CULTURA & SOCIETA'

Le Olimpiadi del “Telese” e quel messaggio solidale

Allo stadio “Mazzella” di Fondobosso è andata in scena una manifestazione che ha coinvolto tanti studenti e fatto riflettere sulla sensibilizzazione al problema della fame nel mondo

DI ARIANNA ORLANDO

E’ stata celebrata presso lo stadio Mazzella di Ischia la nuova edizione delle Olimpiadi dell’istituto Alberghiero “V. Telese”. Lo stuolo di studenti che ha invaso l’area di sosta antistante lo stadio era irrorato dal secondo sole di questo maggio uggioso e pioveva loro addosso con la fervida aspettativa dell’estate che viene. Gli studenti(del Telese e dell’ICS Anna Baldino) erano pertanto contenti: un po’ per l’occasione di uscita, un po’ per la novità della primavera dis-aspettata, un po’ per la competizione. Ciò che possiamo affermare dogmaticamente è che gli studenti sono felici quando possono imparare mediante attività fuori-sede. Le Olimpiadi del Telese, di fatto, sono stata un’ennesima occasione di imparare. I ragazzi non hanno gareggiato (se “gareggiare ” è un termine idoneo, in questo caso ce lo chiediamo) non già per la gloria personale o per l’esibizione della propria competenza sportiva ma per una causa benefica: sensibilizzarsi al problema della fame nel mondo.

Fino a qualche anno fa il problema della fame nel mondo era nell’immaginario dei piu giovani (privi di una conoscenza ampia o lungimirante) circoscritto a quelle aree della terra dove “chissá perché” nessuno lavorava per crearsi il pane, nessuno era capace di coltivare o di pensare intelligentemente a un modo per riuscire ad avere l’acqua come invece avevano fatto gli evoluti occidentali. Si immaginavano così queste aree deserte e rosse, prevalentemente africane, dove gli uomini non sapevano fare gli uomini e si lasciavano travolgere dai no della natura e dalle impossibilità. Nessuno ti spiegava, ad esempio, che i luoghi dove gli umanissimi occidentali andavano a prestare soccorso, erano in verità giacimenti ricchissimi di possibilità ma che gli uomini che li abitavano erano stati privati dei mezzi e della pace per essere e fare gli uomini. Nessuno ti parlava degli sfruttamenti minerari, delle guerre civili, del disastro climatico che incombeva ma ti lasciavano semplicemente visionare la pianura arida, le donne incapaci di comprendere la necessità di non mettere al mondo tanti figli, gli uomini padroni che non sapevano rispettare il complicato universo femminile, la loro superba ma comprensibile necessità di volere emigrare. A quel punto i giovani maturavano interiormente la certezza di essere dei salvatori e quando ad altri si cercava di comunicare quanto era stato imparato non si diceva di certo “lasciamo che questi popoli, a lungo sfruttati e oppressi, ritornino a comprendere come trarre benefici anche dalla natura più difficile possibile” ma si diceva “compriamo queste cose per dar da mangiare dieci volte a un bambino africano” senza tenere conto che di bambini africani che necessitavano di un futuro autonomo e non assistenziale ce n’erano a milioni. Ebbene quella mattina allo stadio “Mazzella” la storia è stata questa: i giovani non si sentivano i salvatori di nessuno, erano semplicemente e puramente collaboratori all’ordine armonico del mondo per cui “è giusto che la fame venga sconfitta”, “è giusto dare una mano ma ricordatevi la vostra personale responsabilità: non si spreca il cibo, bisogna inquinare di meno, bisogna comprendere”. Non ci sono stati vinti e nemmeno vincitori. L’aria sugli spalti era caotica perché gli studenti che riconoscevano i compagni volevano fare il tifo, perché qualcuno si innamorava, qualcun altro si perdeva ad ascoltare la voce degli studenti del Telese che intonavano canzoni come “Imagine” di John Lennon ma niente era dissacrante o maleducato, tutto era in perfetto equilibrio tra la giovane età, la primavera, il gioco. Ed era estatico vedere questi giovanissimi ragazzi, alcuni più portati per l’atletica e altri meno, fare “il proprio” con impegno, entusiasmo e caparbietà per una causa che non era “salviamo i popoli derelitti dalla loro fame” ma “contribuiamo a cambiare la fame”.

Abbiamo chiesto a Mf.M., alunna dell’istituto Baldino, se le fosse piaciuto gareggiare e ha detto “sì, mi è piaciuto tantissimo perché è stato bello anche se non si vinceva nulla e ho capito perché l’ho fatto”, “ma ti piace correre?” le è stato chiesto, “insomma, mi piace di più giocare a calcio! Io faccio il portiere!”. È stato promosso un evento a favore di una causa ben esposta e presentata senza i virtuosismi del saggio occidente, che ha sensibilizzato con successo i giovani atleti e i loro compagni ma che ha potuto anche entusiasmarli nella convinzione che lo sport non vuol dire solo competere e vincere per sé ma anche per altri o per altre cose. È così che si diventa cittadini del mondo. ” Not games, only sport.”

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