CRONACAPRIMO PIANO

L’AFFONDO DI MOLINARO: «Sbagliato non mandare a casa i sindaci»

Intervista senza freni all’avvocato esperto di diritto urbanistico, condoni ed edilizia sanzionatoria che si sofferma sul ritorno delle ruspe sull’isola e non solo soffermandosi tra l’altro sulla mancata applicazione di una norma. Poi l’accisa: «Alla politica fa comodo essere commissariata dalla magistratura». E sul protocollo Gratteri-De Luca spiega…

Di recente è stato protagonista al convegno “Salva Casa” che si è svolto a Capri. Cosa è emerso di nuovo in questa delicata e complessa problematica?

«La legge “SALVA CASA” rappresenta senza dubbio un passo avanti rispetto a un quadro normativo incerto e lacunoso, nel quale la stessa giurisprudenza fa fatica ad indicare le giuste soluzioni. Supera, infatti, i tabù della sanatoria condizionata e della inammissibilità dell’autorizzazione sismica in sanatoria, riduce le limitazioni in materia di accertamento di compatibilità paesaggistica, prevedendo, altresì, il silenzio assenso in luogo dell’originario silenzio-rifiuto, sottopone a revisione la categoria delle tolleranze costruttive, elevandone il limite percentuale in ragione della superficie dell’immobile, sostituisce il silenzio rigetto con il silenzio assenso in relazione al nuovo accertamento di “monoconformità” urbanistica, riguardante le parziali difformità e le variazioni essenziali. Amplia, inoltre, i casi di possibile mutamento della destinazione d’uso al fine di evitare nuovi insediamenti nelle aree edificate, compresi i centri storici, così ponendo un argine al progressivo consumo del suolo. La legge in questione, tuttavia, anche perché slegata da una riforma organica del Testo Unico dell’edilizia, finisce per generare un vero e proprio cortocircuito sul tema delle acquisizioni».

In che senso?

«La legge prevede per il comune la possibilità di vendere l’immobile acquisito al proprio patrimonio, una volta accertato che lo stesso non contrasta con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico, ma il contratto di compravendita dovrà essere, in tal caso, sospensivamente condizionato alla demolizionedelle opere. E questaè una vera assurdità! Si è al cospetto, infatti, di una norma che non esito a definire“suicida”, mutuando l’espressione dalla categoria delle “sentenze suicide”, che, come è noto, identificano le forme più abnormi o illogiche di argomentazione e decisione dei giudici, ovvero la palese incompatibilità tra motivazione e dispositivo. Se, dunque, si vende l’immobile, evidentemente si è deciso di conservarlo per poi ricavarne un utile, trasferendolo a terzi. Se lo si acquista, lo scopo è quello di goderne. Se poi lo si deve demolire, colui che lo ha acquistatocosaci guadagna? Ha speso i suoi soldi, regolarmente incamerati dal Comune, per godere del solo terreno sul quale l’immobile era stato edificato? E che se ne fa del terreno, dopo aver versato il prezzo per l’acquisto del bene? Anche chi non mastica diritto intuisce che una disposizione similecozzapalesementecon il buon senso. Sfido io a trovarein Italia un solo acquirente propenso a fare un’operazione del genere».

Nella legge, oltre alla problematica delle acquisizioni, si registrano altre zone d’ombra, altre criticità?

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«La legge, senza dubbio, lascia impregiudicate altre problematiche, come quella sullo “stato legittimo” dipendente dall’ultimo titolo abilitativo che ha interessato l’intero immobile o l’intera unità immobiliare: “stato legittimo” che, però, può ritenersi provato solo se l’amministrazione competente, in sede di rilascio del titolo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi, tutt’altro che scontata. Lo stesso è a dirsi, naturalmente, in caso di SCIA, allorquando il tecnico asseveratore abbia dichiarato, nella propria relazione o nella relativa modulistica, che i titoli precedentemente rilasciati sono legittimi, cosa che presuppone, pur sempre, approfondite indagini talvolta dall’esito incerto. Altra criticità è data dal fatto che manca, ad oggi, una modulistica aggiornata con la legge “SALVACASA”, essendo quella disponibile completamente superata».

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Secondo lei, cosa avrebbero potuto fare di meglio il Governo e il Parlamento, visto che questa legge è stata presentata dal Ministro Salvini come la panacea di tutti i mali in materia edilizia?

«Sonopersonalmente dell’avviso che, invece di dialogare sui “massimi sistemi” e partorire leggi, come questa del “SALVA CASA”, utili ma nient’affatto risolutive del fenomeno dell’edilizia “fai da te”, che esiste e non lo si può negare, finendo per interessare più o meno tutto lo stivale, il legislatore avrebbe potuto una volta per tutte gettare la maschera, approvando una legge (questa sì di “pace edilizia”) tesa alla definitiva “riabilitazione” dell’edificato, laddove possibile, condizionata all’esecuzione, da parte del trasgressore, di opere di prevenzione del rischio sismico ed idrogeologico, di bonifica, di bioedilizia, di messa in sicurezza permanente, nell’ottica di un miglioramento complessivo della qualità architettonica, energetica ed abitativa del patrimonio edilizio esistente».

D. Il legislatore è ancora in tempo per un intervento risolutivo?

«Certo che sì! Una legge risolutiva potrebbe essere varata nel giro di pochi mesi se la politica nazionale decidesse di mettere al bando le ipocrisie, facendosi guidare soltanto dal buon senso, dal momento che fare “tabula rasa” in Italia dell’intero patrimonio edilizio abusivo è praticamente impossibile, vuoi perché occorrerebbero secoli per raggiungere un simile obiettivo che definire ambizioso è un eufemismo, vuoi perché non vi sono risorse economiche a sufficienza per demolire tutti gli abusi, vuoi, infine, perché mancano discariche attrezzate per accogliere i residui dell’attività di demolizione, ritenuti dalla giurisprudenza della Cassazione rifiuti speciali e non “sotto prodotti” ai sensi dell’art. 184-bis del d.lgs. n. 152/06.

Tale legge, peraltro, finirebbe per rappresentare un formidabile volano di contrasto alla crisi economica e di tutela dei livelli occupazionali attraverso il rilancio dell’attività edilizia legale mediante un modello di sviluppo ecosostenibile, basato sull’utilizzo consapevole delle risorse naturali e paesaggistiche e sulla salvaguardia dell’ecosistema a vantaggio delle generazioni future. Non sarebbe un condono ma un “ravvedimento operoso”, una soluzione ragionevole ad un problema che è sotto gli occhi di tutti e che solo chi detiene le leve del potere può affrontare e risolvere, a patto di sposare la regola della “tolleranza zero” per chi dovesse in futuro, in barba alla legge, commettere nuovi abusi».

Come giudica il recente protocollo “Gratteri“, siglato da Regione, Procura e Sindaci dell’area flegrea?

«Pur apprezzando gli sforzi e le commendevoli finalità che hanno spinto i protagonisti a sottoscriverlo, ritengo, tuttavia, che questo protocollo sconti un errore di base, in primo luogo per la sua atipicità sul piano strettamente giuridico. In esso si richiama, infatti, l’art. 15 della legge n. 241 del 1990, a mente del quale “le Amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune”. Ma tale norma è riferita, con ogni evidenza, alle sole Amministrazioni pubbliche, tra le quali non figura di certo l’Autorità Giudiziaria, prevedendo l’art. 104 della Costituzione che: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”.

Altra criticità è data dal fatto che, pur avendo la giurisprudenza penale chiarito che i Comuni e la Regione ben possono prestare alle Procure la propria collaborazione nella materiale esecuzione degli ordini giudiziali di demolizione, non vi è nessuna norma nel sistema che abiliti la Regione a mettere a disposizione proprie risorse (pari a 2,3 milioni di euro nel caso del Protocollo “Gratteri”) per finanziare le attività repressive di competenza del Pubblico Ministero».

Possibile?

«La norma che regola la materia è indiscutibilmente quella dell’art. 32, comma 12, della legge n. 326/03, che, nel prevedere l’istituzione di un fondo di rotazione di 50 milioni di euro presso la Cassa Depositi e Prestiti al fine di garantire copertura finanziaria alle demolizioni di competenza esclusiva del Pubblico Ministero, attribuisce a quest’ultimo il potere-dovere di attivare, per il tramite del comune territorialmente competente, le richieste di finanziamento. Del resto, ad ulteriore conferma della centralità della disposizione citata, è previsto che anche il Comune, così come tutti gli altri “soggetti titolari dei poteri di cui all’articolo 27, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”, sono obbligati ad attingere al predetto fondo di rotazione per garantire copertura di spesa alle rispettive demolizioni. Non va, poi, dimenticato che alla Presidenza della Giunta Regionale compete l’esercizio del potere sostitutivo, cui pure va garantita la giusta copertura, in caso di inerzia dei Comuni.

Tale interpretazione è confermata anche dalla Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale della Campania, la quale, con deliberazione del 1^ ottobre 2020, in risposta ad un quesito formulato proprio dal Comune di Bacoli, che è uno dei Comuni che ha preso parte alla stesura e sottoscrizione del Protocollo “Gratteri”, circa la riconducibilità o meno dell’attivazione del fondo rotativo presso la Cassa Depositi e Prestiti alle forme di “indebitamento”, ha ribadito che “le anticipazioni sono concesse sia per le demolizioni disposte dalla pubblica amministrazione sia per quelle disposte dall’autorità giudiziaria” e che, in caso di mancata restituzione nel quinquennio, si attiva la falcidia dei trasferimenti erariali … per una quota corrispondente all’importo dell’anticipazione, al lordo del contributo alle spese di gestione e degli interessi di mora”. Sempre la Corte dei Conti ha anche ricordato, nella richiamata deliberazione, che “l’art. 1, comma 26, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, ha istituito, nello stato di previsione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, un ulteriore fondo finalizzato alla erogazione di contributi ai Comuni per l’integrazione delle risorse necessarie agli interventi di demolizione di opere abusive” Insomma, la legge, che non fa riferimento alle Regioni ma solo alla Cassa Depositi e Prestiti e al Ministero delle Infrastrtture e dei Trasporti, mi sembra sia sufficientemente chiara e se è così non credo siano ammissibili interpretazioni fuori sistema».

È giusto dire – senza voler fare polemica – che su questa tematica la politica ha inteso cedere il passo alla magistratura lavandosene le mani?

«Sì. Ne sono convinto! Alla politica fa comodo essere commissariata dalla magistratura. Se la Procura demolisce, il Sindaco può sempre dire che la colpa non è sua ma è della legge e di chi la applica. Tutti sanno che il Comune ha centinaia (se non migliaia in alcuni casi) di ordinanze di demolizione da eseguire. Non le esegue e nulla succede, anche nel caso in cui il T.A.R. abbia rigettato il ricorso dell’interessato. Se poi la Procura interviene per eseguire qualche sentenza di condanna, pazienza. La demolizione non è imputabile al Comune ma alla Autorità Giudiziaria.

Si dirà: ma il Comune mette i soldi, chiedendoli alla Cassa Depositi e Prestiti. Quindi, quantomeno concorre. Anche in tal caso c’è la giustificazione, perché è la Procura ad averglieli chiesti e alla Procura non si può dire di no. Si commetterebbe un reato. La politica, soprattutto quella degli enti locali, sembra, dunque, al riparo da sorprese quantomeno da parte dell’elettorato … ma in effetti non è così. Se le istituzioni preposte facessero il loro dovere, lo scenario cambierebbe radicalmente.

Abbiamo leggi perfette ma nessuno le applica».

A cosa si riferisce in particolare?

«C’è una norma, l’art. 141 del Testo Unico degli Enti Locali, che stabilisce che i Consigli Comunali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno, quando si rendono responsabili di gravi e persistenti violazioni di legge. Questo principio vale ovviamente per tutti i Comuni che non eseguono le proprie demolizioni, quelle amministrative per intenderci. Nella Regione Campania, a quanto consta, non se ne salva nessuno. E la cosa più strana è che i Prefetti, che rappresentano sul territorio il Governo della Repubblica, non hanno mai applicato nella nostra Regione una simile procedura che, se attivata, attenuerebbe fortemente l’attività di supplenza della Magistratura, oggettivamente determinata dalla inerzia dei Comuni nell’esercizio dei propri poteri repressivi. Eppure, in una recente nota indirizzata ad un Comune della Città Metropolitana di Napoli, il Prefetto ha ammonito che “comportamenti reiterati di inerzia ben possono costituire oggetto di valutazione anche da parte di quest’Ufficio ai fini dell’eventuale attivazione della procedura di cui all’art. 141 del TUEl in danno di codesto Ente, per gravi e persistenti violazioni di legge”. La norma in questione è, dunque, nota ma – ciononostante – viene sistematicamente ignorata.

Sorprende che anche la stessa Magistratura non abbia a tutt’oggi attivato un penetrante controllo di legalità sulle omissioni dei Prefetti, limitando l’azione penale soltanto a quelle dei Sindaci, degli Assessori o, in epoca più recente, dei funzionari comunali, per i quali qualche tentativo è stato fatto, sebbene franato davanti al giudice del dibattimento a causa dell’impossibilità di provare il dolo in presenza di una prassi deplorevole ma generalizzata. Senonché, la Cassazione, già nel lontano 1999, con una sentenza paradigmatica, ha stabilito che, se il Sindaco non demolisce entro un anno, il suo comportamento inerte integra il reato di omissione di atti di ufficio. Paradossale è poi anche il fatto che la normativa vigente preveda che l’obbligo della demolizione gravi attualmente anche sul Prefetto.

L’art. 41 del d.P.R. n. 380/01, modificato dalla legge n. 76/20, ha, infatti, trasferito la competenza in materia di procedure di demolizione dai Comuni ai Prefetti, che vi provvedono in caso di mancato avvio entro 180 giorni dall’accertamento dell’abuso, con il concorso del Genio militare.

Nulla accade, tuttavia, nemmeno su questo versante. Verrebbe da dire che tutti gli attori di questo grande teatro dell’assurdo aspettano il signor Godot, che, però, “oggi non verrà ma verrà domani” o chissà se mai arriverà».

Vi sono stati nel corso di questi anni casi umani particolari e dolorosi con i quali le è capitato di cimentarsi?

«I casi drammatici sono numerosi e riguardano demolizioni di case abitate il più delle volte da bambini, anziani e persone disabili. La cosa più sconcertante è che queste demolizioni avvengono quasi sempre a distanza di svariati anni dall’accertamento dell’abuso, a “macchia di leopardo” e senza alcun criterio logico o cronologico. Spesso le demolizioni vengono eseguite senza tener conto del diritto sociale all’abitazione, sebbene la Corte europea, con una recente sentenza dell’11 aprile 2023, abbia ammonito sulla non necessità della demolizione “in una società democratica” quando colpisce fuori tempo massimo l’unica casa del contravventore. In tali casi la demolizione non assolve a una funzione meramente ripristinatoria ma equivale a una vera e propria pena, come ritenuto dalla stessa Corte europea in una sentenza del 2008. Eppure, secondo la nostra Cassazione penale, questa sanzione non si prescrive mai, non avendo natura punitiva. Tale interpretazione per il comune cittadino è incomprensibile, atteso che anche un delitto efferato, quale l’omicidio d’impeto (non premeditato), si prescrive in anni 21. A breve è prevista ad Ischia la demolizione di una casa assegnata dal Tribunale civile, quale alloggio coniugale, ad una madre separata dal marito, che vi abita con due bambine, delle quali una di otto anni affetta da “tetraparesi spastica con anossia ischemica perinatale”: malattia totalmente invalidante che le permette di alimentarsi solo attraverso un tubo che serve a collegare lo stomaco tramite un sondino di 7 centimetri di diametro. Queste sono cose che mi fanno gelare il sangue ma non mi abbattono. L’avvocatura è, per me, una missione civile e, sino a quando ne avrò la possibilità, continuerò a lottare con tutte le mie forze perché l’applicazione rigorosa e acritica della legge non ne uccida lo spirito, vanificando i diritti umani, che poi sono i diritti inalienabili dell’uomo, e lo stesso diritto naturale, inteso come patrimonio di valori e di norme non scritte di ogni individuo o comunità.

Prima o poi – ne sono certo – si vedrà la luce in fondo al tunnel e le cose ritorneranno al posto giusto, bilanciando legalità, uguaglianza e solidarietà sociale».

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