CULTURA & SOCIETA'

LE STORIE DI SANDRA Le botteghe e la nostra infanzia

DI SANDRA MALATESTA

E in questa occasione ho tanta voglia di ripensare alle botteghe di quando ero piccola. Quelle botteghe che la sera venivano chiuse da due ante enormi di legno e con un lungo chiavistello di ferro. La bottega dei calzolai, dei sarti, degli arrotini, dei maestri d’ascia, dei falegnami, dei fabbri, dei tanti artigiani che avevano le mani d’oro come si diceva allora,  dei barbieri, di chi cardava la lana, di chi vendeva piccole cose. La bottega era semplice con un piccolo banco di legno dietro il quale c’era l’artigiano, e dove si andava come se si andasse in un locale di oggi dove i giovani fanno gli aperitivi. In quelle botteghe molti uomini dopo il lavoro, andavano a passare qualche mezz’ora incontrando gli amici. Parlavano un poco di tutto e qualcuno restava in piedi sulla porta per vedere chi passava. Qualche mamma con i figli andava dalle sarte o dai calzolai che io amavo tanto. In particolare mi piaceva guardare lavorare un calzolaio che era di Bologna ma aveva sposato Iolanda (Mormile se ricordo bene il cognome). “U scarpariell” lo chiamavano e aveva la bottega dove poi Testone apri la pasticceria. Mi sedevo su una sediolina e guardavo come metteva le suole e come mi piaceva se mi faceva inchiodare qualche centrella su quel piede pesante di ferro in cui fissava la scarpa e quella colla gialla con un profumo che mi faceva tirare su con il naso. Lui poi con la famiglia emigrò in Svizzera e quella bottega rimase chiusa per un pò. La bottega di nonna Nannina con tutti quei sacchi di iuta dove c’erano fagioli, ceci, lenticchie e altro, non la ricordo bene, ma ricordo quando Rosinella della cooperativa prendeva le castagne peste per metterle nella carta del pane e darmele in mano. Il macellaio aveva come un grosso e largo ceppo lisciato di legno poggiato su tre piedi e lì sopra metteva la carne da battere o da tagliare. Andare a comprare qualcosa da chi mi sapeva e parlava con me mi ha segnata a livello umano in positivo.

Non andavo volentieri a comprare Stocco e baccalà dalla vaccara, invece andavo volentieri dalla figlia Rosetta a Via Roma che metteva fuori alla sua bottega di tutto, fazzoletti, cappelli, borse e lavorava molto la rafia e io mi sedevo vicino a lei e guardavo come lavorava. C’erano delle donne bravissime a fare borse e cappelli di rafia, e si lavoravano i cestini che poi si esportavano tramite alcuni intermediari che ogni due settimane passavano per le case o le botteghe a ritirare i lavori. Di solito loro davano le basi di ferro e le matasse di rafia, e poi pagavano un tot a cestino, diciamo pure una miseria a cestino, ma alcune famiglie ne facevano tanti e racimolavano quei soldi per andare avanti. Dal falegname andavamo a farci dare la segatura per fare i paraspifferi. Tanti ragazzi giovani che smettevano di studiare andavano a lavorare nelle varie botteghe per imparare un mestiere. E crescendo ogni tanto sedevo fuori alle botteghe e aspettavo che loro potessero uscire un poco per parlare e poi me ne tornavo a casa.

Ci pensate che a 15 anni ero felice solo di poter andare da un’amica per vederla un attimo e organizzare il nostro appuntamento della Domenica pomeriggio? Se è vero che tutto passa è anche vero che I ricordi dei momenti belli restano dentro,sono nostri nessuno può portali via e tra questi bei momenti in me ci sono quelli trascorsi nelle vecchie botteghe a parlare con gli artigiani..e con i miei amici e amiche. Ringrazio Antonio Lubrano per una buona parte delle foto che mi ha dato.

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