ARCHIVIO 3ARCHIVIO 5

Tre anni di condanna per Domenico Iacono

DI FRANCESCO FERRANDINO

ISCHIA. Domenico Iacono è stato condannato a tre anni di reclusione per lesioni aggravate nei confronti di Salvatore Iacono. Il verdetto del collegio presieduto dal giudice Antonio Palumbo è arrivato ieri mattina, dopo un processo durato poco più di un anno, basato sull’accusa iniziale configurata come tentato omicidio. Un tentativo risalente al primo febbraio 2016 che, secondo la ricostruzione accusatoria, era stato condotto con un’arma impropria potenzialmente molto offensiva: una roncola, o meglio un “marrazzo”, attrezzo agricolo ricurvo con la parte interna tagliente. Un episodio che costituì il culmine di una tensione originatasi da numerosi contestazioni   Il collegio giudicante ha quindi derubricato il reato di tentato omicidio volgendolo in quello di lesioni aggravate, condannando Iacono anche al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede.  La sentenza non ha dunque accolto interamente la richiesta del pubblico ministero, che per l’imputato aveva invocato la condanna a sei anni di reclusione senza l’applicazione delle attenuanti, per tentato omicidio. Comunque il verdetto appare invero “salomonico”, quasi una soluzione per equilibrare le richieste di accusa e difesa. Quest’ultima, ricordiamo, in subordine aveva richiesto la derubricazione del reato alla fattispecie di lesioni volontarie. Il tribunale ha dunque emesso una sentenza in un certo senso equidistante tra i due estremi. Nella valutazione avrà verosimilmente pesato la scarsa entità delle lesioni riportate in concreto da Salvatore Iacono, colpito alla testa e al braccio, che resero necessaria l’applicazione di quindici punti di sutura al capo da parte dei medici dell’Ospedale Rizzoli di Lacco Ameno. In sostanza, le lesioni provocate dal “marrazzo” in caso di volontà omicida sarebbero state più gravi, vista l’offensività potenziale dell’arma. La parte civile, difesa dall’avvocato Lorenzo Bruno Molinaro, è apparsa comunque soddisfatta dal verdetto di condanna, indipendentemente dalla qualificazione giuridica (appunto lesioni, e non tentato omicidio) che il Tribunale ha attribuito al reato. E invero la giurisprudenza della Corte di Cassazione, che il penalista richiamò con forza durante la sua arringa svolta esattamente un mese fa, ha stabilito come in tema di tentato omicidio anche la lieve entità delle lesioni non possano escludere l’intento omicida, anzi, a volte le lesioni possono  essere del tutto assenti, senza che venga meno il tentativo. Un orientamento peraltro confermato anche in una recentissima sentenza citata dall’avvocato Molinaro, in cui la prima sezione della Suprema Corte nomofilattica ha ribadito che, allo scopo di qualificare il fatto come tentato omicidio, invece che come lesione personale o altro, si deve avere riguardo al diverso atteggiamento psicologico dell’agente e alla diversa potenzialità dell’azione lesiva, richiedendosi nel primo un “quid pluris” che tende ed è idoneo a causare un evento più grave di quello realizzato in danno dello stesso bene giuridico o di uno superiore, riguardante lo stesso soggetto passivo, che però non si realizza per ragioni estranee alla volontà dell’agente. In altri termini,  con riferimento particolare all’elemento psicologico del dolo, riguardo al reato di tentato omicidio, “la figura di reato prevista dall’articolo 56 del codice penale, che ha come suo presupposto il compimento di atti finalizzati («diretti in modo non equivoco») alla commissione di un delitto, non ricomprende quelle condotte rispetto alle quali un evento delittuoso si prospetta come accadimento possibile o probabile non preso in diretta considerazione dall’agente, che accetta il rischio (cosiddetto dolo eventuale) del suo verificarsi, ricomprendendo invece gli atti rispetto ai quali l’evento specificamente richiesto per la realizzazione della fattispecie delittuosa di riferimento si pone come inequivoco epilogo della direzione della condotta, accettato dall’agente che prevede e vuole, con scelta sostanzialmente equipollente, l’uno o l’altro degli eventi causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria (quello che viene definito come dolo diretto alternativo), o specificamente voluto come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale o perseguito come scopo finale (cioè il cosiddetto dolo diretto intenzionale)”.  In sostanza, al di fuori del linguaggio giuridico, non dovrebbe aversi eccessivo riguardo ai danni in concreto provocati, ma al contrario si dovrebbe adeguatamente considerare la potenziale dannosità della condotta (e implicitamente dei mezzi utilizzati). Tuttavia, al momento, la pronuncia che conclude questo primo grado di giudizio è in un certo senso foriera di qualche soddisfazione anche per la difesa, che aveva cercato di delineare l’accaduto non come un’aggressione bensì soltanto come una colluttazione, visto il sostanziale dimezzamento dell’entità della condanna che era stata invocata dal pubblico ministero. Bisognerà attendere alcune settimane per il deposito delle motivazioni, e avere così un quadro esaustivo del ragionamento che ha portato il Tribunale a derubricare l’accusa iniziale, e allo stesso tempo capire perché, una volta stabilito che si trattasse di lesioni aggravate e non di tentato omicidio, infliggere una condanna comunque non lieve per quel tipo di reato. A quel punto, la pubblica accusa e la difesa del signor Domenico Iacono valuteranno le successive mosse in prospettiva d’appello.

 

Articoli Correlati

0 0 voti
Article Rating
Sottoscrivi
Notificami
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
Visualizza tutti i commenti
Pulsante per tornare all'inizio
0
Mi piacerebbe avere i vostri pensieri, per favore commentatex