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LE LAVANDAIE DI IERI E DI OGGI E I PANNI STESI LAVATI PER I “SiGNORI” DEL TEMPO

La recente ordinanza del Sindaco di Ischia Enzo Ferrandino contro i “panni stesi”, fa balzare dal dimenticatoio i ricordi dello storico ruolo che ricoprivano con sacrifici a Ischia le “lavannare” del passato. Per ogni famiglia benestante, di buon casato o ritenuta famiglia di “signori” de tempo, c’era una lavandaia o lavannara, come la si definiva nel dialetto locale. L’isola d’Ischia, in ogni tempo, pullulava di “lavannare”. Per lo più venivano dalla campagna con gambe e braccia forti, avvolte vedove. Il ruolo era ricoperto da una o più donne di famiglie del popolo, specie contadine, al servizio della borghesia locale. Le famiglie bene di Ischia Ponte e Porto d’Ischia erano servite da donne per lo più di Campagnano, Piano Luguori e zone vice. Lo stesso accadeva a Forio Centro, a Casamicciola, Lacco Ameno, Barano e Serrara Fontana. Era la cultura della servitù diffusa, prestata anche a compensi da fame incassati per necessità, quando ci si imbatteva in “signori” d’ epoca tirchi e senza scrupoli. C’era però anche chi riconosceva con coscienza le prestazioni ricevute e pagava adeguatamente. Le lavandaie ischitane in ogni modo erano orgogliose del loro lavoro. Spesso si guadagnavano la fiducia delle famiglie che le assumevano e restavano al loro servizio nello specifico incarico per più anni fino a quando il rapporto di lavoro non si interrompeva consensualmente. Fare la “Culata” cosi le popolane la chiamavano, non era poi tanto semplice. Lavare lenzuola, federe, coperte, camicie da notte ed altri indumenti della intimità della famiglia presso cui si era al servizio, comportava un processo di lavorazione complesso e faticoso, a cominciare dall’epoca in cui i panni venivano lavati in grossi lavatoi pubblici o in improvvisate vasche sistemate nei cortili e sulle terrazze di casa delle famiglie interessate. Una lavandaia locale si metteva anche al servizio di più famiglie in tempi naturalmente alternati, per guadagnare

 

di più. Accadeva che alcune di loro, le più intraprendenti, per l’ottimo lavoro svolto, diventavano popolari e meglio richieste. La lavandaia di famiglia di casa nostra, negli anni ’40, era una brava donna di Campagnano, si chiamava Giuseppina che andò in sposa poi al corriere Mancusi di Ischia Ponte. Giuseppina era tanto abile quanto resistente, specie davanti alla caldaia che conteneva il grosso bucato con gli strati di “cernitura” fino all’orlo del recipiente sistemato sopra i carboni ardenti. SI trattava del primo rudimentale processo di lavaggio al caldo della biancheria di famiglia che anticipava il lavaggio che avrebbe fatto dopo la moderna lavatrice. Il mezzo meccanico, ossia l’attuale lavatrice, diffusasi in modo industriale dopo la seconda guerra mondiale, ha completamente rivoluzionato la nostra vita, cancellando dal dizionario una parola che per tutti prima era familiare: la lavandaia. Perché in ogni famiglia c’era una lavandaia: un lavoro che spettava di norma alle donne, ovvero quello di prendere uno sgabello e un banco, e di lavare con un tinello di acqua i vestiti di tutta la famiglia. La nascita delle lavatrici, in realtà, è da collegare a ben prima degli anni cinquanta del secolo scorso: la sua invenzione risale alla seconda metà del Settecento, quando videro la luce i primi modelli di macchine meccaniche per lavare. Ma è solo due secoli più tardi che queste invenzioni entrarono nel mercato domestico, complice lo slancio industriale e le conquiste che le donne avevano ottenuto in tutto il mondo. Fino ad allora esistevano le lavandaie sull’isola come in terra ferma, che si dedicavano al lavaggio o in posti predesignati (luoghi in muratura dotati di vasche dove le donne di casa si ritrovavano per adempiere a questo compito) o, in assenza di questi, lungo i torrenti, per le lavandaie del continente. Immaginatevi il duro lavoro delle lavandaie della terras ferma.L’operazione di lavaggio era il più delle volte fatta o in luoghi predisposti o sulla riva di un corso d’acqua, soprattutto nelle zone di campagna o in quelle più povere, non dotate di spazi ad hoc. I luoghi dediti ai curandai hanno piano piano lasciato spazio sempre più a quelli delle lavandaie, che si occupavano del bucato, lavando la biancheria sporca. Quello della lavandaia era un lavoro personale (ovvero coinvolgeva donne che lavavano i panni della propria famiglia) o un lavoro vero e proprio: c’erano infatti lavandaie che lavavano i panni dei propri padroni: la borghesia del tempo, infatti, non si occupava di questo lavoro di manovalanza. Sull’sola d’Ischia succedeva in parte la stessa cosa. I “signori” assoldavano le lavandaie dalla campagna sottoponendole ad un lavoro molto duro. Le stesse lavandaie avevano dopo il compito di provvedere al lavaggio dei panni della propria famiglie e stenderli dopo al sole o al vento per l’operazione di asciugamento. Il trutto si concludeva con la stiratura della biancheria lavata.
antoniolubrano1941@gmail.com

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