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Lo accusavano in sette di violenza a persone e cose, ma il giudice lo assolve

ISCHIA – Una vicenda che si è conclusa nella maniera migliore per un imputato, che si era trovato dinanzi ad un giudice perché accusato da un “esercito” di persone. Che però, a questo punto è lecito pensare, si erano uniti in una sorta di clan per fare in modo che sul soggetto di turno ricadessero una serie di responsabilità che non erano le sue. Adesso però non soltanto un foriano può tirare un sospiro di sollievo, ma paradossalmente a preoccuparsi potrebbero dover essere i suoi accusatori: se, così come chiesto dal difensore dell’imputato, il giudice monocratico dovesse realmente inviare gli atti alla Procura della Repubblica ravvisando in una serie di dichiarazioni rese il reato di falsa testimonianza, ecco che gli inquisitori potrebbero trovarsi a vestire i panni nient’affatto comodi di inquisiti.

LE ACCUSE DI VIOLENZA A PERSONE E COSE

La sentenza di assoluzione ha visto uscire immacolato da un procedimento penale il 56enne Cristoforo D’Abundo, difeso di fiducia dall’avv. Michelangelo Morgera – era finito a giudizio per violazione degli art. 392 e 393 del codice penale, ossia esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone “perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di esercitare un preteso diritto e potendo ricorrere all’autorità giudiziaria, si faceva ragione da sè usando violenza su cose e minacce alle persone. Invero, al fine di impedire il passaggio sul suolo di sua proprietà sito in Forio, località Lo Russo, dichiarato carrabile dal Comune di Forio, sversava dapprima terreno e pietre sulla sede stradale in modo da non consentire il passaggio e veicoli e rendere difficoltoso il transito pedonale, e minacciava poi Di Maio Nicola, Nocera Arcangelo, Romano Vincenzo, Romano Leopoldo, Castaldi Giuseppe, Castaldi Michele, Guarracino Franca e D’Aniello Biagio di un male ingiusto con le seguenti frasi: ‘se non ve ne andate prendo la sculetta (fucile) dietro la porta e vi sparo’, rivolto al Di Maio Nicola; ‘ve ne dovete andare via, avete capito o no? allora io parlo col cazzo! Oggi ho deciso, prendo il fucile che ho dietro la porta e con due colpi vi mando a San Gennaro’, rivolto a Romano Vincenzo e Romano Leopoldo; ‘non dovete più passare per la mia strada altrimenti finisce davvero male’, rivolto a Castaldi Giuseppe, Castaldi Michele e D’Aniello Biagio; ‘ sei una figlia di puttana, sei una zoccola, se ti vedo passare di nuovo nella mia strada ti butto sotto’, rivolto a Guarracino Franca”.

LA STRADA INCRIMINATA E LE OPERE ESEGUITE ABUSIVAMENTE

Insomma, quanto avete appena letto lascia intendere che la storia si sarebbe articolata in una maniera ben precisa, con il D’Abundo che rivendicava il possesso di una strada e non voleva che gli altri residenti della zona la attraversassero. Ma il giudice ha mandato completamente assolto l’imputato, con la formula “perché il fatto non sussiste”, chiudendo così di fatto una vicenda che si era già consumata in due ben distinti capitoli. Sì, perché questa è una vicenda che parte davvero da molto lontano e che aveva già vissuto un momento giudiziario. Per mettere insieme tutti i tasselli del mosaico, abbiamo bisogno di fare un deciso tuffo nel passato.Tutto ha origine nel 2004, quando la strada ribattezzata Lo Russo altro non è che un piccolo sentiero, a stento attraversabile in maniera pedonale, come anche inequivocabili rilievi geometrici mostreranno. Nel frattempo, però, l’abusivismo ha imperversato ed in quella zona risiedono ormai diversi cittadini e famiglie ed insistono anche svariate abitazioni. Un sentiero impedisce di raggiungere casa con le macchine e in alcune fasce orarie della giornata rende l’operazione impossibile anche a piedi. Bisogna fare qualcosa: già, ma cosa? Siamo nel 2004 quando, pare con l’avallo degli abitanti di via Lo Russo, Arcangelo Nocera esegue personalmente una serie di lavori tesi all’ampliamento ed alla cementificazione della strada con l’intento di renderla carrabile. Il tutto, va sottolineato, senza alcuna autorizzazione né del Comune né tantomeno della Sovrintendenza: insomma, ci si muove in perfetto “stile ischitano”, senza cioè che si ritenga necessario munirsi dei documenti e dei permessi necessari per poter eseguire un intervento. Trascorre un pò di tempo e si arriva al 2005, quando Cristoforo D’Abundo denuncia gli abusi eseguiti presso la strada in questione, anche perché c’è un motivo che lo lascia ritenere particolarmente danneggiato, e cioè un’evidente invasione della sua proprietà. Il contenzioso diventa di natura giudiziaria e si arriva così alla celebrazione di un processo, che si celebra dinanzi al giudice monocratico Somma. Arcangelo Nocera, ritenuto l’esecutore materiale delle opere che avevano portato all’allargamento della strada, viene condannato a cinque mesi di reclusione con pena sospesa ed al ripristino dello stato dei luoghi per i reati urbanistici e paesaggistici dei quali si è macchiato. Ovviamente l’imputato decide di fare ricordo in Appello e qui le lungaggini della giustizia italiana si fanno sentire e finiscono inevitabilmente con il lasciare il segno: i reati vengono prescritti per decorrenza dei termini ed il Nocera può dunque tirare un sospiro di sollievo.

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LA PROVA: ESISTEVA IL COMITATO CHE STUDIO’ L’ABUSO

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Esaurito il “remake” ritorniamo a tempi più recenti, ed alla denuncia sporta dai residenti di via Lo Russo che accusano in maniera pesante il D’Abundo. E in un processo del genere, pensare di poterla fare franca è impresa decisamente ardua, per non dire proprio una missione impossibile. Mettetevi nei panni di un giudice, come si fa a credere alla parola di un imputato contro dieci accusatori? Ma Cristoforo D’Abundo e l’avvocato Michelangelo Morgera hanno ancora un asso nella manica da giocarsi. Il residente in via Lo Russo sosteneva la presenza di un comitato che si fosse creato ad hoc per l’allargamento della strada in questione ma le cosiddette parti offese o denuncianti nel corso delle varie udienze smentiscono sempre con forza la circostanza, negandola a spada tratta. Non solo, parlano di lavori mai eseguiti, che la strada non è mai stata allargata ma ha soltanto subito una piccola sistemata ed una pulizia. Nulla di più falso, ad un certo punto la storia sembra diventare kafkiana, quasi si nega l’evidenza: ed i riscontri fotografici forniti a supporto dalla difesa sono eloquenti. Ma ecco che all’improvviso, come un coniglio dal cilindro, arriva la “carta” che provvede a modificare completamente gli scenari, fino a ribaltarli del tutto. D’Abundo ha infatti le prove dell’esistenza di questo sodalizio frutto di una comparsa di costituzione e risposta con chiamata in garanzia del terzo. La ditta edile che aveva fornito i materiali per eseguire i lavori nella via incriminata, infatti, cita Alessandro Nocera chiedendogli il pagamento della merce acquistata. Quest’ultimo, a quel punto, risponde scrivendo che non deve essere soltanto lui a dover saldare quel conto, ma tutti coloro che si erano riuniti in comitato e che avevano accettato di essere parte in causa nella spartizione delle spese. Insomma, proprio Nocera ammette l’esistenza di questo comitato, che in tribunale ovviamente dal difensore dell’imputato è stato definito “sodalizio criminoso”, avendo provveduto ad adoperarsi per realizzare opere completamente abusive. L’avvocato Morgera a quel punto chiede che il documento possa essere acquisito agli atti processuali ed il giudice monocratico acconsente. E’ in questo momento che emerge in maniera palpabile la situazione che gli scenari si sono completamente ribaltati. Probabilmente anche il magistrato comincia ad intuire che il “comitato” da tutti negato ed invece perfettamente esistente possa aver ordito una “trama” per vendicarsi di Cristoforo D’Abundo. L’operazione non riesce, e l’imputato finisce con l’essere assolto. Ma la storia in questione, però, potrebbe non essere ancora finita.

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