Leonardo Taliercio tra dolore, impegno civico e ricordo: «Un figlio non si dimentica mai»
Nostra intervista al padre di Francesco Taliercio, il giovane di Lacco Ameno che perse la vita a maggio mentre si trovava alla guida del suo ciclomotore. Parole toccanti ma anche messaggi significativi
Era una sera di maggio, all’apparenza tranquilla. Lui, Francesco Taliercio, stava facendo ritorno a casa col suo motociclo quando all’improvviso fu travolto dalla vettura condotta da Davide Elia, che aveva alzato il gomito e non solo. Una giovane vita spezzata in un attimo, un dolore inenarrabile e incancellabile per tutti, in primis genitori e parenti, poi gli amici. Il papà di Francesco, Leonardo, da quel giorno ha deciso che accendere i riflettori su tutte le tematiche connesse alla sicurezza stradale fosse il modo migliore per onorare la memoria del ragazzo. Per la prima volta dal giorno di quella maledetta tragedia, racconta e si racconta.
Partiamo da una considerazione. Il tema della sicurezza stradale è decisamente di attualità, di questi tempi e da queste parti.
«Diciamo che lo è diventato in maniera più marcata perché qualcuno lo ha sollevato con una certa costanza. La verità è che noi genitori di Francesco, piuttosto che incentrare la nostra attenzione sull’odio o altri sentimenti che magari avrebbero caratterizzato qualcun altro, abbiamo preferito fare un ragionamento diverso. Perdere la vita così, in un solo attimo, non ha senso e quindi bisogna lavorare ed operare per cercare di creare i presupposti affinché certe cose non abbiano più a ripetersi».
La domanda è un po’ cruda e mi perdonerai, ma devo portela. Quando la cambia la percezione su un fenomeno come quello della sicurezza stradale dopo che si è vissuta una terribile tragedia? Insomma prima dell’incidente di Francesco che idea avevi?
«La stessa, più o meno. Il problema è che si arriva a un punto in cui ti rendi conto che le cose davvero non vanno. Ecco, io vorrei fare un paragone con una vicenda che con la sicurezza sulle strade non c’entra nulla, ma che ritengo sia ugualmente calzante».
Cioè?
«Penso alla situazione del Rio Corbore, obiettivamente imbarazzante se non addirittura oscena. Tutti sappiamo quello che succede, per molti di noi non va bene ma per tanti altri sta bene così. Spesso, in fondo, siamo portati a girarci dall’altra parte e a far finta di niente. Poi, però, se succede che uno dei propri figli va a fare il bagno e magari si becca una malattia, ecco che all’improvviso si decide di fare qualcosa. Succede sempre così, ti arriva prima un cazzotto in faccia e poi a quel punto vogliamo che una tematica diventi di interesse generale».
Quindi, amareggia dirlo, certe cose purtroppo bisogna toccarle con mano.
«E’ quasi sempre così ma io vorrei sottolineare un aspetto, che è importante battersi (ed io lo faccio adesso ancor più di prima) per la vivibilità della nostra isola. In un recente passato ho spiegato che quanto accaduto a mio figlio magari non ha tanto a che fare con la sicurezza stradale, ma a posteriori – riflettendoci in maniera accurata – credo che invece ci sia più di qualche attinenza. A ben pensarci, una persona che marcia a ottanta chilometri orari in una strada in cui il limite massimo consentito è di cinquanta, non sta operando nel rispetto delle regole. Ma il problema è che questo dettaglio spesso non risalta, dimenticandoci così un importante particolare: se magari ci fosse un deterrente e oggi, domani e dopodomani ti arrivano multe per eccesso di velocità, io credo che prima o poi l’automobilista finirebbe col disciplinarsi».
L’impressione è che noi siamo diventati, quando siamo alla guida di qualsiasi mezzo, un popolo di persone nervose, a volte addirittura schizofreniche.
«Non credo di essere la persona adatta a rispondere a questa considerazione, ma in ogni caso il quadro che emerge è più o meno questo. Certo che le cause possono essere di svariata natura: i genitori, in particolare le mamme, rispetto a quando eravamo bambini noi, accompagnano i loro figli ovunque e questo probabilmente influisce non poco sullo stress quotidiano ed anche sui tempi della giornata che inevitabilmente si riducono. E’ chiaro che ci sono molti altri fattori, però».
Avete creato una pagina facebook denunciando, lanciando appelli, moniti e poi accade una nuova tragedia come quella che ha visto vittima Vesmaili Xhemal.Di fronte ad una cosa del genere, qual è la tua riflessione?
«La mia riflessione è la seguente: delle tragedie che avverranno noi ne avremo conoscenza, di quelle evitate invece non ne sapremo mai nulla».
Spiegati meglio.
«Subito. A me arrivano i messaggi di diverse persone che mi dicevano che prima guidavano utilizzando il telefono cellulare e che adesso non lo fanno più, che prima non legavano il figlioletto al sediolino e adesso non se ne dimenticano mai: possiamo noi sapere se una serie di atteggiamenti più prudenti hanno evitato una o più tragedie? E’ chiaro che non lo sapremo mai. La verità è che noi cominceremo a vedere un reale cambiamento quando sull’isola aumenterà la vivibilità: in quel momento si avrà la prova di un’inversione di tendenza. Purtroppo, come diceva il sindaco d’Ischia Enzo Ferrandino, per decreto non si possono evitare le morti. Però se esiste una segnaletica e la si fa rispettare tutto sarebbe diverso: non è concepibile che in un paese dove non si possono superare i cinquanta chilometri orari avvengano tanti incidenti mortali, altri per fortuna meno gravi ed altrettanti sfiorati. Succede in ogni istante. Io, ad esempio, ho la telecamera in macchina e non percorro più di cinque chilometri senza che non ci sia qualcosa di degno di essere ripreso. Poi è anche vero che ogni caso va analizzato singolarmente. Voglio escludere gli ultimi due sui quali vanno fatte una serie di valutazioni, ma in linea di principio generale condannare a prescindere è un qualcosa che non riesco a condividere. Ci sono certe cose, non va dimenticato, che possono accadere a tutti».
Va detto però che forse l’emozione emotiva della gente nei confronti della donna che ha investito il giovane ragazzo sulla Superstrada, è figlia anche della recidività della stessa, che già in passato aveva ucciso e investito un altro uomo.
«Su questo non c’è dubbio».
“Nessuno sia più quello dell’altra corsia”, questa tua frase ha lasciato il segno.
«L’ho detto due giorni dopo l’incidente in cui ha perso la vita Francesco. Io credo che vada intrapreso un percorso educativo che per ovvi motivi deve partire dalle scuole. La speranza è sempre quella che ognuno cammini in riga, dritto per la sua corsia. Consentimi una metafora: se anche mio figlio fosse stato l’uomo dell’altra corsia, forse adesso sarebbe ancora a casa. Insomma, non dobbiamo creare una società che per difendersi debba sconfinare dall’altra parte, ognuno segua la propria direzione».
Quanto è difficile, dopo aver vissuto una tragedia del genere, riuscire a perdonare il prossimo?
«Credo che il nostro sia un caso a parte. In questo momento io Leonardo posso bere dieci birre, poi esco fuori con la macchina e una volta in strada combino l’irreparabile. Il colpevole chi potrebbe essere? Per me chi sapeva che dopo quella bevuta mi sarei messo al volante, non certo il tutore dell’ordine di turno. Però per chi assume psicofarmaci occorrerebbero norme ad hoc e maggiore attenzione, certe cose non sono ammissibili. Se a questo aggiungiamo anche altri dettagli, allora capirai che il perdono è davvero difficile».
Ha suscitato tanta emozione e commozione la lettera che tua moglie, la mamma di Francesco, ha indirizzato a suo figlio che è stata pubblicata anche sui vostri canali social.
«Tre volte l’ho letta e tre volte ho pianto, magari in altre cose la mia reazione è stata diversa. Vedere una mamma soffrire è un qualcosa di terribile. Io alle volte da vicino non me ne accorgo, poi magari vai al cimitero e la guardi, ti distacchi per un attimo e hai una visione che davvero non riesco a descrivere. L’amore di un figlio rimane dentro di te e ti fa andare avanti: col tempo puoi dimenticare una fidanzata che ti ha fatto soffrire, ma un figlio mai».
Al recente convegno al Manzi sei stato artefice di un intervento forse sfuggito ai più. A un certo punto hai detto: “Non sono qui per parlare di Francesco, che ormai non c’è più, ma di Emanuele – l’altro tuo figlio – e di tutti quelli che ci sono ancora. Che senso aveva quel messaggio?
«E’ stato il mio obiettivo chiaro fin dl momento in cui ho realizzato quello che era successo e intendo proseguire su questa strada: concentrarsi sull’odio non porta a nulla, anzi peggiora soltanto le cose. A me non piacciono le commemorazioni, ma fatti e parole costruttive. Ecco perché intesi fare quella precisazione».
Qual è il messaggio che Leonardo Taliercio vorrebbe indirizzare ai suoi concittadini e magari soprattutto ai più giovani?
«Da ragazzi c’è tanta irruenza, noi cerchiamo di portare il buon senso in alcuni modi però credo che ogni tanto il buon senso debba vestire una divisa. Guardate, io ho notato più volte – passeggiando sul lungomare – che quando si vedeva soltanto un lampeggiante in lontananza, che i conducenti dei mezzi a due ruote improvvisamente abbassavano la velocità da ottanta o novanta chilometri orari a poco più di trenta. Insomma, per alcuni soggetti le parole non servono, occorrono deterrenti seri».
Leonardo Taliercio continuerà il suo impegno per chi è rimasto e non per commemorare, ma certo per onorare la memoria di Francesco. In che modo?
«Prima di tutto, migliorare la vivibilità del nostro paese, e mi scuso se sono ripetitivo. Anche perché le carenze più vistose a riguardo afferiscono proprio alla viabilità, che è diventato il tallone d’Achille della nostra isola. Una cosa è certa, non mi girerò mai più dall’altra parte…».