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«L’abusivismo non c’entra», così Lagnese durante l’omelia

ECCO L’OMELIA PRONUNCIATA IERI POMERIGGIO AL PALASPORT TAGLIALATELA DAL VESCOVO LAGNESE IN OCCASIONE DEI FUNERALI DI LINA BALESTRIERI E MARILENA ROMANINI, VITTIME DEL TERREMOTO:

Carissimi fratelli e sorelle,

in questa Messa vogliamo in modo particolare pregare per Lina Balestrieri e Marilena Romanini, decedute nel terremoto che ha colpito l’isola di Ischia la sera del 21 agosto scorso, ma anche per i feriti, per quanti hanno perso la casa e per tutti gli sfollati. Ringraziamo tutti i soccorritori e gli uomini dello Stato intervenuti a questa celebrazione: in particolare il Ministro dell’Interno, on. Marco Minniti e il Prefetto di Napoli, dott.ssa Carmela Pagano; la loro presenza ci conferma il sostegno del governo italiano e di tutte le istituzioni del Paese, ma in modo particolare ci porta l’abbraccio dell’intera nazione che si stringe a noi questa sera…

Ci fermiamo per metterci in ascolto della Parola di Dio e per prendere forza dal Pane dell’Eucaristia. Chiediamo umilmente perdono al Signore per tutti i nostri peccati: per i peccati di opere e omissioni ma anche per tutte le parole inopportune e per i giudizi affrettati, pronunciati in questi giorni.

Omelia

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avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi…: così ha inizio il Vangelo di oggi. Inizia cioè ricordando quanto Gesù poco prima aveva detto circa la resurrezione dei morti, ribadendo che il nostro non è il Dio dei morti ma dei vivi… e affermando che sempre, oltre la morte, c’è la vita, che la vita è più forte della morte e che alla vita, e alla vita eterna, siamo tutti chiamati.

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Ci consola poterlo sottolineare in questo momento mentre ci troviamo di fronte ai due corpi senza vita di Lina e Marilena, morte l’altra sera in seguito al sisma che ha colpito in modo particolare due comunità della nostra isola d’Ischia: Casamicciola Terme e Lacco Ameno.

Lina e Marilena erano persone conosciute nei loro paesi e ben integrate nelle loro comunità ecclesiali. Di Marilena sappiamo che, benché non fosse ischitana, aveva trovato sull’Isola un ambiente accogliente che l’aveva convinta a dimorare in mezzo a noi e a stabilire rapporti cordiali con la nostra gente.

Di Lina, baranese di origine, ma di fatto da anni impegnata nella comunità parrocchiale di S. Ciro martire, potremmo dire molte cose, ma mi piace qui sottolineare soprattutto come lei ritenesse la scoperta dell’Amore di Dio, il grande regalo della sua vita che le aveva permesso di vederLo vivo negli avvenimenti della sua esistenza, ma anche nel volto di tanti suoi fratelli, ad incominciare da quelli più poveri e disagiati.

Anche se in maniera nuova e altra, la vita di Marilena e di Lina continua.

Sì, la morte è parola penultima. Cristo ce lo ridice in questa Eucaristia. E se ce lo dice Lui, possiamo fidarci! Anzi è proprio grazie a Lui che noi possiamo annunciare questo mistero: Lui, che ha preso la nostra morte e l’ha inchiodata sul legno della Croce, è per noi fonte di resurrezione e di vita eterna.

Per questo vogliamo qui confessare la nostra speranza: “Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo, tutti riceveranno la vita” (1Cor 15, 20-22).

Con questa consapevolezza affidiamo alla terra i corpi mortali delle nostre sorelle Lina e Marilena, sicuri che per loro è stata preparata una vita nuova ed eterna.

Questa certezza, che ci viene dalla nostra fede, ha nell’amore di Dio per noi il suo vero fondamento.

Il nostro è un Dio che ci ama per davvero e per questo mai ci abbandona.

Sì, il Signore è con noi! Egli è il Dio fedele! Colui che non viene meno…

L’altra sera, dopo una giornata densa di emozioni ma soprattutto di speranza, vissuta nell’attesa che i tre bambini, Pasquale, Mattias e Ciro, potessero emergere dalle macerie, e poi trascorsa tra gli sfollati e i feriti ricoverati all’ospedale Rizzoli e accanto ai familiari delle vittime, nel celebrare la Messa ha risuonato in me una Parola della Scrittura che come olio che consola e balsamo che lenisce le ferite, sentivo donata non solo a me ma a tutto il popolo di Ischia.

«Io sarò con te!» (Gdc 6, 12): diceva la Parola. E, in modo particolare, sentivo che il Signore veniva a dirlo a tutti quelli che, visitati dal terremoto, avevano forse visto vacillare, insieme alle loro case, anche la certezza dell’amorevole presenza di Dio e si saranno chiesti: «Se il Signore è con noi, perché ci è capitato tutto questo?» (Gdc 6, 13).

Ma il Signore è con noi anche se ci è capitato tutto questo. Sì, Lui è con noi sempre e chiede a ciascuno di noi di essere segno della Sua presenza.

E anche oggi, in questa Liturgia, ce lo ribadisce.

E per questo, con il Salmo 145, ci invita a dire:

«Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe: / la sua speranza è nel Signore suo Dio, (…) / Egli rimane fedele per sempre (…) dà il pane agli affamati. / Il Signore libera i prigionieri. (…) Il Signore ridona la vista ai ciechi, / il Signore rialza chi è caduto,…».

In questi giorni, attraverso la solidarietà e la generosità di tanti, abbiamo realmente sperimentato tutto questo. Del resto lo sappiamo: o l’amore è concreto oppure non è vero amore.

Ma l’amore del Signore è concreto, e non a parole: anzi è un amore che si fa carne. E, come abbiamo ascoltato oggi nel Vangelo, chiede anche a noi di fare altrettanto: per questo nella risposta data al dottore della Legge, Gesù mette insieme, uno a fianco all’altro, il comandamento dell’amore a Dio e quello al prossimo. Sì, insieme: come due facce di un’unica medaglia, volendo dirci, come ci ricorderà Giovanni nella sua I Lettera, che dove c’è uno, c’è anche l’altro e che il secondo è garanzia della presenza del primo.

Nella prima Lettura proclamata oggi, dal Libro di Rut, abbiamo ascoltato di quella giovane moabita – dalla quale, secondo la genealogia di Matteo, discenderà Davide e dunque Cristo – che alla suocera Noemi, in cammino verso Betlemme, dichiara: «dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio».

Queste parole di Rut le riconosco, innanzitutto per me vescovo di Ischia, ma anche per tutta la nostra Chiesa, quasi come un programma pastorale. Sono parole che dicono fedeltà sponsale verso il popolo a me affidato ma, prima di ogni altra cosa, espressioni che mi ricordano che ci è stato dato uno Sposo che ci ha giurato eterno amore e a quell’amore noi vogliamo essere fedeli.

Leggiamo in Isaia:

«Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma sarai chiamata Mia Gioia
e la tua terra Sposata,
perché il Signore troverà in te la sua delizia
e la tua terra avrà uno sposo.
(Is 62, 4)».

Rut è figura della Chiesa, chiamata a vivere una fedeltà al popolo che è indubbiamente fedeltà al Suo Signore, ma che prima di ogni cosa è segno della stessa fedeltà di Gesù, volto della compassione di Dio e della Sua Misericordia.

Per questo, fin dal primo istante, abbiamo volutoessere vicini alla nostra gente e, in particolare, alle comunità coinvolte nel sisma, nella consapevolezza che esprimere vicinanza e manifestare condivisione è la missione della Chiesa: “Siamo servi inutili. Abbiamo (soltanto) fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17, 10).

Ringrazio il Signore anche per le tante manifestazioni di affetto e di prossimità manifestateci e per quanti si sono raccolti in preghiera per noi e con noi: primo fra tutti il Santo Padre Francesco, che ci ha mostrato il suo sostegno e ci ha inviato la Sua Apostolica Benedizione.

Insieme a lui tanti altri: a incominciare dai confratelli dell’episcopato campano e italiano, ma anche i molti laici, religiosi e comunità claustrali che si sono raccolti in preghiera per noi e si sono resi disponibili ad offrirci il loro contributo.

Ci sentiamo anche uniti alle popolazioni del Lazio, delle Marche e dell’Umbria che un anno fa vissero la stessa nostra esperienza a causa di un terremoto certamente molto più devastante del nostro che causò 249 vittime. Siamo vicini a quelle popolazioni nella certezza che anche loro ci sono accanto con la loro preghiera.

La vicinanza alle comunità ferite dal sisma dell’altra sera mi spinge anche a prendere le distanze da certi giudizi che ritengo affrettati e strumentali, che contribuiscono a presentare un’Isola che avrebbe fatto dell’abusivismo edilizio e, più in generale, dell’illegalità un sistema di vita.

In questi giorni ho incontrato tanti uomini e donne che abitavano nelle zone interessate dal terremoto e ho letto nei loro sguardi, ma anche nelle loro parole, tanta amarezza non soltanto per aver perso la casa ma per essere stati additati come persone sconsiderate ed incoscienti.

No, non è così il popolo ischitano!

Come ho avuto modo di dire nel recente Messaggio all’indomani del terremoto, l’abusivismo edilizio – che pure, ne siamo consapevoli, è presente sulla nostra Isola e che pertanto va combattuto con determinazione soprattutto quando esso mina l’incolumità dei cittadini, ma che va anche affrontato da parte di tutti con senso di concretezza e di piena responsabilità e senza lasciarsi ingabbiare dai lacci della burocrazia – di certo non può essere ritenuto la vera causa dei crolli che hanno interessato per la maggior parte edifici di non recente costruzione e numerose chiese dell’Isola.

Lasciamo comunque che gli organismi preposti facciano le opportune verifiche e si pronuncino in modo chiaro e preciso e la giustizia faccia così il suo corso.

Alle Autorità di Governo intanto chiedo di attivarsi prontamente per una celere ricostruzione degli edifici distrutti e per la messa in sicurezza dei tanti fabbricati coinvolti, affinché a quanti hanno perso la casa, sia offerta al più presto una dignitosa e stabile abitazione. La ricostruzione delle zone interessate dal sisma avvenga in maniera rapida anche per permettere che l’attività turistica dell’Isola, bellissima e fragile, possa continuare. Anche per questo, ai turisti chiediamo di non rinunciare alla loro vacanza in mezzo a noi.

Carissimi presbiteri, in questi giorni ho pensato molte volte al Venerabile parroco di Casamicciola, don Giuseppe Morgera, che a seguito del devastante terremoto del 1883, che provocò la morte di 2313 persone, si spese con ogni mezzo per la rinascita spirituale e sociale del suo popolo: anche noi impariamo da lui! Imitiamolo nel fare anche della nostra vita, sul modello di Gesù Buon Pastore, un pane spezzato per i nostri fratelli ed adoperiamoci per coinvolgere i nostri fratelli in un servizio di carità che sappia mettere insieme la fede e la vita.

Ad ogni abitante dell’Isola chiedo di non cedere alla tentazione dello scoraggiamento e dell’isolamento e di lavorare perché tutti uniti, consapevoli che Dio non ci abbandona, possiamo adoperarci per un nuovo futuro di bene per Ischia e il suo popolo.

 

Ci accompagni Maria, la Madre della Misericordia, che asciuga le lacrime di chi è nel dolore e piange con loro. Ella, segno di consolazione e di sicura speranza, ci assicura il suo sostegno, e come la giovane Rut dice ad ognuno di noi:  «dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio».

Con il Suo aiuto. Amen!

 

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