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Don Peppino e quei racconti della Ischia che fu

DI GAETANO FERRANDINO

Nella tarda mattinata di ieri ci ha lasciato, in maniera fulminea, Giovan Giuseppe Ferrandino, per tutti don Peppino. Sì, un malore fulminante, e in fondo per chi conosceva quell’uomo ormai ottantunenne ma ancora con una energia addosso in grado di “travolgere” molti di quelli della mia generazione (e non solo) l’epilogo dell’esistenza terrena non poteva che essere questo: se lo immagina, chi lo ha conosciuto, costretto in un letto da acciacchi della vecchiaia e malattie che ti consumano in maniera lenta e inesorabile? No, non era roba per un uomo che non conosceva le mezze misure. Sono forse, e lo dico in premessa, non la persona più indicata per tracciare il ritratto di una figura conosciuta un po’ ovunque ed in particolare a Ischia e Casamicciola, ma mi piace associare quell’uomo a uno degli ultimi baluardi dell’isola che fu e che abbiamo ormai definitivamente archiviato. Don Peppino era allegro, scanzonato, aveva vissuto la fame e le ristrettezze che caratterizzarono questo scoglio e la sua gente prima del benessere e incarnava il ritratto ideale del prima e del dopo, di una terra di indigenze ed improvvisamente benestante. Non era mai banale, al punto tale che quando si sedeva al tuo tavolo, o apriva una chiacchierata con un gruppo di persone, non aveva importanza chi fossero: lui si prendeva la scena e catalizzava attenzione e riflettori sulla sua figura. Ci vuole carisma, per cose del genere, non sono da tutti.

Ieri pomeriggio, dopo essere andato a salutarlo, mi sono tornati inevitabilmente alla mente quei racconti con i quali andava indietro nel tempo nel corso delle chiacchierate sempre casuali (quando per lavoro ci si recava all’Hotel Le Querce) ma mai banali, al punto che qualche volta era pure il caso di benedire i cronici ritardi agli appuntamenti del figlio Giosi. Don Peppino amava raccontarmi di mio nonno che negli anni bui della guerra e del dopoguerra con una imbarcazione di fortuna raggiungeva la terraferma per recuperare un quantitativo di chili di pasta nera. E che, una volta tornato sull’isola, ne distribuiva un piccolo quantitativo anche ai vicini di casa, per alleviare le evidenti ristrettezze dell’epoca. Lo faceva con un pizzico di nostalgia, don Peppino, quasi consapevole del fatto che nel frattempo tutti fossimo cambiati e che quel senso di comunità che una volta ci rendeva speciali era ormai un qualcosa di definitivamente tramontato. E poi tante altre storie e spunti di riflessione, che lui sapeva porre all’orecchio del suo interlocutore sempre in maniera interessante, senza mai risultare monotono e banale. Si faceva adorabilmente ascoltare, e mancherà anche per questo. Come può mancare un cantastorie, baluardo di una memoria storica e uomo capace di prendere la sua vita e di scriverne un romanzo magari anche controverso ma tutto da leggere. Pensateci, non è da tutti.

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