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La grandezza di san Giovan Giuseppe della Croce: i miracoli e la saggezza nelle sue storiche lettere

“Lasciate stare questi stracci, sono l’abito del mio sposarizio con Cristo” , così San Giovan Giuseppe della Croce rispondeva ai confratelli ed alle persone con cui si intratteneva, quando gli chiedevano se era il caso o meno  di  indossare un nuovo mantello che lo potesse meglio riparare dal freddo e dal vento. La frase storica del Santo, relativa al suo famigerato mantello,  ha cavalcato i tempi ed impressionato  le giovani generazioni sane di oggi ,  abituate ad altri agi, ma sempre più coscienti che seguendo l’esempio di San Giovan Giuseppe,  i valori della  vita corrente possono in positivo raggiungere altezze inimmaginabili.  In pratica non sarà semplice , ma almeno idealizzando  il messaggio francescano del Santo concittadino,  la vicinanza a San Giovan Giuseppe  è avvertita più tangibile, specie in questi giorni di festa dedicati al Santo. Nella rappresentazione della vita del Santo piena di miracoli, c’è un episodio di una spiccata morale che lascia riflettere, che riguarda una nobildonna napoletana, la Marchesa  Spada di cui Frate Giovan Giuseppe era il confessore preferito. La marchesa Spada aveva perso un figlio di 4 anni a causa del vaiolo. Lo amava tanto che pregò  il Santo di restituirglielo vivo,benché le avesse predetto che, crescendo, sarebbe diventato la vergogna della famiglia. Fra Giovan  Giuseppe  ordinò ai domestici si somministrargli un cucchiaino di manna di San Nicola. Ma essi non riuscirono ad aprirgli  la bocca. Il Santo allora pregò e poi disse al defunto; “Gennarino, per santa obbedienza, apri la bocca e prendi la manna”. Il morticino risuscitò, crebbe, divenne  un impenitente  giocatore, finì in prigione e in esilio. Morì mendico, dando tuttavia segni di pentimento, come era stato predetto.

Fra Giovan Giuseppe  dal benefico influsso  della sua protesta taumaturgica   non escluse se stesso. Un giorno incontrò per Napoli una salmeria di muli. Nell’atto di scansarli, il corpo non gli ubbidì con agilità, ed egli cadde sotto lo zoccolo di uno di quegli animali. Furono subito avvertiti i suoi confratelli dell’incidente che gli era occorso  e pregati di mandare una barca al Molo Piccolo, dove si pensava di trasportarlo. Il Santo, non volendo  essere preso in braccio, ai segnò il piede contuso e, come se nulla fosse stato, riprese il cammino. Un’altra volta era andato in Duomo a baciare l’ampolla contenete il sangue liquefatti di San Gennaro. Per la grande folla  che lo urtava,  da ogni parte, gli cadde di mano  il bastone e non gli fu più possibile riprenderlo. Trasportato dalla ressa sotto il pulpito, mormorò: “ San Gennaro mio, io non voglio andare in carrozza, non voglio andare in calesse, non voglio andare in sedia  all’ospizio di Ghiaia, ma senza la mazza come farò ?”. Non aveva ancora  terminato l’orazione che vide il bastone  venire verso di sé volando sulle teste  della folla trasecolata.

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