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L’isola d’Ischia e il velo di paura

Il weekend che si avvia alla conclusione è stato indubbiamente caratterizzato dal dibattito originato dall’episodio di venerdì scorso a bordo del traghetto Medmar. Dibattito che si è prolungato a lungo sui social network. I fatti sono noti: una donna di origine nordafricana residente sull’isola d’Ischia era stata sottoposta a controllo dalle forze dell’ordine, su segnalazione di alcuni passeggeri, allarmati dall’abbigliamento della signora. Il velo che copriva il capo e incorniciava il viso, insieme a quella che sembrava una cintura poi rivelatasi soltanto una panciera dovuta a un intervento chirurgico, hanno creato sospetti e paure tra i viaggiatori. Paure che si ricollegano ai recenti fatti di cronaca: gli attentati terroristici avvenuti in varie città d’Europa, che secondo le autorità sono da ascrivere a soggetti legati all’estremismo islamico, fomentano timori che inevitabilmente arrivano in prossimità di quel confine che separa l’aspirazione alla sicurezza dal pregiudizio latente verso chi professa un determinato credo religioso. L’assessore alla cultura del Comune di Ischia, Salvatore Ronga, aveva chiesto scusa, sia a titolo personale che come rappresentante dell’ente, alla signora oggetto della perquisizione, provocata anche dal diffuso clima di allarmismo che viviamo in questi tempi, invitando l’isola a non venir meno al suo tradizionale spirito di accoglienza.

Parole che hanno dato il via a un confronto che, come sempre avviene sui social, si è subito autoalimentato: pur con infinite sfumature intermedie di cui è praticamente impossibile dar conto in questa sede, le posizioni si sono rapidamente polarizzate tra coloro che ritengono che le forze dell’ordine abbiano effettuato un normale e meritorio controllo di prevenzione senza che le istituzioni debbano sentirsi in dovere di rendere delle scuse (e che pare siano la maggioranza, come testimonia anche il campione di opinioni da noi raccolto), e chi invece vede nell’episodio e nella sua cornice il segnale rivelatore di timori spesso ingiustificati frutto di pregiudizi politici o anche di razzismo più o meno consapevole, invitando a non lasciarsi sopraffare dalla “pancia” mantenendo salda la “ragione”, per non scivolare verso derive populiste o, peggio, autoritarie. La vicenda è indubbiamente indicativa della tensione a cui sono esposti i cittadini occidentali, stretti tra l’angoscia prodotta dagli episodi terroristici citati e la pesante pressione mediatica di diversi organi di informazione sulla tematica dell’immigrazione.

Ma è anche l’indice rivelatore dell’eterno dilemma tra il desiderio di sicurezza e la libertà personale: e la storia insegna che spesso in nome della sicurezza i governi hanno sacrificato spazi significativi di libertà. Sulla vicenda che ha originato il dibattito, abbiamo personalmente contattato alcuni cittadini isolani chiedendo un parere più articolato rispetto a quello che in genere viene affidato ai social network che, nonostante l’indubbio pregio dell’istantaneità, soffrono dei limiti ben noti, tra cui l’eccessiva sintesi e mancanza di approfondimento. Per completezza riportiamo anche il pensiero del sindaco Enzo Ferrandino, che ieri ha affidato il suo punto di vista a un comunicato qui riprodotto integralmente. È inutile dire che il giro di pareri da noi raccolto non ha alcuna pretesa di esaustività, ma forse può contribuire a incanalare il confronto, passando dall’emotività alla riflessione costante su un tema foriero di tante possibili implicazioni a vari livelli, spesso decisive anche per il futuro della nostra vita quotidiana. E della nostra libertà.

Francesco Ferrandino

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