LE OPINIONI

«Caffè Scorretto» «Ragioni (non sufficienti) per spiegare un’isola anacronistica»

Dico una cosa che può apparire banale per alcuni, forse impopolare per altri. La crisi dell’isola d’Ischia –si, perché c’è una crisi, economica, sociale, di valori e il Covid ha contribuito a renderla evidente – arriva da lontano, nel tempo. È pacifico che derivi anche dalla mancanza di visione di chi ha fatto politica negli ultimi trent’anni, più impegnato a raggranellare voti e consenso che non a contribuire un vero sviluppo armonico del territorio come del tessuto sociale, quanto dall’assenza di un “corpo imprenditoriale maturo” (apparentemente in contrapposizione, forse, con ciò che afferma il decano dei giornalisti Giuseppe Mazzella secondo il quale l’economia isolana sarebbe matura) in grado di stimolare la crescita tramite una propria capacità di scelta che rispecchia il modo di fare impresa.

Dico una cosa che può apparire banale per alcuni, forse impopolare per altri. La crisi dell’isola d’Ischia –si, perché c’è una crisi, economica, sociale, di valori e il Covid ha contribuito a renderla evidente – arriva da lontano, nel tempo. È pacifico che derivi anche dalla mancanza di visione di chi ha fatto politica negli ultimi trent’anni, più impegnato a raggranellare voti e consenso che non a contribuire un vero sviluppo armonico del territorio come del tessuto sociale, quanto dall’assenza di un “corpo imprenditoriale maturo” (apparentemente in contrapposizione, forse, con ciò che afferma il decano dei giornalisti Giuseppe Mazzella secondo il quale l’economia isolana sarebbe matura) in grado di stimolare la crescita tramite una propria capacità di scelta che rispecchia il modo di fare impresa. Meno disponibile a consumare o deprezzare le risorse, comprese quelle umane, in alcuni casi sfruttate oltremodo, più incline invece ad adattarsi a ribasso favorendo la svalutazione degli asset principali, come le terme. È chiara anche la responsabilità delle élite culturali isolane

Meno disponibile a consumare o deprezzare le risorse, comprese quelle umane, in alcuni casi sfruttate oltremodo, più incline invece ad adattarsi a ribasso favorendo la svalutazione degli asset principali, come le terme. È chiara anche la responsabilità delle élite culturali isolane.

Si tratta, in fin dei conti, di come (s’intende la) politica e di quanto le élite – se così possiamo chiamarle – non hanno saputo (o voluto?) abbandonare la tendenza tipica all’autoreferenzialità e allo snobismo che alimenta un fastidioso rumore di fondo destinato a divenire confusione e sovrapposizione. Caratteristiche principali della quotidianità isolana che si ripercuotono a più livelli manifestando nel caso più estremo l’assenza di intesa tra amministrazioni. In particolare, questo atteggiamento, che è allo stesso tempo mancanza e prevaricazione, si evidenza ad esempio negli assessorati alla cultura (quando ci sono), ma non solo. Un ruolo che per molti è marginale e continua ad esserlo. Spesso, però, lo si “limita” – peggio: “si chiude”- perché viene interpretato come mezzo per organizzare mostre, convegni ed eventi che restando “isolati” sono destinati a cannibalizzarsi o a cianciarsi, dimenticandosi di estendere il dibattito che resta nella sua fase embrionale, dunque non nasce tranne che sui giornali, scartando ogni possibilità di comunicazione tra quell’evento ed altri, tra questi e il territorio. Un’assenza di dialogo che, se fosse presente invece, sarebbe in grado di dilatarsi fino alla terraferma attraverso la capacità di agganciare la mostra X o l’evento Y, di quel museo o di altro luogo culturale, per divenire snodo costitutivo stabile con lo scopo di favorire un’isola d’Ischia pure nei periodi di bassa stagione.

Si tratta, in fin dei conti, di come (s’intende la) politica e di quanto le élite – se così possiamo chiamarle – non hanno saputo (o voluto?) abbandonare la tendenza tipica all’autoreferenzialità e allo snobismo che alimenta un fastidioso rumore di fondo destinato a divenire confusione e sovrapposizione. Caratteristiche principali della quotidianità isolana che si ripercuotono a più livelli manifestando nel caso più estremo l’assenza di intesa tra amministrazioni. In particolare, questo atteggiamento, che è allo stesso tempo mancanza e prevaricazione, si evidenza ad esempio negli assessorati alla cultura (quando ci sono), ma non solo

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Tornando ai compiti degli “assessori alla cultura”, non solo dovrebbero evitare di entrare nel merito delle scelte culturali o artistiche, se non, forse, offrire il proprio contributo a livello molto marginale. Dovrebbero pure scansarsi la degenerazione che li spinge alla “trasformazione” in direttori artistici di eventi (che per i meno attenti è un lavoro, diverso, quando riconosciuto e spesso non è percepito come tale!) o cedere al desiderio di condizionarli per innalzarsi a “corte” quasi suprema della cultura (di quel limitato Comune, peraltro) ed attrarre a sé soltanto operatori che rincorrono una certa linea o “quel governo”, escludendo di fatto gli altri. In tal modo, si rovescia il ruolo dell’assessore delegato alla cultura che nella sua funzione, al contrario, è chiamato ad “operare” per censire e monitorare le risorse artistiche, coordinare e supportare le iniziative esistenti e promuovere la nascita di altre (a costo di ripetere: non come direttore artistico, però!) e, infine, salvaguardare i beni culturali. Tutto ciò che tende a deviare da queste tracce approfitta del compito per salire sul pulpito dell’auto celebrazione e fa di questa figura la rappresentazione della confusione. Invece di essere al “servizio” involve, cioè, nella gestione (a volte tramutando il proprio coinvolgimento in qualcosa di “diretto” nell’organizzazione di un evento). Da questa crisi in cui è difficile trovare confini e ancor meno la separazione tra competenze, non si può escludere la responsabilità della classe dei professionisti. Gli avvocati per esempio insieme a quella dei giornalisti.

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Da questa crisi in cui è difficile trovare confini e ancor meno la separazione tra competenze, non si può escludere la responsabilità della classe dei professionisti. Gli avvocati per esempio insieme a quella dei giornalisti. Specie questa – eccezion fatta per qualcuno -“soffre” di una particolare malattia. La stessa della media degli isolani che si rivela nella tendenza alla presunzione mescolata ad una dose elevata di superbia

Specie questa – eccezion fatta per qualcuno -“soffre” di una particolare malattia. La stessa della media degli isolani che si rivela nella tendenza alla presunzione mescolata ad una dose elevata di superbia. Nel caso dei giornalisti, c’è chi “usa” il lettore (oggi si potrebbe far riferimento ai “like” su facebook) anziché dargli gli strumenti per capire il mondo e i fenomeni, tanto a livello locale quanto in forma più ampia. Il risultato di tutto ciò è la chiusura in una torre d’avorio che si tiene in piedi nutrendosi di se stessa. Ciò che ne vien fuori non può che essere la trasformazione del “cittadino” in una specie di prodotto “passivo” per il quale si può anche non avere rispetto, legittimando la poca attenzione nello scrivere o nell’esporre un’analisi più o meno correttamente, non ritenendo inoltre fondamentale il compito di istruirlo al ragionamento e stimolarlo per nutrire lo spirito critico ed aumentare le occasioni per potersi confrontare. Inutile dire che neanche fa bene una certa ostilità che “alcuni” giornalisti o non sono bravi a celare o eliminare. Qualcuno in effetti punta su questa per aumentare la separazione dal lettore, amplificandone e catapultando gli effetti nella società isolana che necessariamente l’assorbe. Dare un’immagine semplificata di come stanno le cose non significa che siano davvero così proprio per il grado di complessità con cui si caratterizzano. Neppure significa, però, che una crisi non ci sia e che quelle elencate non siano allo stesso modo parte e fonte del problema. Indica solo forse che i motivi che l’hanno determinata sono più ampi ossia che le cose stanno diversamente e perciò “citando” Franco Borgogna, nel suo editoriale di domenica scorsa, “ho preso una cantonata”. Una particolare attenzione, tuttavia, va data al rapporto particolare tra chi ha la responsabilità di governare e chi quella di vigilare (la stampa, appunto), cristallizzato in un ambiente anacronistico, provinciale, tendenzialmente populista, incapace di immaginare una crescita – in tal senso, più per demerito di chi “scrive” che non di chi ha deciso di fare politica – e dare vita a un nuovo sistema. In cui calare un racconto fattuale rinnovato tra politica, economia e società tutti elementi “condannati” a intrecciarsi nella sfera isolana, fornendo un impulso significativo allo sviluppo civico. Cambiare la cifra del giornalismo (locale), ricalibrare la “forza di un giornale” per diminuire la “confusione” ed aumentare l’autorevolezza e la capacità di stare nella società per “condizionarla” – ci si augura – positivamente innalzando la portata delle analisi come il modo di esporle, non significa che ci sia un giornale meglio di un altro. Significa, al contrario, che bisogna iniziare un lungo percorso di riflessione per ristabilire attitudini, capacità e competenze oltre ad abbandonare l’idea che basta saper scrivere per diventare “giornalista” e che un giornalista, per definizione, solo per il fatto di esserlo, sappia sempre scrivere. Non dimenticandosi di separarsi in modo definitivo dalla certezza che tanto in politica quanto nel giornalismo non esistano invasati.
Pagina Fb Caffè Scorretto di Graziano Petrucci

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