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L’ischitano Nino Di Costanzo 42° tra i 300 chef migliori al mondo

di Isabella Puca

Ischia – È 42° tra i migliori 300 chef al mondo, il 7° tra gli italiani; l’ischitano Nino Di Costanzo raggiunge un altro importante traguardo e questa volta ad assegnargli il punteggio sono gli chef del mondo chiamati a votare la classifica. Ideata in Polonia nel 2016, e presentata con una cerimonia a Varsavia, la neonata classifica internazionale si prefigge di premiare i migliori cuochi del mondo in termini di cucina artistica e presentazione visiva, qualità che il nostro chef ha da vendere.

Chef, come hai appreso la notizia, te l’aspettavi?

«È una classifica di cuochi che votano cuochi, sono stato invitato a Varsavia per la cerimonia, ma non ho potuto partecipare perché impegnato in un altro evento. É una responsabilità, come le stelle Michelin e i cappelli dell’Espresso; la gente arriva al ristorante con aspettative molto alte e stare sul passo non è mai facile. Quello che mi fa piacere, a discapito di chi sparla, è che è sempre Ischia ad andare avanti. Queste iniziative, poi, stimolano anche i giovani a fare dei percorsi professionali importanti; girando il mondo vengono a conoscenza di quante più cose possibili e le mettono in pratica nella loro terra, nel nostro caso a Ischia».

42° chef tra i 300 migliori al mondo e 7° in Italia, cosa rappresenta per te?

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«E’ senz’altro un punto di partenza. Non sono a favore delle classifiche, ma credo servano per muovere delle situazioni. Certo, fa piacere, ma non è il mio obiettivo percorrere strade più veloci per arrivare a essere il primo. Il mio obiettivo è continuare a migliorarmi e migliorare la mia azienda. Ho votato anche io, ma i nomi sono top secret. Ciò che mi fa piacere è che sono stato votato per il 70% da cuochi stranieri questo significa che l’attenzione sulla cucina italiana è tanta».

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Nella classifica degli italiani vieni prima di Carlo Cracco, conosciutissimo soprattutto per i talent di cucina tanto seguiti negli ultimi anni

«Molti cuochi nascono per avere un aspetto mediatico e fanno tanto per mantenerlo, io preferisco ancora a fare il mio lavoro, il cuoco. Fare il personaggio mediatico ti comporta tanto tempo, tempo che io dedico alla ricerca, allo studio. Ho chiuso il ristorante il 15 ottobre e il 16 ero già in viaggio. Il lavoro è enorme, cammina veloce e fermarsi e guardare aspetti che non competono a questa professione credo sia una perdita di tempo. In un’altra classifica votavano lo chef più mediatico, ma spero di non essere stato messo nemmeno in lista».

La tecnica e la materia prima sembrano essere le armi vincenti, ma come si è evoluta in 30 anni la cucina italiana?

«Si è evoluta e lo ha fatto grazie a chef come Gualtiero Marchesi, Don Alfonso, Santin, sono loro che hanno fatto grande la cucina italiana cambiando il modo di pensarla e dandole una grande impennata. Per qualche anno la strada giusta si è persa un po’ di vista; la cucina si è fatta influenzare da Spagna, Francia, ora ci stiamo mettendo di nuovo in carreggiata. Il compito del cuoco è portare in tavola dei grandissimi prodotti e fare il modo che la tecnica venga messa a disposizione della grande tradizione e che, i grandi piatti di una volta, che hanno reso importante la Campania e l’Italia si riposizionino su un segmento artistico che c’è sempre stato».

E la cucina ischitana, che evoluzione ha avuto?

«Vent’ anni fa la cucina ischitana era coniglio, pollo, maiale e qualche piccola influenza di mare; poi c’è stato il cappuccino e la fettina di caprese con il boom dei turisti tedeschi. Negli ultimi anni è migliorata molto e a migliorare sono state anche le  pizzerie grazie a  giovani ragazzi che si stanno impegnando veramente tanto. Spero che i nuovi giovani cuochi capiscano che non devono portare in tavola prodotti che non appartengono alla nostra tradizione, ma fare il modo che pollo, coniglio, maiale e il pescato la faccia da padrona»

Come definiresti la tua cucina?

«Direi una cucina semplicissima dove cerco di reinterpretare la ricetta di una volta in chiave contemporanea, facendo in modo che tutti i sapori siano distinti tra di loro. La cucina negli ultimi anni è diventata salute e quindi la tecnica a servizio della materia prima affinché venga rispettata e non maltrattata con cotture o procedimenti sbagliati. Quindi una cucina semplice dove, a fare da padrona e la tradizione e gli ingredienti principali quelli del territorio».

Qual è il piatto che maggiormente ti rappresenta?

«Sto iniziando a mettere mano al nuovo Menù 2018 e non posso fare a meno di tutto ciò che è tradizione. Non sono papà, ma con i piatti è un po’ come con i figli: voglio bene a tutti e faccio fatica a dire quale mi rappresenta. Se non mi piace non entra in carta.

Nino Di Costanzo cliente: cosa ti aspetti quando entri in un ristorante?

«Da cliente, come tutti, mi aspetto di star bene, mangiare bene ed essere servito bene. Certo, in un ristorante di livello ti aspetti ancora di più, ma in primis guardo alla qualità del cibo. Ciò che conta, poi, è che quel luogo ti faccia venire voglia di ritornarci».

Chef, ti diletti ai fornelli anche a casa?

«No, purtroppo no. Non c’è mai tempo. Ma mia mamma fa un lavoro da 40 anni sempre impeccabile, insomma a casa preferisco fare il cliente. Tra le sue ricette quella che amo di più è il brodo; è da lì che sono partito per creare il brodo maritato, ho copiato la sua ricetta, cercando di renderla ancora più nobile. La mamma è sempre fondamentale, anche in cucina».

Cos’è che non deve mancare mai nel tuo frigorifero?

«Una bollicina. Quella non deve mancare mai».

Chiusa la tua maison ora inizi i tuoi viaggi per il mondo, quali sono le prossime tappe?

«In questi giorni sono in Italia per diversi eventi tra Napoli, Milano e Bergamo; a  metà mese sarò ad Abu Dhabi per un evento o importantissimo e poi ancora in Italia, Singapore e Kazakistan dove abbiamo un evento con i Capi di Stato. Poi da febbraio mi ritiro in cucina a Ischia per provare una nuova carta; avrò bisogno di due mesi per provare nuovi piatti e nuovi oggetti che sto disegnando per i quali siamo in fase di prototipi. Riapriremo, poi, un paio di giorni prima di Pasqua».

 

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