LA STORIA DI MIXED BY ERRY: «NOI, “SPACCIATORI” DI MUSICA»
In vacanza ad Ischia, Giuseppe, uno dei fratelli Frattasio che creò un brand capace di diventare la prima etichetta discografica italiana, racconta a Il Golfo gli anni d’oro, l’incredibile ascesa e la vita passata a sperperare fiumi di denaro. Poi la caduta negli abissi prima della ripresa. E adesso una nuova vita grazie alla notorietà regalata da un libro e (soprattutto) da un film
Un libro prima e soprattutto il recente film vi hanno fatto tornare alla ribalta dopo un periodo di oblio, rendendovi estremamente popolari. Che sensazioni state vivendo voi fratelli Frattasio?
«Tra fratelli abbiamo già discusso di questo, parlandone in più occasioni. Ma è doveroso fare una premessa».
Prego.
«Noi per anni siamo rimasti praticamente nascosti, non abbiamo mai voluto che la nostra storia uscisse fuori anche perché ne abbiamo comunque pagato conseguenze non indifferenti. Poi un giorno abbiamo incontrato Simona Frasca, che è l’autrice del libro ed anche un’amica: lei ci convinse a raccontare e raccontarci e così alla fine è venuta fuori l’opera da cui poi ha tratto ispirazione il film. Il risultato adesso ce l’abbiamo davanti agli occhi: prima nessuno sapeva chi fossimo, alle volte per rimanere nell’anonimato usavamo anche il cognome delle nostre mogli per esser certi che nessuno potesse riconoscerci, la nostra era senza dubbio un’esistenza più tranquilla. Il marchio “Mixed by erry”, scusami se lo ripeterò più volte durante la nostra chiacchierata, ci ha portato problemi seri sotto tutti i punti di vista. E adesso…».
Adesso?
«Adesso la popolarità la stiamo vivendo con disincanto, ho anche superato la soglia dei 60 anni. Lo ammetto, ci stiamo divertendo, questa cosa ci ha consentito di tornare alla ribalta – sia chiaro, mantenendo i piedi per terra – e facciamo serate, spettacoli, una serie di bellissime cose che tra l’altro sono particolarmente apprezzate dalla gente. Non posso negare che questo sia davvero gratificante».
E’ vero che tutto ha inizio dall’ambizione di Enrico di diventare un affermato deejay?
«Mi dai l’occasione per rimarcare una volta di più che il film che ci vede protagonisti è molto romanzato, la storia vera è quella che trovate scritta nel libro: diciamo che il regista si è preso più di una licenza poetica, girando il film a sua immagine e somiglianza. E’ vero che mio fratello Enrico volesse fare il deejay, questo è innegabile, ma devo ricordare che noi eravamo quattro fratelli nati fondamentalmente in un negozio di dischi. Tutti, indistintamente, siamo stati “contagiati” da una esplosiva passione per la musica e da piccoli registravamo queste cassette inizialmente destinate ad amici. Lo facevamo, lo ammetto, anche per necessità economiche, cercavamo così di aiutare la famiglia in quegli anni dove le cose non è che andassero per il meglio».
Quando avete capito di essere diventati una vera e propria industria?
«Eh, la verità è che noi probabilmente nemmeno ce ne siamo accorti. Abbiamo iniziato tutti e quattro a cavallo tra il 1974 ed il 1975, quando ereditammo questo negozio nel nostro quartiere di Forcella. Da lì nasce il nostro percorso, ma davvero tutto si è evoluto quasi senza che ce ne capacitassimo. Partimmo come quattro ragazzi che non riuscivano a sbarcare il lunario e abbiamo chiuso il nostro ciclo con un’azienda che aveva oltre cento persone alle proprie dipendenze. Diventammo una sorta di società per azioni non ufficiale».
Già, addirittura a un certo punto la prima industria discografica italiana. Roba da non credere…
«Sì, ma ti ripeto che davvero non ce ne siamo mai fondamentalmente resi conto. Eravamo giovanissimi, non avevamo esperienza e soprattutto mancavamo di educazione al denaro. E’ stato tutto un gran casino, però ci siamo divertiti davvero tanto».
Per quale motivo rifarebbe tutto tornando indietro e per cosa invece ne farebbe a meno?
«Questa è una domanda estremamente complicata. Partiamo col dire che oggi purtroppo sarebbe impossibile riproporre quel modello, viste le moderne tecnologie. Ciò posto, se potessi tornare indietro rifarei tutto daccapo, senza alcuna esitazione: però magari con l’esperienza che non si ha in gioventù, tutto il denaro guadagnato magari sarebbe finito in qualche paradiso fiscale. Invece…».
Invece?
«Lo abbiamo sperperato tutto, tra divertimento, macchine di lusso, gioco. Sono sincero, noi abbiamo avuto tutti i vizi, fortunatamente soltanto da due non ci siamo mai lasciati contagiare: l’alcol e la droga, ne siamo sempre rimasti lontani. Ma per il resto, a pensarci oggi, il modo in cui siamo riusciti a sperperare fiumi di denaro ha davvero dell’incredibile. Tanto incredibile che diventa quasi imbarazzante, credimi, entrare nei particolari. Ripeto, rifarei tutto, ma avendo attenzione a mettere al riparo da qualche parte i soldi. Così magari a quest’ora invece di essere qui a farmi intervistare da te, mi sarei trovato su chissà quale meravigliosa isola dimenticata».
Siete passati alla storia per quelli che hanno fatto sì che fosse introdotto il reato di pirateria in Italia.
«Noi siamo stati visti come precursori, inventori di un sistema, ma questo assolutamente non corrisponde al vero. Quando noi nel 1975 abbiamo ereditato questo negozio (pensa che all’epoca avevo 13 anni) io ci lavoravo e il mio principale già produceva le cassette false ed aveva anche un gruppo di persone alle sue dipendenze. Insomma, questa cosa non l’abbiamo certamente inventata noi. Piuttosto, noi abbiamo introdotto delle idee che si sono rivelate vincenti ed hanno funzionato: le compilation, la passione per la musica, ma a Napoli non c’eravamo solo noi a duplicare musicassette, erano in centinaia. Le differenze? Beh, in primo luogo noi abbiamo fatto più rumore, poi eravamo stupidi, ma davvero stupidi».
Perché?
«Noi ci firmavamo sulle cassette, è come se tu andassi a fare una rapina in banca e dopo il colpo lasciassi la tua carta d’identità sullo sportello. Noi brandizzavamo le nostre mucassette col marchio “Mixed by Erry” poi la concorrenza arrivava e ci copiava. Per farla breve, se noi producevamo mille cassette, sul mercato se ne immettevano duemila perché poi gli altri ci copiavano. Chiaramente nel momento in cui abbiamo subito il processo, noi abbiamo pagato anche le colpe degli altri. Ecco perché facevo riferimento alla stupidità».
Quali erano all’epoca del boom di “mixed by Erry” i ruoli e le peculiarità dei quattro fratelli?
«Nel nostro caso si creò una sorte di gerarchia che però nacque in maniera assolutamente involontaria. Dal momento che ero anagraficamente il fratello più grande, diciamo che spettò a me il ruolo di assumere le decisioni su quelle che erano le cose da fare: ma non ci eravamo seduti al tavolo per spartirci compiti e mansioni, fu tutto spontaneo. Nessuno faceva il colonnello piuttosto che il caporale, anche perché comunque alle spalle avevamo nostro padre. Che aveva un ruolo importante e nient’affatto marginale se non addirittura nullo come traspare dal film (ecco perché ribadisco l’invito a leggere il libro). Io avvertivo maggiormente il peso della responsabilità, sebbene diciottenne ero già sposato con una figlia, loro invece dei giovanotti senza ancora una famiglia. Dunque, io mi occupavo delle iniziative imprenditoriali e questo mi ha consentito pure di girare il mondo: più volte, infatti, mi sono recato ad esempio in Cina e Stati Uniti per essere sempre aggiornato ed al passo con le tecnologie che cambiavano. Mi occupavo anche di chiudere accordi con grosse aziende quali Sony e Tdk, giusto per citarne qualcuna. Enrico aveva il compito di creare le compilation da cui nascevano le musicassette, mentre Angelo e Claudio curavano le relazioni e i rapporti con i nostri clienti, di fatto grossisti che poi a loro volta mettevano in vendita il prodotto».
E’ possibile stimare quanto abbia prodotto in tutti quegli anni il brand “mixed by Erry”?
«Mi viene difficile fare una stima attendibile, quello che posso dire è che noi “sfornavamo” dalle 40 alle 50mila cassette al giorno. Un qualcosa che credo sia assolutamente mostruoso, ancora oggi io stesso faccio fatica a crederci».
Di cosa si occupa oggi?
«Sono sincero, oggi conduco una vita noiosissima. Ribadisco, a noi “Mixed by Erry” ci ha rovinato. Conducevamo una vita piena di adrenalina, all’insegna del divertimento, facevamo quello che ci piaceva. Adesso mi occupo di elettronica, ho una società con mio nipote specializzata in vendita all’ingrosso di telefonia. La mia è un’esistenza abbastanza tranquilla. Anche se…».
Anche se…?
«Adesso ci stiamo pian piano rimettendo su, perché i primi anni sono stati davvero all’insegna della depressione. Ricordo che noi firmammo un accordo con il tribunale attraverso il quale ci impegnavamo vita natural durante a non occuparci più di prodotti audiovisivi. Credimi, riprenderci una vita normale – dopo tutti i sequestri che abbiamo subito e con essi una serie di problematiche non indifferenti – siamo stati costretti anche a dover lavorare, da persone normali. E ovviamente non è stato affatto facile inserirci nel mondo occupazionale, perché il fardello che ci portavamo sulle spalle (e di riflesso il nostro cognome) pesava non poco. Venivamo indicati come quelli di “Mixed by Erry”, ancora oggi non ho ben capito come la gente ci inquadrasse e giudicasse. Io amo dire che noi siamo stati “spacciatori” di musica a buon mercato, ma da parte di chi non ci conosceva abbiamo pagato anche il fatto di essere nati e cresciuti a Forcella. Riconquistare fiducia, stima e affetto è stata una battaglia che abbiamo portato avanti per anni. Adesso, ringraziando Iddio, va tutto meglio: abbiamo un’età, i nostri figli sono sposati, laureati, mentre noi ci siamo fermati alla quinta Elementare. Questo è più o meno il film della nostra vita, ma se vuoi saperne di più ti invito ancora una volta a leggere il libro che la racconta in maniera dettagliata. E soprattutto veritiera».