CULTURA & SOCIETA'

MOLTO FREDDO, MOLTO SECCO CON LIME Il potere del silenzio e il fallimento della parola

di Lisa Divina

In un mondo in cui le parole perdono e acquisiscono valore come azioni in borsa, ci si smarrisce tra ciò che viene detto e ciò che non si dovrebbe dire, dimenticando che la quotazione più alta è attribuita al silenzio che è d’oro. Taccio o parlo? Dico o non dico? Mio padre mi ripeteva: «Meglio tacere e sembrare stupidi che parlare e fugare ogni dubbio». Da bambina non capivo il senso di quelle parole: parlare è stata la prima cosa che mi hai insegnato, perché non dovrei farlo? Eppure tutti ereditiamo questo dono, tramandato nel tempo, considerandolo un dovere anziché un diritto. Spariamo dalla bocca frasi e commenti su qualsiasi argomento, soprattutto su materie che non conosciamo, ritrovandoci a rilasciare interviste, rispondere o porre domande, scrivere commenti e articoli di giornale, lanciare giudizi e recensioni o peggio a suggerire agli “amici”.. Ci piace raccontare storie ridipinte a nostro piacimento per convincere – e convincerci – che la realtà sia come vogliamo immaginarla, per poterci lamentare cercando alleati a sostegno delle nostre convinzioni. La parola assume così una nuova forma, sembra inebriarci senza lasciare postumi ma le conseguenze, in realtà, ci sono. Eccome. Plutarco scriveva: «Non c’è parola detta che abbia giovato quanto le molte taciute: c’è sempre modo, infatti, di dire ciò che si è taciuto, ma non di tacere ciò che si è detto, che ormai è fuoriuscito e si diffonde». Quante ne sapeva Plutarco. O forse non sapeva, ma di certo ha saputo esprimere l’essenziale in poche righe su questo potente strumento antico. Intanto la società ha fiutato il “potere magico della comunicazione strategica”, capace di plasmare le menti e l’immaginario di ogni individuo, alternando la verità delle parole alle ormai famigerate Fake News. Un mezzo potente, ma fallimentare, che svilisce la curiosità anziché nutrirla. Le menti si chiudono nell’ottusità e in un “Fake Self”, manifestando cattiverie e invidie solo per potersi dire: «Io sono migliore degli altri». Eppure, ignoriamo il significato di tale atteggiamento, che ci porta a svalutare noi stessi, occupandoci degli affari altrui per sentirci degni dei nostri, mentre evitiamo di affrontare il mostro del fallimento. Siamo piccoli, ancora bambini che vogliono parlare solo perché hanno imparato a pronunciare qualche frase sconnessa. Dovremmo sottoporci, mille volte, a un esame del nostro dire, per poi accorgerci che le parole prive di consapevolezza sono solo olezzi sfuggiti all’orifizio sbagliato. Per contrastare l’abitudine di parlare senza riflettere, dovremmo educare le nuove generazioni a un uso consapevole delle parole. Con un sano approccio al dialogo critico, imparando che la comunicazione non è solo espressione ma un atto di responsabilità verso l’altro, capace di costruire ponti e non barriere. Parallelamente, potremmo coltivare il silenzio interiore, allenandoci a riflettere prima di parlare, scegliendo parole che curino anziché ferire. In un’epoca di parole urlate, educare alla consapevolezza del linguaggio significa riscoprire il potere del Silenzio come spazio di crescita e autenticità. È arrivato il tempo di tacere se non sappiamo renderci degni della Parola.

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