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L’ISOLA E L’EQUIVOCO DELL’IDENTITA’ PERDUTA

Mi sono chiesto spesso (e più gli anni passano e più me lo chiedo) che cosa significhi esattamente “smarrire” l’identità di un paese, nel nostro caso di un’isola. E in questo pormi il quesito, mi sono trovato quasi sempre a passare, metaforicamente, tra Scilla e Cariddi, tra la tentazione di abbandonarmi alla pura nostalgia dei tempi che furono (e che sembrano più puri e più belli anche per una personale diversa condizione psicologica ed anagrafica) e l’opposta tentazione di magnificare le sorti progressive di un presente e di un futuro sempre migliori del passato. D’altra parte questa duplicità, questa ambivalenza è connaturata all’idea stessa di isola, luogo di forti contrapposizioni, come un Giano bifronte. Memorabile, in tal senso, il racconto di Edgar Allan Poe “ L’isola delle Fate”, un’isola per metà di luminosa bellezza e per l’altra metà sprofondata nel buio. Ischia: c’è chi la vede irrimediabilmente deturpata e deflorata della sua innocente e primigenia bellezza e chi ne tesse le lodi di laboriosità e costante progresso economico. Le stesse riflessioni e gli stessi dubbi mi hanno assalito circa dieci giorni fa al Torrione di Forio, dove è stato ricordato, molto bene, il libraio Vito Mattera. Ovviamente conoscevo Vito, l’uomo di cultura, il comunista dialogante, ma – da ragazzo e da giovane – non frequentavo Forio e diverse erano le coordinate politico-culturali e i miei riferimenti. Ma non è di me che voglio parlare. Anche quella sera al Torrione, sentendo – da vari esponenti – alcune proposte per ricordare al meglio l’opera di diffusione culturale di Vito (dal Museo nel Torrione, dove raggruppare memorie ed opere di illustri foriani, come Maltese e lo stesso Vito, alla strada da intitolare al libraio, alla targa ricordo, fino all’annuncio del Sindaco Del Deo di una Biblioteca comunale che sarà istituita e che a Vito sarà intitolata) quella sera sono stato tormentato dal dubbio se, per caso, non stessimo tutti rimanendo prigionieri di un’idea nostalgica e cristallizzata di Forio, di Ischia, di un’isola che non c’è più e mai più potrà ritornare.

Anche Franco Iacono, ideatore della serata, ha più volte richiamato l’attenzione sul pericolo di fermarsi alla nostalgia. Per superare la quale, Iacono ha in mente un programma di diffusione scolastica del patrimonio culturale della Forio degli anni 50-60, per rendere attuale e ravvivare un fermento che produsse molto. E il cognato di Vito, con un discorso bellissimo, ha ritmicamente ribadito “ uomo di altri tempi” alternato con l’espressione “ uomo di tempi altri”. Abbiamo dunque smarrito la nostra identità? E la nostra identità era il frutto di un incontro tra intellettuali venuti da fuori e intelligenze locali? Ma per non perdere l’identità, dovevamo fermare le lancette dell’orologio? Minimalizzare l’espansione turistica? Rinunciare al turismo di massa? (alquanto impossibile, vista la contiguità territoriale di una metropoli contraddittoria come Napoli). Sono dubbi legittimi, ma che dobbiamo tentare di dissipare se vogliamo passare dal piano della nostalgia a quello del superamento dialettico del “ work in progress”.

L’anno scorso, in occasione della presentazione del libro “La Natura esposta” di Erri De Luca, presso il Museo Archeologico di Napoli, un giornalista del Corriere della Sera chiese allo scrittore: “ Quanto è difficile restaurare l’identità perduta di una comunità?” De Luca, riferendosi alla città di Napoli, rispose: “ Non so a quale comunità si riferisce. Noi proveniamo per esempio da una di emigranti, una quota massiccia di nostri è partita in esilio, senza lasciare traccia. Per queste perdite non si sente bisogno di restauro, bastano le canzoni a conservare la cicatrice. Mi sembra che le comunità rinnovino e aggiornino la loro identità attraverso modifiche di costumi, di linguaggio, di possibilità alimentari. Sono corpi viventi che non si lasciano imbalsamare in musei…Non provo nostalgia per il passato”. Penso che De Luca abbia ragione. Ciò non vuol dire naturalmente che il progresso sia ineluttabile e inarrestabile. La Storia ha alti e bassi, avanzate e frenate, progressi e regressi. Ma va vista in tempi molto, molto lunghi. E, dunque, per ritornare alla nostra isola, in particolare a Forio, ha senso pensare ad una Biblioteca pubblica classica ? Il libro cartaceo, come il quotidiano cartaceo, è ancora un valido mezzo di diffusione della cultura? La lettura ha ancora lo stesso fascino e la stessa “ presa” degli anni 50-60? O dobbiamo prendere atto di mutamenti radicali che spostano i termini della questione? Come possiamo coniugare il successo della Rete, lo sviluppo dei social media, con la necessità di approfondimento, di riflessione? Come conciliare i diversi tempi e le diverse velocità dell’uno e dell’altro mezzo?

Per dare un’idea dei nuovi orizzonti che si aprono, segnalo che da domani al 6 aprile, a Bologna, si svolge la Bologna Children’s Book Fair, che è una mostra specializzata che, sotto il profilo editoriale per ragazzi, fa incontrare digitale e cartaceo. Si naviga tra carta, ebook, APP, comunicazione multimediale, immagini digitali che fuoriescono, in maniera avveniristica, dal libro, per aprire nuove e affascinanti visioni. Abbiamo parlato della metropoli Napoli, che è un po’ nostra madre o matrigna ( secondo i punti di vista), alla quale siamo ancora attaccati per mezzo del cordone ombelicale, per i trasporti, il commercio, la storia, la sanità e tanto ancora. Napoli era capitale di Case Editrici, di Università, di librerie, teatri. Poi, l’avvento della Rete, dei social, della globalizzazione incominciò a spazzar via librerie, quotidiani, riducendoli all’osso e confinandoli ai margini della vita cittadina. Ma già dal 2014, grazie alla creatività, al dinamismo, alla voglia di riscatto di valenti operatori napoletani, si riaprirono al Vomero nuove librerie su schemi diversi. Mentre si erano chiuse librerie storiche come Loffredo in via Kerbaker e Guida in via Merliani, oltre che Fnac in via Giordano, si apriva Raffaello Book & Coffee in via Kerbaker. Non più polverosi scaffali ma eleganti e spaziosi ambienti, con un angolo caffè. Un caffè letterario, con ampie vetrate e a terra parquet. Un salotto letterario. L’istituzionalizzazione di quello che era – più o meno involontariamente – la libreria di Vito Mattera o le gallerie di Peperone e di Gino Coppa. Punti di aggregazione e di discussione. Questo per dire che si possono mantenere le sostanze e modificare le forme.

I linguaggi cambiano, i modi di interloquire e relazionarsi cambiano. Non tutto ciò che si modifica è involuzione. Quasi sempre, a Ischia, è proprio questa incapacità di “rinnovarsi” che manca. E’ come se ci fosse una sorta di prosciugamento del “pozzo” di inventività imprenditoriale, una sorta di esaurimento delle idee. Prendete, ad esempio, il fronte dei divertimenti per giovani. Siamo fermi alla discoteca classica, non siamo stati capaci di inventare nulla di nuovo. Sì, forse, la società Ellegi di Gianmarco Balestrieri ha proposto nuove forme di spettacolo giovanile, ma manca una programmazione di “divertimentificio”, cosa invece che – ad esempio – sulla Riviera Adriatica sanno fare benissimo. Ischia ha bisogno e merita un maggiore fervore. Non possiamo vivere di ricordi. Mizar, nella sua efficace rubrica SottoTiro e col titolo “ La grandezza di Ischia” ha elencato i grandi intellettuali che segnarono il turismo culturale ad Ischia, fino ad arrivare alla capacità produttiva e commerciale dei vini locali (nella fattispecie i vini dei Giardini Arimei della famiglia Muratori, presenti sul tavolo dei Capi di Stato al 60° anniversario dei Trattati di Roma). Conclude Mizar che la “ grandezza” di Ischia che fu, è finita male. Ovviamente G. G. Mazzella si riferisce all’insipienza della politica attuale, incapace di utilizzare le risorse, il patrimonio naturale, storico, culturale e le enormi potenzialità di quest’isola. Discorso giusto, al quale però aggiungerei la “stanchezza”, la cristallizzazione degli operatori locali che sembrano non avere più voglia di “osare”, di “intraprendere” nuovi percorsi di rischio imprenditoriale. Lo sfruttamento del passato non basta più, forse oggi se Vito Mattera fosse ancora vivo,deciderebbe di fare una libreria diversa, magari un “ caffè letterario”.

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