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La terra d’Ischia Ponte nella celebre ricerca di don Pietro Monti e Alfredo Rittmann

L’origine e il tramonto della cittadella sommersa d’Aenaria è alla base della Ricerca storica del Sacerdote archeologo don Pietro Monti sull’assetto geologico d’Ischia Ponte e dei suoi attuali problemi. La cittadina d’Aenaria andò costituendosi verso il IV sec. a. C. e finì improvvisamente tra il 130 e il 150 d. C. La causa della distruzione e della immersione del borgo romano per la lavorazione dei metalli (dal latino ‘aena’) va assegnata all’eruzione del Montagnone-Maschiatta che fu accompagnata da forti terremoti ed assestamenti vulcano-tettonici nella terra d’Aenaria e Cartaromana. I ritrovamenti archeologici condotti dallo stesso don Pietro Monti dimostrano che gli abitanti fuggirono senza neppure asportare i prodotti dei metalli più preziosi. Difatti in una relazione fatta per lettera del 10 ottobre 1978 dal famoso vulcanologo svizzero prof. Alfredo Rittmann a don Pietro Monti (pag. 183 del suo vol. ‘Ischia archeologia e storia’) è scritto: – “La distruzione della cittadella fu immediata, causata da terremoti accompagnati da piogge di cenere, di pomici, che coprirono lo strato archeologico sottomarino. L’immersione della cittadella distrutta e rasa al suolo può essere stata anche successiva e relativamente lenta, ma sempre dovuta alla vulcano-tettonica locale che causò la formazione di una faglia diretta verso N-S, tra l’attuale Ischia Ponte e gli scogli di S. Anna. E’ chiaro che se l’abbassamento fosse stato dovuto ad un bradisismo differenziale locale, causato dal lento degassamento del bacino magmatico, i ruderi della cittadella sarebbero rimasti per secoli emergenti dalle acque, rovistati, saccheggiati, e menzionati da qualche antico scrittore -”. Invece la scomparsa fu immediata. “Secondo le misurazioni periodiche -scrive don Pietro Monti-, le rovine della cittadella sommersa dovrebbero trovarsi ad una profondità di m. 3-4, pari a quella della grotta di Varule; invece esse affondano a m. 8-9, una profondità eccessiva sbalorditiva. Volendo pertanto riportare quelle antiche strutture all’asciutto, dovremmo allontanare, dall’attuale costa di Cartaromana, la massa di acqua di alcune centinaia di metri; ciò renderebbe transitabile non solo lo specchio d’acqua antistante il Castello, ma anche la fascia di mare che dal Castello corre alla spiaggia della Mandra”. Questa nuova formazione geografica dette luogo al toponimo “de ìnsulis”, che subentrò ben presto ad indicare la presenza non più di una ma di due isole ed esso compare per la prima volta in una lettera di Papa san Gregorio Magno del 598. Insomma un cataclisma trasformò repentinamente l’intero paesaggio d’Ischia Ponte col distacco dell’isolotto del Castello dall’isola madre e comunque l’esistenza della faglia (spaccatura della superficie) sotto Ischia Ponte è confermata, altresì, dalla pendenza della strada d’accesso in basoli dall’attuale farmacia al piazzale, che con le mareggiate si allaga provocando seri problemi agli antichi edifici.

*Pasquale Baldino, responsabile diocesano Cenacoli Mariani, docente Liceo, poeta (e-mail: prof.pasqualebaldino@libero.it)

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