impugnato la sentenza d’appello ricorrendo in Cassazione. Il ricorso era basato su quattro motivi, il primo dei quali sarebbe quello per cui la Corte d’Appello avrebbe dato la possibilità alla società di allegare fatti non dedotti nel primo grado, ma la Corte di Cassazione lo ha ritenuto infondato in quanto ciò che la società aveva allegato non era inerente alla natura della domanda.

Il secondo motivo contestava la Corte d’Appello per aver dichiarato la legittimità del licenziamento individuale anche se la società aveva fatto valere una giustificazione che in astratto poteva essere posta a fondamento del precedente licenziamento collettivo, conferendo alla società un antigiuridico potere di licenziamento, con facoltà di licenziare nuovamente sulla base di un fatto già programmato al momento del primo licenziamento, ma non ancora programmato. Anche tale motivo è stato ritenuto infondato dalla Cassazione perché nel ricorso non sono state indicate le norme che il lavoratore sostiene essere state violate.

Con il terzo motivo, il lavoratore addebitava ai giudici d’appello di aver ritenuto che fatti successivi al licenziamento potessero integrare i presupposti del giustificato motivo oggettivo, perché mentre per il settore eliporto era stabilita una riduzione dell’orario di lavoro per i dipendenti occupati sin da una data anteriore al licenziamento, per il settore porto i dipendenti addetti avevano stipulato un accordo per la riduzione dell’orario di lavoro in un momento successivo. Motivo privo di fondamento per la Suprema Corte perché la Corte d’Appello si è conformata ai principi di legittimità in tema di repechage e relativo onere della prova a carico del datore di lavoro.

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Infine, era stata contestata la decisione dei giudici di secondo grado di aver dichiarato cessata la materia del contendere in ordine al licenziamento del 26 agosto 2016 nonostante che la cessazione del rapporto non fosse ancora definitiva, ma l’infondatezza dei primi tre motivi ha determinato l’assorbimento anche di quest’ultimo.

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La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’ex lavoratore di Marina di Casamicciola ritenendo infondati tutti i quattro motivi di contestazione

La Corte ha così rigettato il ricorso, condannando il lavoratore al pagamento delle spese di giudizio liquidate in 4200 euro. Si è quindi chiusa definitivamente la fase delle controversie originate dalla revoca dell’appalto dei servizi “global service” da parte dell’amministrazione comunale.

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