Le parole non dette su Gianni Mura. L’amico geniale d’ischia
Gianni Mura, milanese, 74 anni, scomparso per problemi cardiaci a Senigallia, geniale giornalista esperto di sport ed enogastronomia, nonché scrittore, ha meritato gli innumerevoli commenti ed elogi di Tv e giornali, a partire da Repubblica, a cui ha collaborato dal 1979. Tutti hanno messo in luce la sua straordinaria capacità di scrittura (paragonata – per certi versi – all’altro grande giornalista sportivo lombardo, Gianni Brera); il suo amore per i paesaggi, per la bellezza dei luoghi, nonché la sua competenza e il suo gusto per la cucina ed il vino.
Di quest’ultimo aspetto, mi parlava anni fa, in maniera lusinghiera, Corrado D’Ambra (scomparso, purtroppo, ben prima di lui), per il quale aveva partecipato all’inaugurazione de Il Giardino del Mediterraneo”. Di tutto questo hanno disegnato un magnifico “quadro” i migliori giornalisti. A livello locale, Pasquale Raicaldo per Repubblica, Isabella Puca per Il Golfo, Mimmo Carratelli per il Roma, hanno ben illustrato ciò che legava Mura all’isola d’Ischia: luoghi, alberghi, ristoranti, storia e storie. Quel che è rimasto in ombra è il Mura polemista politico e sociale (ne fa cenno Pasquale Raicaldo nel suo ricordo) tal che – a me sembra – faccia emergere una scultura del giornalista non a tutto tondo. Mura era un’esteta sì, ma anche un’analista acuto e tagliente. E’ la mancanza o la sottovalutazione di questo elemento che mi spinge a scrivere questo pezzo, a distanza di qualche giorno dalla morte e dopo che sono state scritte su di lui già molte parole. Come è stato detto, Gianni Mura ha scritto, nel 2012, per Narratori Feltrinelli, il libro “Ischia”, un originale noir che ha come protagonisti il commissario Jules Magrite e Peppe ‘o francese (o Pepè le Couteau), invenzione fantastica, suggerita dalla grande conoscenza che Mura aveva della Francia e dei francesi (originatasi dalla partecipazione ai Tour de France ciclistici).
Per lui Ischia era anche “Iscià” come la pronunziano i francesi. Per un paradosso beffardo, il libro riporta – in premessa – una frase di Alphonse De Lamartine “Il sole radioso di questo tratto di cielo trasfigura ogni cosa, anche la morte”. Peccato che il giornalista sia scomparso a Senigallia (comunque bella e sul mare) e non ad Ischia, dove il cielo avrebbe trasfigurato anche la morte. Nelle pagine finali del libro, invece, Mura dice di Ischia una cosa, probabilmente mai sottolineata da alcuno: “Ischia comincia per < i> e finisce con <ia> ”come Italia”. Sì, Mura amava profondamente Ischia, ma il suo, come accade anche a molti ischitani sensibili – era un amore-odio. L’amore, lo abbiamo detto, per la bellezza dei luoghi, la variegata gastronomia, la gloriosa storia e la ricchezza di fenomeni naturali di una terra molto particolare. L’odio è invece quello per la dissennatezza di quanti, residenti oppure ospiti temporanei, autorità pubbliche o semplici cittadini, hanno fatto di questa terra, un territorio di conquista e di rapina, di cieco egoismo e di arricchimenti più o meno illeciti.
A pagina 95, Mura descrive un evento tragico e luttuoso: una frana che miete 4 vittime (tutta la famiglia di Paolino) tra Campagnano e i Pilastri, E poi ancora, per la pioggia insistente, una frana a Testaccio. Il commissario Magrite, dopo aver appreso che l’isola è soggetta a frane e terremoti, dice: “Scusate Peppe, ma un terremoto è molto meno prevedibile di una frana”. La risposta di Peppe: “Sì. Ma volete sapere la vera ragione per cui sono morti Paolino e la sua famiglia? Perché erano poveri e sull’isola un povero può costruire solo su terreni da povero, cioè a rischio”. Magrite: “Ma non esistono piani regolatori?” Peppe, ridendo: “Che vi credete che siamo in Germania o in Norvegia? I piani regolatori ci sono e non ci sono. Dove ci sono, sono sistematicamente violati…
Qua basterebbero cinque anni governati da un tedesco o da uno svizzero-tedesco già andrebbe bene, e si starebbe divinamente. Oppure basterebbe una sola gestione per tutta l’isola, in mano a una persona onesta, intelligente, davvero al servizio della comunità. Ma è una descrizione da fantascienza”. Magrite: “ma il potere, Peppe, com’è organizzato?” Peppe: “Siamo sei Comuni uniti dall’antipatia, se non peggio, se non è antico odio, verso i Comuni confinanti”. E poi il dialogo tra Magrite e Peppe scivola sui condoni (primo, secondo, terzo). Dice Peppe: “Viene abbattuta un’abitazione abusiva, spesso poco più d’una baracca e sempre di proprietà di un povero cristo. Mai che prendessero di mira la villa del prefetto o dell’ex ministro, o del famoso dentista o dei noti camorristi. E questo, cazzo, non è giusto!” Non so, onestamente, se nell’elencazione dei privilegiati non colpiti da ordine di abbattimento ci siano velati riferimenti a uomini e situazioni reali precisi; resta il fatto che è un’elencazione verosimile. E come non sottolineare la meraviglia e l’indignazione che suscitano, in Magrite, la situazione dell’abbandono del Pio Monte della Misericordia (“un’apparizione da film dell’orrore, ambientata tra le nebbie della Cornovaglia) così come le situazioni dell’abusivismo della Caserma delle guardie forestali nel bosco della Maddalena e della Caserma dei Carabinieri a Forio. “Ma è pazzesco, è lo Stato che viola le sue stesse leggi” esclama Magrite. Nei ringraziamenti finali del libro, Gianni Mura scrive: “Grazie agli ischitani, tanti, che mi hanno fatto scoprire, negli ultimi vent’anni, la bellezza della loro isola”. Si è voluto congedare, omettendo la parte critica contenuta nel testo. Sono sicuro che, nel congedo finale della vita, Gianni Mura abbia serbato il ricordo di un’isola magnifica e maledetta, beneficiata dalla Natura e dalla Storia, ma maltrattata dagli uomini (alcuni uomini).