LE OPINIONI

La Juve, il Covid e la pagina triste del calcio italiano

di Marco Martone

Lo avevamo scritto, soltanto qualche giorno fa, in un editoriale gentilmente ospitato dalla prima pagina del Golfo, relativo alla vicenda Suarez e allo scandalo, o presunto tale, che ha coinvolto l’Università di Perugia, con la regia (vedremo quanto colpevole) della Juventus. Quando c’è di mezzo la Vecchia Signora qualcosa di strano, di anomalo e discutibile c’è sempre. Dopo quell’editoriale, un nostro gentile lettore della pagina online del giornale, si è molto risentito, accusandoci di essere anti-juventini, parlando addirittura di “odio ingiustificato”. A quel lettore, cui ho risposto con cortesia, ringraziandolo per l’attenzione che ha rivolto all’articolo, andrebbe chiesto oggi cosa pensa del comportamento della sua Juventus, di una società che si è detta (per bocca del suo massimo rappresentante), pronta a non rispettare le indicazioni di un ente superiore, come la Asl (“noi saremmo partiti lo stesso”). Saremmo curiosi di sapere quale sia l’atteggiamento dei sostenitori bianconeri, nei confronti di un presidente che parla di “lealtà sportiva e di pieno rispetto delle decisioni e dei regolamenti”, quando sugli stemmi della società e sulle insegne dello stadio, compaiono da anni due scudetti revocati e sottratti dalla giustizia sportiva. In quel caso il rispetto delle regole dov’è? Troppo comodo aggirare sempre le regole del gioco e farlo a proprio piacimento e tornaconto. Anche l’ingerenza in un campo che non è certo quello del presidente Agnelli, ci riferiamo a quello sanitario regionale, è apparsa come una caduta di stile. Quello stesso stile (Juve), che la società piemontese ha sventolato per anni come fosse un simbolo e che, da troppo tempo, è stato sotterrato in una fossa di Vinovo, sotto cumuli di cenere e di oblìo. Accusare, poi, il Napoli di non aver rispettato il protocollo anti-Covid, senza avere uno straccio di prova di quanto affermato è stata la ciliegina su una torta alquanto disgustosa, a dire il vero.

La Juventus, andando in campo a prendersi una vittoria di Pirro (e non di Pirlo), un 3-0 a tavolino che fa tristezza, più che rabbia, ha rappresentato una della pagine più scure e penose del calcio italiano degli ultimi trent’anni. Un calcio che si mette contro lo Stato, per una battaglia di poteri e di competenze che non fa onore ad un Paese che sta lottando contro un’emergenza sanitaria che dovrebbe avere la priorità su tutto. Per dimostrare sul serio di “voler vincere sul campo”, così ha detto Andrea Agnelli, bastava assecondare la legittima decisione della Asl e l’esigenza del Napoli, di rinviare la partita. Le parole, invece, le porta il vento. Allo Stadium è andata in scena una sorta di pantomima, di opera buffa, di pagliacciata, con tanto di sparuti spettatori, sotto la pioggia, pronti a festeggiare i tre punti “faticosamente” conquistati. L’idea di vincere a tutti i costi, con qualsiasi mezzo, non può e non deve passare. “Vincere non è importante, ma è l’unica cosa che conta”, diceva Giampiero Boniperti, ma la sua era una sorta di provocazione, un incentivo a lottare per gli obiettivi da raggiungere, che invece questa nuova generazione di juventini ha preso maledettamente alla lettera. E allora ecco che dopo gli aiuti arbitrali, gli esami farlocchi, gli scandali doping e altre amenità del genere, ecco che arriva anche la vittoria senza avversario. Un gioiello che mancava alla collezione. Ed ecco allora che torna, ci perdonerà il nostro lettore juventino, il discorso sull’educazione. Perché a quei ragazzi sulle gradinate dello Stadium, che mostravano fieri le tre dita a significare una vittoria ignobile e senza controparte, andrebbe spiegato che i valori dello sport sono altri, i successi vanno sudati, il rispetto per gli avversari è sacro e le bandiere, anche quelle bianconere, non meritano di essere infangate da prepotenza, ignoranza e tracotante ambizione. 

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