CRONACAPRIMO PIANO

Il comune di Barano “perde” Nitrodi

Uno dei proprietari del fondo dove sorgono le rinomate fonti ottiene il compossesso del bene dopo aver formulato un’azione di rivendicazione per il tramite del proprio legale. La sentenza è stata emessa dal giudice della Sezione Distaccata di Tribunale di Ischia, adesso all’ente collinare non resta che ricorrere in Appello

Una sentenza assolutamente choc, che naturalmente sarà appellata e non potrebbe essere altrimenti ma che intanto rischia di mettere a repentaglio una delle proprietà più illustri del Comune di Barano e cioè la famosissima sorgente di Nitrodi e nello specifico i terreni sulla quale sorge. E’ l’effetto del provvedimento del giudice monocratico della sezione distaccata di Ischia del Tribunale di Napoli, dott.ssa Olimpia Criscuolo, che ha davvero del clamoroso soprattutto per le ripercussioni che potrebbe avere in prospettiva anche se – e lo ribadiamo ancora una volta – l’iter giudiziario di cui vi raccontiamo ha appena consumato il suo primo round.

Ma partiamo dall’inizio e cerchiamo di esporre la vicenda nella maniera più semplice possibile, a beneficio dei nostri lettori e dei non addetti ai lavori. Quando il Comune di Barano tempo fa acquistò il terreno e l’area sulla quale attualmente sorgono le Fonti di Nitrodi, stipulò una convenzione con gli allora proprietari dello stesso. Il problema è che, per una serie di passaggi dovuti a successione, tra i proprietari di questo terreno così come di altri fondi ad esempio ubicati nel Comune di Serrara Fontana, c’erano alcuni soggetti nel frattempo emigrati negli Stati Uniti. Per tradurre tutto in estrema sintesi, l’avvocato Giuseppe Di Meglio si è fatto rilasciare una procura speciale da tutte queste persone che avevano acquistato terreni sull’isola ma nel frattempo erano emigrati in America in cerca di fortuna. Tra questi signori c’era anche il comproprietario del terreno dove sorge Nitrodi che ha formulato un’azione di rivendicazione andando per l’appunto a muovere un’azione legale per riottenere il possesso di un bene che per la sua quota non aveva mai ceduto. L’atto di acquisto stipulato illo tempore è stato così dichiarato inefficace con il risultato che il precitato soggetto è tornato in possesso di quanto non aveva all’atto pratico mai ceduto. Una gatta da pelare di non poco conto per l’ente collinare, che a questo punto dovrà ricorrere in Appello e sperare in un ribaltamento di una sentenza di primo grado che rischia davvero di far venire il mal di testa agli occupanti del palazzo municipale baranese.

Nella lunghissima ed articolata sentenza il giudice Criscuolo spiega tra l’altro con dovizia di particolari che “La volturazione della titolarità del fondo a loro esclusivo favore non è rilevante in questa sede poiché avvenuta su richiesta e sulla dichiarazione dei venditori che il genitore era proprietario esclusivo, anche se tale rilievo non emergeva né dal testamento, né da altro titolo trascritto. Dalla complessiva documentazione in atti e sulla base dei fatti non oggetto di contestazione si deve concludere, dunque, che (omissis) dante causa dell’attore, era anche essa titolare di una quota pari a settimo della massa ereditaria in cui era compreso il bene oggetto di compravendita; la difesa dei germani (omissis) è stata di acquiescenza esplicita. La parte venditrice, dunque, non poteva vendere la piena proprietà del bene ma solo una quota limitata ed in ogni caso non poteva vendere la quota che si apparteneva alla (omissis). La vendita non è tuttavia nulla, poiché per pacifica giurisprudenza ‘in materia di proprietà, il principio generale che regola il regime giuridico della comunione pro indiviso è quello della libera disponibilità della quota ideale, sicchè è ben possibile che ciascun comunista autonomamente venda o prometta di vendere la sua quota, valido essendo il contratto anche nella ipotesi in cui il bene sia dalle parti considerato un unicum inscindibile, risultando in tal caso l’alienazione meramente inopponibile al comproprietario che non ha preso parte alla stipula dell’atto”. In applicazione di tale principio la vendita operata del fondo oggetto di lite deve essere dichiarata inopponibile ed inefficace nei confronti dell’attore, nella qualità ereditaria sopra spiegata, e nella misura in cui essa trasferisce la quota che si apparteneva a quest’ultima, che non si apparteneva ai venditori e non potevano disporre, sicchè ogni erede, ai sensi dell’art. 1103 c.c., deve disporre del bene solo nei limiti della propria quota.

Ancora nella sentenza si legge che “Infine il possesso del Comune non può essere, ai sensi dell’art. 1146, comma secondo, c.c. unito a quello del suo dante causa, giacchè la vendita è stata effettuata dai venditori non dichiarandosi proprietari per avere usucapito il bene, ma sulla base di testamento olografo e di altri titoli, che non sono stati individuati e precisati; nella fattispecie non può verificarsi accessione nel possesso poiché essa opera solo con riferimento e nei limiti del titolo traslativo e non oltre lo stesso e nel titolo traslativo le parti non hanno dichiarato di avere la proprietà del fondo per averlo acquistato per usucapione, ma per averlo ricevuto per successione ereditaria. Il possesso autonomo dei venditori (omissis) è iniziato a decorrere dal 1997, anno della apertura della successione del padre, e nel 2008, anno della vendita, non erano ancora trascorsi venti anni… Infine va dichiarata la legittimazione passiva della società detentrice in ordine alla detenzione del fondo, che dovrà condividere con l’attore. La domanda di risarcimento e ogni altra domanda, compresa quella di manleva, devono essere rigettate per mancanza di prova in ordine ai pregiudizi e danni subiti”. Da qui la decisione del giudice della Sezione Distaccata di Ischia che ha deciso di dichiarare l’inefficacia della vendita del bene censito in catasto al foglio 24 particella 355, ordinando alla società che attualmente gestisce il terreno ed al Comune di consegnare il compossesso del bene all’attore.

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