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Las fallas Valenciane e la Festa di Sant’Anna

Di Franco Borgogna

 

Una rubrica settimanale, come questa che ho l’onore e l’onere di curare, ha un aspetto negativo: quello di arrivare con qualche giorno di ritardo sugli argomenti, ma anche un aspetto positivo: quello di poter riflettere qualche giorno in più. Insomma, è una medaglia con due facce, testa e croce. E così, farò alcune considerazioni sulle giovani vittime del grave incidente automobilistico in Spagna, durante un viaggio Erasmus. Anche perché il grave attacco terroristico della jihad di martedì all’aeroporto e alla metropolitana di Bruxelles, ha finito con l’oscurare e strozzare la pubblica riflessione sulla morte delle giovani studentesse Erasmus. Proprio domenica scorsa, ad incidente non ancora avvenuto ( accadeva lunedì) avevo pubblicato un servizio sull’emigrazione da Ischia dei giovani cervelli ( laureati o studenti universitari). Ponevo l’interrogativo se fosse un dramma, per l’isola, tale emorragia di energie intellettive e se l’affermarsi ( siamo solo agli inizi) del lavoro a distanza, grazie alla potenzialità della rete, dei programmi software sempre più sofisticati, dell’applicazione di sempre nuove App, potesse frenare la fuoriuscita di lungo termine dei nostri giovani più intelligenti e preparati. L’incidente che ha coinvolto studenti universitari italiani, a Tortosa ,nel tratto autostradale tra Valencia e Barcellona, ha sollecitato annotazioni dei media che, a mio modesto avviso, non colgono alcuni importanti aspetti della questione. Si è molto insistito, ad esempio, sulle carenze del vettore, sulle politiche securitarie, sull’inosservanza di norme e si è immerso il tragico evento nel più generico problema della gestione delle gite scolastiche. Ferma restando le responsabilità di chi ha organizzato le modalità e i tempi del viaggio, della stanchezza e dell’errore umano dell’autista, va detto che le esperienze dei giovani studenti Erasmus, nei viaggi che frequentemente si organizzano dall’Università di riferimento a città vicine, non sono assimilabili a mere “ gite scolastiche”. L’esperienza trentennale Erasmus è il più serio tentativo di integrazione europea che sia stato escogitato, perché riguarda le generazioni giovani che rappresentano il futuro dell’Europa e perché mette a confronto i sistemi scolastici e formativi dei vari paesi europei. Ma non v’è dubbio che, oltre a rappresentare un salto di qualità nell’istruzione e nella formazione, Erasmus rappresenta un’esperienza di vita, un’esperienza allargata rispetto ai normali ristretti confini entro cui i giovani di ogni periferia normalmente si muovono. Prendete Ischia: una volta, prima che esistesse Erasmus, l’insopprimibile esigenza di allargamento degli orizzonti veniva soddisfatta col trasferimento a Napoli, col miraggio della metropoli. Sembrava un grande obiettivo poter andare qualche volta a teatro, poter scegliere un film da vedere tra una molteplicità di cinema che offriva la città, sembrava una grande conquista passare di museo in museo, seguire conferenze e dibattiti. Oggi, lo studente universitario ischitano può ricorrere al doppio binario virtuale-reale. Attraverso la rete e i social media si connette all’Europa e viaggia low cost. Non ha più tanta importanza la presenza fisica ai corsi dell’Università, ha più importanza confrontarsi con altri giovani europei. E così, i commentatori televisivi e della carta stampata, hanno parlato – a proposito della puntata che i giovani europei dell’Erasmus hanno fatto dall’Università di Barcellona alla bellissima città di Valencia – che i giovani erano andati ad assistere ad una notte di “ fuochi pirotecnici”. Con tutto il rispetto per giornali e TV, non hanno capito granché. Fanno eccezione due intelligenti editoriali, rispettivamente di Michele Serra su Repubblica e di Beppe Severgnini sul Corriere della Sera. Riporto due brevi passi dai pezzi giornalistici citati, perché abbiamo tutti l’obbligo, in questo mare magnum di notizie, in questo enorme e confuso contenitore dei mass media, di imparare a leggere, a distinguere, a dividere il grano dal loglio. Scrive Severgnini: “ Se volessimo rendere omaggio alle ragazze su quell’autobus, dovremmo costruire l’Europa come la vogliono: mescolata, solidale, orgogliosa e generosa. Dovremmo aprirci, non chiuderci. Sognare non spaventarci. Sognare, insieme ai nostri figli e nipoti, un futuro condiviso e migliore. Facciamolo in nome delle vittime di Tarragona. Facciamolo per rispetto dei ragazzi che siamo stati “. E Michele Serra scrive: “ La vita è imperfetta, la vita è ( anche) pericolosa, non possiamo illuderci di sterilizzarla, imbottirla,imbullonarla, fino a renderla immobile. Erasmus è, per eccellenza, il viaggio, la mobilità, la giovinezza che mette le ali e spicca il volo. Ragazzi che diventano adulti”. Tra la fine del 1700 e gli inizi del 1800 incominciarono, soprattutto dai paesi del nord Europa, i Grand Tour verso l’Europa meridionale, in particolare i “ viaggi in Italia”, come quello di Goethe e di tanti altri studiosi, artisti, scienziati, di cui beneficiò anche la nostra isola. Oggi i viaggi vanno in tutte le direzioni: da nord a sud come da sud a nord, da est a ovest e viceversa. Solo chi non conosce la città di Valencia, solo chi ignora che cosa siano “ las fallas” può parlare superficialmente di gita per assistere ai fuochi pirotecnici. Questi ultimi, i nostri ragazzi li possono osservare in tante regioni italiane, in tante feste patronali e sagre paesane. I giovani ischitani, ad esempio, li vedono a S.Anna, nelle feste patronali,negli anniversari dell’apertura del Porto d’Ischia, a Ferragosto e a Capodanno e in decine di altre occasioni.  Ma non sono le “fallas”. Come la festa agli scogli di S.Anna è unica ed irripetibile, realizzabile solo in quel contesto, così la festa di Valencia è unica ed irripetibile e le studentesse non volevano vedere normali “fuochi pirotecnici”, ma l’anima, la storia, la tradizione valenciana. Conosco Valencia e so che in quella città, nella piazza di Montolivet, c’è il Museo Fallero, il museo dove sono raccolti fotografie, fotomontaggi, i “ninots indultats” (monumenti costruiti in carta, cartone e legno) ovvero le statue risultate le preferite dal popolo nella “ nit del foc” (notte del fuoco). In occasione della festa di S.Giuseppe, vengono bruciati (crémat) tutti i ninots (i simulacri e la caricatura di personaggi e avvenimenti dell’anno) tranne uno, che viene salvato perché ritenuto il più bello e il  più degno di essere conservato. Come la nostra festa di S.Anna affonda le origini in antichi riti (nel nostro caso religiosi, legati alla fertilità e alla maternità), così las fallas di Valencia, hanno antiche origini, a somiglianza dei Saturnali romani. Nel secolo XV, per tradizione, i falegnami della città bruciavano vecchi candelabri di legno, adornati con abiti usati. Questi parots ( così si chiamavano), nel corso degli anni, si andarono trasformando in vere creazioni artistiche di carta, cartone e legno. Da qui “las fallas”. Pensate se Ischia, che affanna sempre a organizzare l’annuale Festa di S.Anna, istituisse un Museo della Festa, con immagini multimediali delle varie edizioni e,magari, modellini delle barche premiate e più apprezzate dal pubblico! No, amici lettori, non stiamo perdendo il filo del discorso, tutto questo excursus storico e questo inusitato paragone tra le fallas di Valencia e la nostra festa di S.Anna, vuole andare a parare in un’unica direzione: i localismi, le tradizioni delle singole comunità, rappresentano le diverse storie, costumi, riti. Questi, che vanno assolutamente conservati e sviluppati, hanno però un senso nel momento in cui si aprono all’universalità, agli altri, al mondo che si muove, viaggia e apprende. Lo scambio delle esperienze umane è il più significativo e ricco patrimonio che la società moderna, l’Europa, il turismo, l’istruzione ci consegnano. Questa è la lezione che l’incidente di Valencia ci ha impartito. E Ischia, che vive di turismo e che è un’isola, ad un tempo “separata” ed “unita” dal mare al continente, non può non riflettere sull’importanza del “ viaggio”, dello scambio di esperienze, del dinamismo dei giovani. La filosofa Michela Marzano, che insegna all’estero e che viaggia continuamente, a proposito delle minacce terroristiche e di tutte le insidie del mondo moderno, ha scritto, sul Corriere della Sera di giovedì: “Il coraggio – diceva Aristotele – non significa non aver paura. Significa prendere delle decisioni e agire anche quando si ha paura. “  Ebbene, i giovani hanno deciso di muoversi, in questo mondo difficile, di viaggiare, confrontarsi o anche scontrarsi, in nome dell’esperienza e della conoscenza.

 

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