CRONACAPRIMO PIANO

L’ha lasciata sola, poi l’ha uccisa

Svolta sul caso della tragica morte della 32enne ucraina Marta Maria Ohryzko, deceduta lo scorso 13 luglio dopo essere scivolata in un dirupo al Vatoliere. Il suo compagno non la lasciò sofferente all’addiaccio ma la soffocò tappandole naso e bocca con una mano. L’indagine dell’Arma e le risultanze dell’esame autoptico hanno inchiodato il 41enne russo Ilia Batrakov

Cadde in un dirupo e si ruppe una caviglia. Rimase lì, immobile, ferita, mentre chiedeva aiuto con la voce spezzata e con il cellulare tra le mani. Ma l’uomo che amava, l’unico che avrebbe potuto salvarla, non solo non la soccorse. La raggiunse, la colpì al volto, poi le tappò naso e bocca con una mano fino a toglierle il respiro. Così, secondo gli inquirenti, è morta Marta Maria Ohryzko, 32 anni, cittadina ucraina. Uccisa per mano del suo compagno, Ilia Batrakov, 41 anni, cittadino russo, già detenuto dal luglio scorso per maltrattamenti e ora ufficialmente accusato di omicidio volontario pluriaggravato. La tragedia è avvenuta a Vatoliere, frazione di Barano, il 13 luglio 2024. All’inizio sembrava un tragico incidente: un litigio, una fuga, la caduta accidentale in un dirupo. Poi l’ipotesi di un’embolia, causata dalla frattura della caviglia. Ma qualcosa non tornava. E a rimettere ordine nei dubbi ci hanno pensato le intercettazioni raccolte dai militari guidati dal capitano Tiziano Laganà, i referti autoptici e la disperazione muta di Marta, rimasta impressa nei messaggi vocali e nei sms che, in quelle ore, aveva inviato proprio all’uomo che l’avrebbe uccisa. “Aiuto, sono caduta”. E poi ancora: “Perdonami per tutto… aiutami per favore ad alzarmi… con questo mi salvi”. Erano le 15:45 quando Marta inviò il primo messaggio. L’ultimo arrivò alle 19:33. Poi solo silenzio. Ci furono due telefonate: una alle 21:17 durò cinque minuti. L’altra, alle 21:24, rimase senza risposta.

Secondo quanto ricostruito dalla Procura di Napoli – pm Alfredo Gagliardi della IV sezione, coordinato dal procuratore aggiunto Raffaello Falcone – l’uomo non solo ignorò quelle richieste, ma approfittò della vulnerabilità della compagna per agire in un contesto che rendeva impossibile per lei difendersi. L’ha lasciata lì ore, da sola, ferita. Poi l’ha raggiunta. Non per salvarla, ma per zittirla per sempre. Il colpo all’occhio e i segni sul volto non sono compatibili con una caduta, né con una morte naturale. Lo ha stabilito la consulenza medico-legale: la mano dell’aggressore avrebbe premuto con forza sul volto della donna, impedendo la respirazione. Si legge nella relazione che “la mano destra dell’aggressore comprimendo la bocca e il naso della vittima, facendo presa con le unghie sull’emilato sinistro del volto, impedì lo svolgersi dei comuni atti respiratori inducendo il grave quadro asfittico causa della morte”. Sul viso di Marta sono stati rilevati segni compatibili con la pressione delle dita. Nelle vie aeree, tracce di materiale vegetale e muco, forse a causa delle mani sporche dell’uomo, forse – come temono gli investigatori – per un maldestro tentativo di intervenire sulla lingua della donna. In alcune intercettazioni, infatti, Batrakov avrebbe manifestato la convinzione che in caso di soffocamento si potesse morire “ingoian­­do la lingua”. Durante i colloqui in carcere, al solo sentir parlare degli esami ai polmoni della compagna, l’uomo ha mostrato segni di evidente nervosismo. E quando gli inquirenti si sono avvicinati alla verità, ha iniziato a sostenere che, se mai fosse stato condannato, sarebbe stato solo per antipatia o razzismo, in quanto russo.

Ma le prove raccontano altro. Non c’erano alcolici nel corpo di Marta, come invece sostenuto dal compagno. Solo tracce di farmaci compatibili con una terapia antipsicotica, regolarmente prescritta. Nessuna delle sue condizioni avrebbe potuto giustificare un abbandono. Né, tantomeno, una morte così violenta. A carico di Batrakov è ora stata formalizzata l’accusa di omicidio volontario con l’aggravante dei futili e abietti motivi, oltre che per aver agito approfittando della condizione di isolamento e debolezza della vittima. La notifica del nuovo provvedimento è avvenuta il 16 aprile nel carcere di Poggioreale, dove l’uomo è recluso dal giorno successivo alla tragedia. Se le accuse verranno confermate, quello di Marta sarà l’ennesimo femminicidio consumato nel silenzio di una relazione tossica, spezzata non solo da un pugno e da una mano chiusa sul volto, ma dall’indifferenza di chi avrebbe dovuto amare e invece ha lasciato morire.

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