ARCHIVIO 2ARCHIVIO 3ARCHIVIO 4ARCHIVIO 5

Come la saprofagia ci ha portato ad avere il nostro cervello

Il cervello umano è altamente dispendioso a livello energetico: dato il fatto che nasciamo prematuri rispetto a ciò che i modelli di sviluppo dei primati (il gruppo tassonomico che raccoglie noi, le scimmie e le specie fossili relative all’evoluzione umana come, per esempio, gli australopitechi e gli altri Homo) suggerirebbero, esso in tenera età si accresce e può arrivare a consumare anche il 73% dell’energia di un infante. Il valore si assesta verso il 20% nella fase adulta della nostra vita, ma le necessità metaboliche del cervello hanno comportato un’inversione delle relazioni di massa degli organi normalmente riscontrate nei primati: l’esempio più lampante è il rapporto intestine-cervello. Un uomo di circa 65 chili dovrebbe avere un cervello di 450 grammi e un intestino di poco più di 1 chilo ed 800 grammi. Cosa si osserva invece? Un cervello pesante 1 chilo e 300 grammi (praticamente il triplo) ed un intestino di 1 chilo e 100 grammi.

Tutto ciò portò ad una pubblicazione del 1997 dei due ricercatori inglesi Leslie Crum Aiello e Peter Wheeler, in cui si descriveva la “Expensive Tissue Hypotesis” (traducibile letteralmente come “ipotesi del tessuto costoso”). A causa delle elevate necessità metaboliche del cervello, si è avuta una riduzione dell’intestino per avere una digestione più rapida e dunque un’assimilazione migliore dell’energia. Per farvi capire tutto ciò: gli erbivori generalmente hanno intestini molto lunghi, a causa del fatto che le piante siano molto difficili da digerire (noi ad esempio dei vegetali non digeriamo la cellulosa) e quindi necessitano di un’assimilazione più lenta; i carnivori hanno invece intestini molto corti, a causa del fatto che le proteine animali siano molto meno complesse da digerire. Le necessità del cervello hanno dunque fatto ridurre l’intestino per favorire un’assimilazione più rapida. Ma di cosa esattamente? E perché questo sviluppo cerebrale?

Circa 3 milioni di anni in Africa ci fu un deterioramento climatico nei pressi della “Great Rift Valley” (dove circa 6 milioni di anni comparvero le prime forme di vita associate all’evoluzione umana). Ciò portò ad un’estensione della savana, la cui presenza aveva “innescato” l’evoluzione di forme capaci occasionalmente di camminare su due zampe (bipedismo facoltativo) per andare da una zona all’altra di foresta. I fossili ci dicono che ciò portò alla comparsa di due nuovi gruppi: i parantropi (genere Paranthropus, detti “australopitechi robusti” a causa delle dimensioni e alla potenza dell’apparato di masticazione e dei larghi molari molto adatti ad una dieta perlopiù fatta di semi e radici) e le prime forme riconducibili al genere Homo. Questi primi Homo sfruttarono come fonte occasionale di proteine i corpi degli erbivori della savana martorizzati dai grandi predatori: non erano quindi dei cacciatori, piuttosto più dei “mangia carogne”. L’apporto delle proteine animali nei primi Homo doveva essere simile a quello che oggi si riscontra in alcune scimmie, come ad esempio lo scimpanzé, che non disdegna come pasto occasionale i piccoli mammiferi. Nel nostro caso però è da aggiungere, come pressione selettiva, anche la necessità di “adattarsi” ad un ambiente complesso come quello della savana, il quale richiede grandi capacità di interazione nei gruppi (ad esempio per scacciare via possibili “competitors” come le iene). Ciò ha anche portato alla “Social Brain Hypotesis”, secondo la quale il nostro cervello si è evoluto per le nostre necessità sociali. Dato che quella sociale non sembri una spinta decisiva, la SBH potrebbe essere integrata con la ETH per spiegare il nostro processo di “encefalizzazione”.

Uno dei nutrimenti importanti per il cervello sono gli acidi grassi polinsaturi (i “popolarissimi” omega-3 ed omega-6). Ciò portò alla bizzarra teoria che gli uomini si fosserò evoluti in contesti costieri pescando. Tralasciando che, in determinate occasioni, pesci nella savana si trovano in abbondanza, gli omega-3 e gli omega-6 sono molto concentrati nei cervelli (manco a farla apposta!) dei grandi erbivori africani. Questo alimento poteva essere ottenuto dopo l’attacco dei predatori con l’utilizzo di utensili, anche molto grezzi: non di rado nelle ossa fossili di possibili “prede umane” si trovano tagli dovuti proprio a manufatti e alla ricerca di midollo osseo, pieno di energia anche se non di grassi. Concludendo: la necessità di coordinarsi in gruppi all’interno della savana, unito al possibile utilizzo di energia da proteine animali per “sfamarlo” ed alla riduzione dell’intestino per una migliore assimilazione, ha portato il cervello ad aumentare di taglia.

*BsC in STeNa e specializzando in Scienze della Natura presso “La Sapienza” di Roma

Ads
Ads

Articoli Correlati

0 0 voti
Article Rating
Sottoscrivi
Notificami
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
Visualizza tutti i commenti
Pulsante per tornare all'inizio
0
Mi piacerebbe avere i vostri pensieri, per favore commentatex