CRONACA

Perché i Figli di Procida vanno fatti sbarcare sulla loro isola

Ancora una volta trattati come “furastier” nella proposta di divieto di sbarco elaborata dall’Amministrazione Comunale

Abbiamo appreso che con la delibera di Giunta Municipale n° 21 del 3 febbraio 2022 l’Amministrazione comunale ha approvato la proposta di decreto concernente la limitazione di sbarco sull’isola che ha inviato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per il tramite della Prefettura di Napoli.

Dal 1 marzo 2022 al 31 dicembre 2022, sono vietati l’afflusso e la circolazione nell’isola di Procida degli autoveicoli, motoveicoli e ciclomotori, appartenenti a persone non facenti parte della popolazione stabilmente residente sull’isola.

Questo proibisce, di fatto, ai “Figli di Procida” di poter arrivare sul territorio, con l’auto, per 10 mesi, per di più nell’anno in cui la propria isola è Capitale Italiana della Cultura.

È comprensibile che si voglia mettere un argine alla confusione generale in una Procida già invasa di veicoli di ogni specie e dimensione, ma proibire ai procidani qui nati e vissuti fino ad una certa età di poter tornare sul proprio territorio per riabbracciare i propri affetti non lo comprendo. Consentire loro almeno lo sbarco e la successiva collocazione in uno spazio privato o pubblico della propria auto rappresenta un gesto di civiltà ed un esempio di inclusione vera. Non mi sembra che alcune auto in più, tra l’altro, disseminate lungo 10 mesi e per il tempo dello sbarco, possano sconvolgere la vivibilità dell’isola. Sono altri i problemi che affliggono, al momento senza soluzione, il piccolo territorio isolano. La sosta selvaggia, la mancanza di ordine veicolare, il transito di veicoli di grosse dimensioni a tutte le ore, il rilascio di permessi nelle ore di divieto, lo sbarco “truccato” con artifizi vari e senza controlli.

La cosa che fa più rabbia è che, nella stessa delibera, si consente a autoveicoli, motoveicoli e ciclomotori appartenenti ai proprietari di abitazioni ubicate nel territorio dell’isola che, pur non essendo residenti, possono tranquillamente e comodamente sbarcare. Come dire “furastier a casa e prucedan iesc fore”. Questo fatto di considerare i “Figli di Procida” ormai degli stranieri, obbligandoli, per fare ritorno sull’isola provenienti da ogni parte d’Italia e d’Europa, a pagare il salasso di un biglietto come “turista” e fino a poco tempo fa anche la tassa di sbarco, a cui aggiungiamo anche il disagio di dover lasciare la propria auto a terraferma perché per loro i cancelli dell’isola sono chiusi, non lo capisco.

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Ma, ribadisco, qui oltre al disagio di arrivare, poi, sull’isola, oltre al fatto che in molti, giustamente, rinunciano a venirci, è uno schiaffo non tollerabile per chi ha sangue procidano nelle vene e non può valere meno di un “forestiero” che ha comprato casa qui.

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Eppure, per tutti questi procidani che vivono fuori, tornare significa, in primo luogo, mantenere un legame stretto con le radici storiche, culturali e con gli affetti che, soprattutto per chi deve lasciare Procida, rappresentano un fattore di non poco conto. In secondo luogo, ma non meno importante, dobbiamo essere consapevoli che i procidani che stanno fuori dal territorio sono i primi promotori e “megafoni” positivi della nostra isola rappresentando autentici e gratuiti ambasciatori delle nostre bellezze e delle nostre tradizioni ovunque essi si trovino. Questi nostri concittadini che, riteniamo non debbano giammai essere considerati ospiti o turisti ma pur sempre padroni di casa, fanno parte di quel grande patrimonio e di quel cammino di Procida ad essere Capitale Italiana della Cultura 2022.

Senza considerare che spesso, questi stessi procidani, quando tornano per trascorrervi dei giorni trasportano persone anziane e disabili che a loro volta sono figli di questa nostra terra.

Allora faccio appello a tutti i consiglieri presenti in consiglio comunale, affrettatevi per porre rimedio a questa ingiustizia. Nell’isola che accoglie, sull’isola che non isola, sul territorio che include, sentitevi responsabili di lasciare fuori proprio i “Figli di Procida”. Scriviamo, telefoniamo al Ministero delle Infrastrutture e facciamo cambiare il decreto di prossima pubblicazione inserendo, tra le tante deroghe, anche una per i procidani che vivono fuori e che sono nati o meglio alla nascita erano residenti sull’isola. Non sono loro il male di Procida, anzi sono una ricchezza umana, culturale e professionale a cui non possiamo sbattere la porta in faccia e dire “Ma chi sei? Cosa vuoi?

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