LA TESTIMONIANZA Le drammatiche parole di Sara: «Vi racconto la mia odissea»
Una testimonianza coraggiosa, che ha coinvolto emotivamente tutte le persone presenti all’incontro di ieri mattina. Sara, una ragazza poco più che ventenne, nata in una famiglia di genitori già divorziati, inizialmente accudita dalla sola madre (che si era allontanata dal marito perché violento) e da uno zio affettuoso, è venuta a raccontare nella sala consiliare di Ischia la sua esperienza, quando si trovò a cadere quasi subito nell’incubo nel momento in cui il padre e la madre decisero di tornare insieme. Sin da piccolissima, a 4-5 anni, il padre cominciò a sfogare la sua rabbia tra le mura domestiche. Lavorando di notte come fornaio, l’uomo aveva addirittura installato telecamere in ogni camera della casa, e quando rivedeva le registrazioni cercava ogni pretesto per scatenare la violenza, distruggendo piatti e bicchieri, percuotendo madre e figlia, violenza che si indirizzò anche sul secondo figlio che intanto era venuto al mondo. Un clima di tensione e paura costante, fino a un episodio allucinante: l’uomo era arrivato a trascinare la moglie con un cavo verso la finestra, con la chiara intenzione di gettarla nel vuoto. Un’immagine rimasta impressa nella memoria di quella che era una bimba di sette anni. Un incubo, dove la ragazzina non riusciva a comunicare con nessuno, arrivando quasi a considerarsi “sbagliata”, vergognandosi della situazione e cercando di evitare che la drammatica situazione familiare venisse conosciuta all’esterno. Crescendo, la situazione peggiorava e la ragazza prese progressivamente maggiore consapevolezza, anche nel comprendere la necessità di cercare aiuto: dapprima tramite sportelli di servizi sociali, ma la vergogna e la paura delle continue minacce paterne le impedivano di raccontare la verità. La svolta arrivò quando si imbatté nel Punto D Sportello d’ascolto di Ischia: lentamente la ragazza riuscì ad aprirsi, sulla chat che le consentiva di evitare la ferrea sorveglianza paterna. Un giorno la giovane riuscì a organizzare una vera e propria fuga, portando con sé soltanto i suoi amati libri, lasciando ogni cosa (e una lettera per i genitori) ed entrando in un programma di protezione, ospitata segretamente in un appartamento per otto mesi, e poi in una casa-rifugio: finalmente un minimo di libertà, di essere sé stessa senza dipendere dall’umore di qualcuno. Poi la voglia di aprirsi agli altri, fino a trovare un lavoro a contatto con la gente, per pagarsi gli studi all’università, e il solo rimpianto di non aver ancora potuto aiutare il fratello e la madre, ma con la consapevolezza che bisogna prima farsi forza da soli per poi trovare un aiuto esterno.