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Maio, dalle Università italiane tre proposte di ricostruzione post sisma

Gianluca Castagna | Ischia – I terremoti generano nelle comunità voragini fisiche e psicologiche. Le popolazioni vittime di un sisma faticano a riconoscersi nei propri centri abitati, dei quali purtroppo molto spesso rimane solo un cumulo di macerie o abitazioni talmente danneggiate da richiederne l’abbattimento. Un’eredità, non solo materiale, difficile da gestire sia dal punto di vista economico e politico, ma soprattutto per l’aspetto sociale.
Da dove ripartire per la ricostruzione del Maio e delle aree colpite dal terremoto del 21 agosto 2017? Quali modelli adottare e quale potrebbe essere il ruolo degli architetti? Come operare scelte che assicurino stabilità, sicurezza, armonia dal punto di vista dell’identità locale e culturale?
Quale sarà l’impatto sociale e culturale di una ricostruzione?
Per quanto i tempi di realizzazione siano prematuri (viste le lentezze burocratiche che strangolano la vita del Paese in generale), il tema (delicatissimo) tema della pianificazione urbanistica e architettonica nei territori colpiti dal terremoto è una delle sfide future a cui è chiamata l’intera isola d’Ischia. Cercare di guardare oltre l’emergenza e disegnare un futuro di qualità per i nostri territori. Nel rispetto dei bisogni delle popolazioni vittime del sisma, delle norme di sicurezza e del buon costruire, del passato e della tradizione, pur adottando soluzioni innovative e sperimentali. Anche queste rappresentano questioni capitali al mondo dell’architettura. Qual è la risposta concreta?

Oltre trenta giovani architetti provenienti da tre Università italiane (Roma Tor Vergata, Napoli Federico II, Palermo) hanno partecipato al Workshop del PIDA (Premio Internazionale Ischia di Architettura) “Protopia Maio”, producendo disegni e rendering per tre progetti di ricostruzione e rigenerazione dell’area colpita dal terremoto tra Casamicciola e Lacco Ameno.
Tre proposte diverse per tre scenari possibili nati da un intenso sopralluogo al Maio, una full immersion di 6 giorni in idee e visioni di rigenerazione che hanno preso forma presso la Tenuta del Piromallo a Forio, dove il lavoro dei giovani architetti, mirato alla ricostruzione ex novo, (presupponendo l’abbattimento dell’esistente) è stato coordinato da docenti universitari e ispirato dall’architetto giapponese Atsushi Kitawagara, architetto e professore all’Accademia Imperiale di Tokyo e vincitore del PIDA 2018.
«L’obiettivo – ha precisato il Direttore del Premio Giovannangelo De Angelis – è quello di proporre alla comunità soluzioni progettuali attente non solo agli aspetti tecnologici e strutturali, sicuramente essenziali, ma anche di emergenza, di ottimizzazione economica, di sostenibilità ambientale e soprattutto di vivibilità in risposta ai bisogni della comunità».
Ischia è un’isola estremamente fragile ma anche incredibilmente caratterizzata: ogni luogo ha le proprie tradizioni e la propria identità, che hanno bisogno di essere conservati più di ogni altra cosa.
La risposta dei professionisti, anche se giovani, è stata quella di proporre interventi ben pensati e ben progettati sotto tutti i punti di vista, cercando di evitare l’errore più comune nell’ambito delle ricostruzioni: una mancata gestione coordinata. Qualità architettonica e impatto sociale, originalità e semplicità, valorizzazione delle risorse (si pensi, ad esempio, alla formidabile opportunità del termalismo) scelta di materiali innovativi a costi contenuti.

“Terre emerse”, “InterNa”, “Maio(r)”. Sono questi i titoli dei progetti venuti fuori dal workshop e presentati ufficialmente nella serata conclusiva del PIDA 2018, ai giardini della Torre de’ Guevara a Cartaromana. Ecosostenibilità, permeabilità degli spazi, un grande parco termale immerso nel verde, case patio come forma-simbolo dell’abitazione, luoghi della memoria (anche di quel che è stato), un rapporto, completamente sovvertito, tra edificato e natura (risolto, come prevedibile, decisamente a favore di quest’ultima). Insomma, se ne sono viste parecchie di soluzioni attente al contesto e alle necessità insite dei luoghi e dei loro abitanti.
«L’impressione che abbiamo avuto una volta arrivati nella zona rossa» hanno spiegato i giovani architetti del DIARC Federico II di Napoli, «è stato di un posto abbandonato a se stesso, una cittadina morente, cresciuta su una serie superfetazioni edilizie che si sono accumulate ma anche di una natura ancora molto forte, lussureggiante, che incombe al di sopra della cittadina e cerca di inserirsi. Il nostro progetto, “Terre emerse”, vuole restituire al borgo di Casamicciola un rapporto più diretto con la montagna e lavorare su una mobilità alternativa. Via D’Aloisio, ad esempio, prima era carrabile mentre nel nostro progetto diventa pedonale. Questa natura è pervasa da un edificato incoerente, talvolta abusivo, quindi la nostra idea di rigenerazione è stata quella di far tornare in alcune aree una natura più selvaggia e costruire in modo più denso ma più rado. Via D’Alosisio resta una strada in pendenza lungo la quale si va a concentrare il nuovo tessuto edilizio del Maio mentre le parti esterne vengono lasciate a una dimensione più naturale, a volte selvaggia, a volte coltivata, con orti a disposizione delle famiglie, elemento quest’ultimo fondativo dell’insediamento originario.»
La questione sicurezza viene risolta in modo originale con il sistema della “zolle”. «Il promontorio su cui sorge il Maio – continuano – è composto da molteplici salti di quota, noi l’abbiamo scomposto e diviso in maniera tale che ogni nuovo isolato potesse essere isolato da tutto il sistema che lo circonda. Ogni zolla è un’isola sicura sopra la quale è possibile costruire attraverso una partnership tra pubblico e privato, un dispositivo per frammentare il terreno, che risponde alle sollecitazioni sismiche come un elemento plastico e non rigido e al tempo stesso permette di stabilire una gerarchia delle aree da mettere in sicurezza. Un disegno urbano raffinato che rimanda al tono idillico del paesaggio e cerca di interpretare il carattere di una comunità».

«Nel progetto InterNA», illustra l’architetto Dario Restivo dell’Università di Palermo «gli edifici vengono ricostruiti solo in parte, concentrati lungo via d’Aloisio, con una quinta lunga tutto il percorso, bucata in alcuni tratti, costruita con le macerie, che sia segno della memoria. Prevista una significativa presenza di verde, quasi un lungo corridoio ecologico che va dal monte Epomeo fino alla costa. In questo senso abbiamo accolto pienamente il monito di Kitawagara: l’uomo non deve combattere la natura ma rispettarla. E infatti entra direttamente dentro l’architettura abitativa: per la ricostruzione abbiamo pensato alla casa-patio, struttura in acciaio e terra cruda, che resiste bene dal punto di vista sismico e conveniente dal punto di vista della sostenibilità, dell’isolamento termico e acustico. La strada carrabile prevede una pista ciclabile e marciapiedi sui lati all’ingresso delle case. Queste, realizzate mantenendo le tracce preesistenti, utilizzano l’energia rinnovabile del sole, la ventilazione naturale e sono costruite secondo criteri ecosostenibili. I materiali sono tutti isolanti: fibra di legno, profilati autoportanti molto usati negli Stati Uniti, pannelli di fiocchi di canapa e mattoni in terra cruda. La chiesa di S. Maria dei Suffragi viene recuperata così come il complesso termale della sorgente La Rita, potenziato mediante la realizzazione di un nuovo edificio, nuove vasche e piscine».

L’idea di ricostruzione come rigenerazione, quindi miglioramento dell’area distrutta dal sisma, ha ispirato titolo e contenuto del progetto “Maio(r)”, elaborato da laureati e laureandi della Facoltà di Ingegneria Edile e Architettura dell’Università Tor Vergata Roma.
«In una zona terremotata diventa necessario ristabilire la sicurezza» d
ichiara subito Veronica Strippoli, «ridare alle persone che torneranno in quell’area la sensazione stare a casa e sentirsi al sicuro, riducendo l’esposizione al rischio. Abbiamo pensato a quattro punti fulcro, spazi molto ampi che, in caso di scossa, permettono di accogliere persone senza metterle in pericolo. Le terme nel punto più basso, a 55 mt al livello mare, e Piazza Maio nel punto più alto; due punti intermedi lungo il percorso: la Chiesa del Purgatorio e un complesso di case che è stato l’unico che è crollato, dove hanno estratto vivi i bambini. Qui abbiamo voluto realizzare una piazza intesa come luogo della memoria».
«Il modulo abitativo è composto da tre elementi che si compenetrano, sforzando di entrare maggiormente in relazione con lo spazio pubblico. Le mura sono realizzate con pannelli X-LAM, di legno massiccio a strati incrociati, composti da più strati di lamelle (o tavole), sovrapposti e incollati uno sull’altro in modo che la fibratura di ogni singolo strato sia ruotata nel piano di 90° rispetto agli strati adiacenti. Questo garantisce una maggiore sicurezza e una leggerezza maggiore: un conto è se crolla una parete X-LAm, un altro se viene giù una parete con mattoni. All’ingresso dell’area ricostruita, una quinta scenica recupera i segni della tipica architettura ischitana.»

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In tutti i progetti di questo studio, grande attenzione è stata rivolta anche alla qualità della sostenibilità ambientale ed energetica dei nuovi edifici. Al termine della serata applausi e attestati di merito per tutti i partecipanti al laboratorio del PIDA.

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