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Tenuta Giardini Arimei, ritorno alla vigna

Gianluca Castagna | Ischia – Negli ultimi anni l’Italia ha attraversato una lunga fase di declino delle superfici vitivinicole coltivate, malgrado siano cresciuti i legami e l’identità dei vini di pregio con i territori di derivazione e appartenenza, spesso volani di sviluppo per altri settori complementari, dal turismo alla produzione agroalimentare, dall’artigianato ai servizi connessi.
Sull’isola d’Ischia, dove il boom turistico aveva ucciso la viticoltura, la riscoperta della natura come opportunità di realizzazione professionale e di vita, ha fatto invece registrare segnali positivi costanti. L’enologia meridionale prova ad attrarre investitori in aree particolarmente appetibili non solo per l’antica tradizione vitivinicola, ma anche per le risorse storico-artistiche e paesaggistiche di cui dispongono. Si ritorna alla terra, dunque. Alla nostra terra. Come al termine di un giro completo di cui solo alla fine ci appare più chiaro il senso.

 
Un ritorno alla propria terra per l'enologo Francesco Iacono (foto secondaria)E’ anche il caso dell’enologo Francesco Iacono, nato e residente a Forio d’Ischia, “orgogliosamente foriano”, ma vissuto e formatosi lontano dall’isola. Famiglia di viticoltori costretta ad emigrare perché il vino non consentiva alla stessa di sopravvivere. Poi l’opportunità di ritornare, dopo decenni, grazie ad Arcipelago Muratori, azienda vitivinicola con una filosofia ben precisa: dedicare ad ogni territorio un solo vino. Un ritorno “emotivamente importante” per esaltare la qualità dei diversi ambienti e omaggiare la tradizione più autentica dei nostri luoghi. La tenuta dei Giardini Arimei è situata nella zona di Montecorvo a Forio, in uno dei siti viticoli più evocativi dell’isola. Un antico borgo tutto in pietra di tufo verde, con cantine scavate in grossi massi originati da antiche frane dell’Epomeo, con una cappella votiva in cui si sono celebrati riti per la vendemmia e per San Vito, protettore del vignaiolo. E’ qui il laboratorio di pensiero e idee dove s’incontrano memoria e innovazione, diversità e mercato, uomo e ambiente. Abbiamo chiesto a Francesco Iacono di parlarcene.

Chi bilancio possiamo fare a poche settimane dalla fine della vendemmia? Che effetto ha avuto il caldo eccezionale della scorsa estate sulle uve e dunque sui vini?
«Il caldo ha influito sui tempi di maturazione delle uve, parlerei di una settimana d’anticipo. Abbiamo terminato la vendemmia intorno al 20 di settembre, adesso abbiamo le uve ancora in pianta per il passito, ma direi che da un punto di vista della sanità dell’uva il risultato è più che buono, qualitativamente più alto della media. E’ vero che l’estate è stata assai calda ma gli eventi piovosi della settimana intorno a Ferragosto hanno creato situazioni molto forti in vigna. Da un punto di vista aromatico, le uve apparivano meno ricche alla vendemmia, proprio per il caldo intenso che le ha fatte maturare molto rapidamente. Però, al contempo, dalle fermentazioni che stiamo seguendo, il risultato appare molto soddisfacente. Non abbiamo ancora il vino in cantina, quindi ho difficoltà a dare giudizi definitivi. In linea di massima siamo contenti ».

Da un punto di vista quantitativo, invece, che annata è stata? Paragonata, ad esempio, alle passate stagioni.
Abbiamo prodotto 7- 8% in più rispetto all’anno scorso. Il calore dei mesi scorsi non ha influito sulla quantità. Naturalmente molto dipende da come si sceglie di fare viticoltura, da quanto uva si voglia dai vigneti. Noi siamo molto rispettosi dell’ambiente, riusciamo ad avere 70-80 quintali all’ettaro, anche se parlare di ettaro sull’isola è complicato, però questo è il resoconto a fine vendemmia».

Foto principale-2Che giudizio dà della situazione dei vitigni a Ischia ?
«La situazione è tipica di una zona dove la viticoltura è marginale, part time, non sempre accompagnata dalla dovuta attenzione. Del resto, a parte alcune realtà, nessuno riesce a viverci. L’agricoltore non campa dell’uva che produce, automaticamente è meno attento a quello che fa in vigna».

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Troppa improvvisazione?
«Più che improvvisazione, è una questione di approssimazione. Non perché gli ischitani siano approssimativi, ma perché attualmente l’attività agricola non è sempre remunerativa per tutti, quindi non consente di investire. L’approssimazione è pertanto una conseguenza. Allora c’è l’abbandono dei terreni, una viticoltura improvvisata perché si vuole avere due filari di vigna vicino casa, nessun adeguamento alle esigenze della cantina, in molti casi le uve si raccolgono ancora in secchi e non in cassette forate. Manca l’innovazione.».

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C’è qualcosa che le amministrazioni potrebbero fare in favore della viticoltura e in più in generale dell’agricoltura isolana?
«E’ un processo culturale davvero trasversale, perché riguarda tutti: le amministrazioni devono comprendere che la viticoltura rappresenta la salvaguardia del territorio e del paesaggio. Senza viticoltura l’isola non esiste più. Niente più muri a secco, ad esempio. Solo erosione. Ecco, qui c’è una responsabilità di tipo amministrativo. Poi ci sono i viticoltori, i quali debbono rendersi conto di essere custodi di un patrimonio culturale e ambientale. E il singolo cittadino, anche quello che non ha un pezzo di terra, deve essere grato a quel viticoltore-eroe perché è grazie a lui che non ha una foresta dentro casa o altre 10 case dentro la sua. Ecco perché deve essere disposto anche a spendere anche un euro in più per comprare il vino isolano. Qui chiamo in causa tutto il mondo alberghiero turistico e imprenditoriale dell’isola d’Ischia, dovrebbero essere loro i primi testimonial del nostro messaggio e dei nostri prodotti».

Per la Coldiretti, un terzo della spesa degli italiani in vacanza è destinato alla tavola e all’acquisto di prodotti enogastronomici. Un’etichetta di qualità può dunque diventare polo di attrazione anche turistica. Secondo Lei, i viticoltori ischitani sono pronti a questa rivoluzione? Hanno capito le potenzialità dei nostri prodotti?
«Pronti no, ma “ci stiamo attrezzando per”. Siamo coscienti che la viticoltura è un valore aggiunto, ci sono realtà imprenditoriali come quella che io rappresento, che decidono di venire a Ischia per investire e per fare un certo tipo di attività. C’è una sensibilità, la percezione che si possa cambiare registro, quello che manca è un comprensorio che si muova in questa direzione. Il sistema turistico per primo dovrebbe essere fiero di offrire ai suoi ospiti i prodotti del territorio, anche spendendo qualcosina più. Perché coltivare sull’isola è più costoso che coltivare in terraferma».

Qual è il ruolo dell’enologo oggi? Più esperienza o tecnica?
«Direi che ancora oggi è l’esperienza ciò che conta. La tecnica la impariamo tutti, si studia. Altra cosa è decidere se e come applicarla. Se limitiamo l’enologia alla trasformazione di un prodotto, tutti faremmo lo stesso vino. E’ invece la sensibilità dell’enologo nei confronti dell’uva e del territorio che dà un prodotto diverso. Lì c’è tutta l’esperienza, ma soprattutto la sensibilità».

Momenti della vendemmia alla Tenuta Giardini Arimei (foto terza)C’è una caratteristica delle uve ischitane che le distingue da tutte le altre?
«La forza dell’isola d’Ischia, e in particolare della zona sud-sud ovest, dove storicamente si è sviluppata l’agricoltura, è che i vini isolani autentici sono organoletticamente differenti. In sapidità e mineralità. E’ la forza dell’isola d’Ischia. Oggi per andare incontro a un consumo standard stiamo dimenticando la nostra unicità. Se per intercettare la grande massa mi standardizzo, perdo il senso della mia unicità, della mia originalità. Ciò che spingerebbe il consumatore a spendere qualcosa in più quando il mio vino è differente da tutti gli altri. Dobbiamo convincerci che la nostra forza è la diversità».

Il mercato è dunque condizionato dall’omologazione anziché dall’originalità del prodotto?
«Siamo noi produttori isolani che dobbiamo comunicare al consumatore che può bere diversamente. Poi lo educhiamo al vino, alla sua unicità. Ma prima dobbiamo avere la coscienza che questa è una forza che può diventare propulsiva. Solo allora saremo in grado di comunicarlo con successo».

Quando vedremo sulle nostre tavole il vino frutto della vendemmia alla Tenuta Giardini Arimei?
«Dopo Pasqua 2016. Solitamente presentiamo in anteprima a Vinitaly le prime bottiglie, per poi essere pronti intorno ai primi di aprile»

Foto quarta (se possibile a fondo pagina che copra 4 o 5 colonne)

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