CULTURA & SOCIETA'

Mariangela Ciccarello, regista dal cuore cosmopolita

Intervista alla giovane artista campana, il cui ultimo film, Calypso, è stato tra i cortometraggi selezionati quest’anno all’Ischia Film Festival

Mariangela Ciccarello è una giovane artista campana. Il suo ultimo film, Calypso, è tra i cortometraggi selezionati quest’anno all’Ischia Film Festival. Dopo gli studi in filosofia e storia, adesso lavora in diverse gallerie e musei di Europa e Sudafrica e le sue opere fanno il giro del mondo: Locarno Film Festival, Edinburgh International Film Festival, Torino Film Festival, all’Harvard Art Museum e Film Society of Lincoln Center. Nella affascinante cornice del Castello Aragonese, con lei abbiamo scambiato qualche piacevole battuta:

Un cortometraggio di 47 minuti dove due ragazze del presente diventano contenitori di anime antiche e di sentimenti antichi. Abbiamo intuito bene?

«Si, sicuramente c’è una dimensione di antico, di ritornare a degli archetipi, al mito, a me interessava però anche intervenire nel contesto aggiungendo nuove rappresentazioni e delle dimensioni diverse. Mi piaceva che la figura di Ulisse potesse essere rappresentata da una ragazza, un “contenitore” nuovo che porta dunque a delle prospettive diverse.

Un incrocio tra passato e presente anche per quanto riguarda la tecnica delle inquadrature, ci sono tanti spezzoni in super 8 che mostrano piccoli pezzetti del Mar Mediterraneo. Leggenda vuole che l’isola di Calypso fosse sullo Stretto di Gibilterra, che è un po’ il confine del mondo antico. Tu questo confine lo hai idealmente (e materialmente) attraversato perchè adesso lavori anche negli Stati Uniti, ti senti anche tu parte di questo vagare di Ulisse?

«Quando giravo questo film non mi sono resa subito conto che in realtà stessi facendo un film che parlasse anche di me. Ad un certo punto ho pensato “ma forse anche io voglio essere Ulisse” perchè cerco di ritornare a casa però poi non ce la faccio. Quindi si, la mia voglia di “vagare” è stata incosciamente messa in scena. Prima ne parlavamo con Paola (Paola Maria Cacace, una delle attrici), di come questo film parli di noi e di come abbia preso forma pian piano mentre lo giravamo. Documentario e finzione si intrinsecano ma c’è anche tanto delle nostre vite all’interno, non solo mia ma anche delle due ragazze, e questo mix ha contribuito in modo decisivo alla sceneggiatura finale».

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Oltre ai lavori in regia, sei anche appassionata di arti visive e figurative in generale, scultura, fotografia, installazioni. Viene da pensare ad Agnès Varda. E’ un nome che tocca le tue influenze e i tuoi gusti?

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«Proprio l’altro giorno mi sono ritrovata in un altro Festival, c’erano alcuni registi che parlavano di lei e del suo Le Spiagge di Agnès, quindi uno dei suoi ultimi film. Anche se in me è presente questa vena documentaristica come nella seconda parte della carriera della regista, posso confessarti che sono influenzata di più dal suo cinema degli inizi, quello di finzione. Ad esempio “Cléo dalle 5 alle 7” è per me un capolavoro, “L’une chante, l’autre pas” così come “La Bonheur”, sono dei film che hanno rotto degli schemi, sono film coraggiosi con degli elementi molto radicali e quindi si, Varda è sicuramente un punto di riferimento in questo».

Questo film mette in scena ciò che in psicologia analitica si chiama inconscio collettivo. E’ frutto di casualità oppure hai voluto dare una impronta junghiana al tuo lavoro?

«Il discorso sull’inconscio mi interessa molto, soprattutto da quando ho iniziato a lavorare nelle arti visive. Un altro film che ha lasciato traccia di questo tema dentro di me è stato Mulholland Drive di Lynch, senza che me ne rendessi conto fino a poco tempo fa. Adesso sto scrivendo un film su questa paura di conoscersi interiormente, mentre in Calypso si parla più di una dimensione di desiderio. Ma in generale io delle volte sento che ci connettiamo con una dimensione che non è soltanto nostra, che siamo legati a delle radici più profonde, ad una matrice culturale di sensi atavica e primitiva, ma soprattutto emozionale».

Tra i tuoi lavori c’è sia un amore per il continente (Il n’ya rien de plus réel que la terre ferme) che per i piccoli luoghi circoscritti (Lampedusa, My Little Napoli, Calypso). In questo momento del tuo percorso, ti senti più da isola o più da terra ferma?

«Bella domanda, in questo momento mi sento nel mezzo. Sotto il mare, dentro il mare, anzi, mi sento proprio di essere come il mare».

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