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L’amarezza di Domenico Schiano: «Ci hanno portato via casa e ricordi, non il sorriso»

Lunga ed inedita intervista a Il Golfo di uno dei proprietari dell’immobile ubicato in via Oneso di cui recentemente il Comune di Casamicciola ha chiesto di evitare la demolizione ed acquisirlo al patrimonio per destinarlo a scuola dell’Infanzia

Un fatto storico, eccezionale, più unico che raro. Mai registrato prima sulla nostra isola e forse non soltanto sulla nostra isola. Dell’immobile ubicato a Casamicciola in via Oneso, e del quale il procuratore generale ha sospeso la demolizione dopo che il Comune termale con tanto di delibera di civico consesso ne ha chiesto l’acquisizione al patrimonio per poterlo destinare a scuola dell’Infanzia, sappiamo ormai tutto. E sotto i riflettori si sono ritrovati tutti i protagonisti di questa controversa vicenda giudiziaria e non solo. Oggi abbiamo voluto farci raccontare emozioni, umori ma anche la storia di uno dei componenti dei nuclei familiari che in quel cespite non potranno più rimettere piede. Parliamo di Domenico Schiano, che in questa intervista rilasciata a Il Golfo ripercorre tutte le fasi di questa storia abbandonandosi anche ad una serie di riflessioni.

Per lungo tempo hai denunciato sui social l’ingiustizia di un possibile abbattimento, poi è arrivato il consiglio comunale, la richiesta di acquisizione al patrimonio dell’immobile e la sospensione della demolizione da parte della Procura Generale. Sinceramente, ti aspettavi che la situazione prendesse un tale sviluppo?

«Francamente no, non me lo sarei mai aspettato. Lo ripeterò fino allo sfinimento, con le carte e i documenti presentati e prodotti ero assolutamente convinto che saremmo usciti assolti da questo impiccio. Abbiamo fatto visionare il tutto a diversi avvocati e magistrati e tutti ci risposero che con gli atti in nostro possesso l’immobile non poteva assolutamente andare a terra. Tutti a ripetere la stessa cosa: tranquilli, è stata una forzatura o una svista. Il tempo invece è trascorso e l’epilogo è davanti agli occhi di tutti»

Come si fa a riassumere in poche battute quella che è stata una lunga e tormentata odissea?

«Non è la cosa più semplice di questo mondo, ma ci provo. Mio nonno comprò il terreno da un cugino e dopo averlo acquistato decise dopo un paio di mesi di donarlo ai suoi tre figli. Di fatto il teorema accusatorio del giudice si fonda sul fatto che il nonno abbia edificato, ceduto ai suoi figli e che questi ultimi per eludere lo Stato abbiano presentato tre istanze di condono. Ma noi abbiamo una voluminosa documentazione che prova la giustezza del nostro operato: l’atto notarile, in primis, con il passaggio da padre a figli, le fatture dell’epoca che mostrano chiaramente la presenza di tre ditte edili differenti, assegni e ancora documenti contabili legati ad elettricisti e altri fornitori. Devo pensare che chi di competenza abbia preso una svista soltanto perché evidentemente l’immobile all’origine nasce come corpo unico, ma d’altro canto era impossibile realizzare tre abitazioni distanti tra loro in una superficie di appena 400 metri quadrati. E poi…»

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E poi?

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«Col passare del tempo non ne abbiamo mai voluto sapere di patteggiare: la Cassazione, peraltro, sosteneva che se fossimo riusciti ad ottenere la sanatoria anche le condanne sarebbero di fatto decadute. La sanatoria per la cronaca è pure arrivata ma la situazione non è cambiata ed è per questo che parliamo di ingiustizia nei nostri confronti».

In che senso?

«Il giudice ha inizialmente eccepito che il geometra non era abilitato ad apporre la sua firma sulle carte presentate, ma questa accusa è caduta in fretta, visto che l’anzianità di servizio era tale da consentirglielo così come previsto dalle vigenti normative. Poi ci è stato contestato di non aver utilizzato materiali idonei per costruire la causa, ma questo “teorema” è stato smontato con il collaudo del terremoto del 21 agosto 2017. Poi il Comune di Casamicciola è stato accusato di averci favorito ma in realtà non rilasciava sanatorie da dieci anni. Così come è spuntata la storia del frazionamento. Insomma, era difficile far cambiare idea se su un qualcosa di rosso la si vede verde. Tutti hanno parlato di errore e sostenuto che è impossibile che un immobile venga abbattuto se in possesso delle sanatorie. Qualcosa non torna, davvero, e se pensate che io stia esagerando sono pronto a far consultare le carte a tutti»

In tutti questi anni, sinceramente, tu e la tua famiglia vi siete sentiti traditi da qualcuno? Vi sono state fatte promesse non mantenute? Insomma, contro chi è il caso di puntare l’indice accusatore? E c’è qualcuno che poteva impedire che finisse così?

«Io sono una persona obiettiva, tutti qui abbiamo commesso un abuso e non c’è dubbio che l’abusivismo sia una piaga. Che però va commessa, perché c’è stata nel corso degli anni e dei decenni una crescita demografica esponenziale. Prendersela con i politici è come prendersela con se stessi. Siamo sinceri, io sapevo perfettamente in quale situazione mi andavo a ficcare, per quanto credevo di dormire sonni tranquilli avendo la sanatoria della mia parte. Non me la prendo con nessuno, perché nessuno poteva fare nulla: la verità è che oggi la politica è più di un gradino sotto la magistratura. Il senatore (De Siano, ndr) non avrebbe potuto far niente, l’ex sindaco Giacomo Pascale pure. In tanti si sono interessati del mio caso, il sottosegretario Vito Crimi promise di far visionare le carte, i grillini hanno monitorato gli eventi, si sono inizialmente occupate della vicenda anche le Iene che però hanno poi rifiutato di realizzare un servizio giornalistico».

Perché?

«Venni contattato, ma poi doveva andare in onda un servizio che documentava come Di Maio di fatto avesse voluto favorire l’abusivismo sull’isola e che noi ischitani eravamo colpevoli, quindi non potevano cadere in contraddizione. La colpa, se colpa c’è, è delle massime istituzioni: siamo abbandonati a noi stessi ma attenzione perché in giro tira aria di rivoluzione. Ci sono tante persone pronte a fare qualcosa di eclatante, leggo e raccolgo gli umori su diverse chat di gruppo. Hanno pienamente ragione: in fondo se non hanno una casa come devono fare?».

Quanto può consolare sapere che comunque la vostra abitazione non sarà demolita?

«E’ un sollievo sotto molteplici punti di vista. Se il Comune, ad esempio, non avesse richiesto di poter acquisire lo stabile, avremmo dovuto pagare – io e i miei parenti – 150.000 euro per i costi di abbattimento. Non ci saremmo più rialzati, né tantomeno avremmo potuto accendere magari un mutuo per una nuova abitazione. Io e mia moglie, dopo tutti i nostri sacrifici, quando abbiamo appreso la notizia abbiamo esultato e pianto, siamo stati contentissimi. Il sindaco ha avuto coraggio, un giudice gli ha chiesto di ritirare le concessioni in sanatoria ma lui non ha voluto farle ritenendole giuste. La requisizione del cespite vuole anche significare che l’edificio in fondo è idoneo. Resto dell’idea di essere vittima di un abuso di potere ma mi resta la consolazione che i sacrifici fatti dai miei genitori non vadano a terra. Ai miei figli da grandi ricorderò che quella era casa loro e che oggi ospita dei bambini…».

Già, i tuoi figli. Come si fa a spiegargli che devono lasciare il luogo in cui sono nati e stanno trascorrendo l’infanzia?

«I bambini hanno dovuto sapere la verità per quella che era. Uno ha 4 anni, l’altro 8, ma a prescindere dall’età non si possono raccontare bugie ai piccoli. Certo, bisogna avere dei modi, ma alla fine il primogenito è stato messo davanti alla cruda realtà. Mi spiace che non sia stato fatto nulla per tutelarli, mi è stato solo riferito che il giorno dell’abbattimento sul posto si sarebbero portati assistenti sociali e medici in caso di problemi di salute. Ai bambini abbiamo fatto capire come andava affrontata la cosa, gli ho detto che questa casa non era più buona. Antonio inizialmente si è rattristato, poi però è parso contento della nuova sistemazione. Insomma, la stiamo vivendo bene, è un bambino felice che spiega anche ai suoi insegnanti tutte le procedure svolte e quello che è successo. Si è portato via da casa una pietra, dice di volerla conservare come ricordo».

Quando hai capito che realmente non c’era più niente da fare per riuscire a conservare il possesso dell’immobile?

«Quando il nostro avvocato continuava a presentare incidenti di esecuzione e il magistrato gli rispondeva che l’immobile doveva essere abbattuto al pari di almeno altre millecento costruzioni sparse sull’isola. Eravamo sconfitti da tempo, per questo abbiamo esultato appena appreso dell’acquisizione».

C’è una morale in tutta questa storia?

«Beh, una cosa e certa e io e mia moglie l’abbiamo imparata purtroppo a nostre spese: la legge è chiara fino a un certo punto, poi si presta ad interpretazione». 

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